DIO, GRAZIE A DIO, NON SONO IO

XXX DOMENICA DEL T.O

anno C (2022)

Sir 35,15-17.20-22; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

 

Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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Domenica scorsa la Parola di Dio ricordava la necessità della preghiera insistente, perseverante, per una vita autentica nella fede. Il messaggio che ci offre oggi riguarda invece il “come” pregare, cioè con quale assetto del cuore presentarsi al Signore affinché la preghiera non cada nel vuoto. Perché anche oggi si può andare al tempio con disposizioni ambigue. L’identità dei due personaggi del vangelo la dice già abbastanza lunga su chi corre il rischio maggiore. Il pubblicano è figura abbondantemente disprezzata in Israele, un peccatore per antonomasia nei vangeli; mentre il fariseo, nello stesso popolo, è persona religiosa per eccellenza. Il primo implicito messaggio allora, è già tutto qui: rischia di più chi si vuole impegnare in un cammino spirituale. Dunque badare bene che nel proprio cuore non nasca e non cresca l’intima presunzione di essere giusti disprezzando gli altri (Lc 18,9). La parabola è per tutti, ma soprattutto per i credenti.

Il fariseo e il pubblicano

La postura del fariseo nella preghiera è quella di un uomo che sta in piedi. In sé, potrebbe essere un buon atteggiamento. Stare in piedi potrebbe indicare prontezza nell’ascolto, nell’obbedienza e nel servizio. Solo che il contenuto della preghiera smaschera un assetto del cuore totalmente incompatibile ad entrare in relazione con Dio. È l’assetto di chi fonda la sua pseudo-fede sulle proprie opere, le opere della Legge (Lc 18,12), e sul moralistico confronto con gli altri. È la rivelazione di una persona tutta concentrata a mantenere una buona reputazione davanti a sé e a Dio, come se Dio fosse qualcuno che chiede prima di tutto questa qualità della vita. È indizio di una vita preoccupata a distinguersi dagli altri, protesa sempre alla ricerca di un successo. Tipico di tutte le persone che, per affermarsi, hanno sempre bisogno di disprezzare/distruggere la fama altrui. Personalità autosufficienti, ma in realtà inconsistenti: sono quelli che, come si dice, “cadono sempre in piedi” proprio perché godono della caduta degli altri invece che averne compassione.

Il colmo di questa equivoca postura sta poi nel fatto che il fariseo ringrazia Dio per tutto questo (Lc 18,11). Come se Dio potesse averne una qualche soddisfazione dalla sua preghiera, perché a tale vita lo chiamerebbe. In realtà, chi pregasse come il fariseo, è incentrato su una falsa immagine di Dio. La sua preghiera è sintomo di una vita solitaria e illusoria, cioè di uno che non incontra Dio ma solo sé stesso. Uno che parla solo con la proiezione del proprio triste io. Non così il pubblicano, il quale conferma, nella postura e nel contenuto della sua preghiera, che davvero il Signore Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori; e che non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Infatti, spicca subito tra le 2 preghiere che l’una (del fariseo), suppone un (falso) bisogno che Dio avrebbe delle opere dell’uomo e di una moralità superiore che faccia emergere sugli altri; mentre l’altra (del pubblicano), suppone un (vero) bisogno dell’opera di Dio da parte dell’uomo, ovvero della sua Misericordia. Da notare il suo fermarsi a distanza, il non osare alzare gli occhi al cielo e il suo battersi il petto mentre proferisce poche e semplici parole: oh Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13). Il pubblicano manifesta l’assetto fondamentale di ogni autentica preghiera: quello che identifica subito chi è Dio e chi siamo noi, il puntare il dito su di noi e non su di Lui, il bisogno di salvezza che noi abbiamo di Dio e non Lui di noi.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato (Lc 18,14). Cioè, il pubblicano torna a casa reso giusto da Dio nella sua preghiera, il fariseo invece vi torna non giustificato, perché si giustificava da solo nella sua preghiera. Cosa aggiungere? Davvero se la nostra giustizia non supererà quella degli di scribi e dei farisei, non entreremo nel regno dei cieli (cfr. Mt 5,26). Solo la giustizia divina, che è la sua Misericordia, superiore a quella umana, può rendere giusto l’uomo. È questa l’opera di Dio compiuta sulla croce da Gesù Cristo. La giustizia umana infatti, è di sua natura “ingiusta”. Oltre a farci prendere spesso delle cantonate, tende a farci autoesaltare, come accade al fariseo, e può portare al delirio di una vita fuori dalla realtà. Conosco un uomo in pensione che vive una vita simile. Strenuamente convinto di essere integerrimo praticante nella chiesa di Dio, si è allontanato poco a poco dalla comunità cristiana, creandosi dentro e fuori casa una piccola succursale con tanto di effigi cristiane. Scrive lettere minacciose a preti (tra cui il sottoscritto) e vive isolato da tutti. E conosco anche una umile donna che vive in una sperduta frazione del basso Veneto, la cui preghiera è diventata talmente una sola cosa con la sua persona, che tanti si ritrovano a cercarla per essere ascoltati e raccomandarsi alla sua intercessione. Nella vita, prima o poi, trovi sempre confermata la parola del vangelo, ma te ne accorgi solo se la tua preghiera sta diventando come quella del pubblicano.  

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DIOS, GRACIAS A DIOS, NO SOY YO

El domingo pasado la Palabra de Dios recordaba la necesidad de la oración insistente, perseverante, para una vida auténtica en la fe. El mensaje que nos ofrece hoy concierne en cambio el “cómo” rezar, Es decir, con qué disposición del corazón presentarse al Señor para que la oración no caiga en el vacío. Porque también hoy se puede ir al templo con disposiciones ambiguas. La identidad de los dos personajes del evangelio ya dice bastante sobre quién corre el mayor riesgo. El publicano es figura abundantemente despreciada en Israel, Un pecador por antonomasia en los evangelios; mientras que el fariseo, en el mismo pueblo, es persona religiosa por excelencia. El primer mensaje explícito entonces, está ya todo aquí: arriesga más quien se quiere empeñar en un camino espiritual. Así que ten cuidado de que en tu corazón no nazca ni crezca la íntima presunción de ser justos despreciando a los demás (Lc 18,9). La parábola es para todos, pero sobre todo para los creyentes.

La postura del fariseo en la oración es aquella de un hombre que está de pie. En sí, podría ser una buena actitud. Estar de pie podría indicar prontitud en el escucha, en la obediencia y en el servicio. Solo que el contenido de la oración desenmascara un ordenamiento del corazón totalmente incompatible para entrar en relación con Dios. Es la disposición de quien funda su pseudo-fe en sus obras, las obras de la Ley (Lc 18,12), y sobre la comparación moral con los demás. Es la revelación de una persona toda concentrada a mantener una buena reputación delante de sí mismo y de Dios, como si Dios fuera alguien que pida antes de toda esta cualidad de la vida. Es un indicio de una vida preocupada por diferenciarse de los demás, inclinada siempre a la búsqueda de suceso. Típico de todas las personas que, para afirmarse, tienen siempre necesidad de despreciar/destruir la fama de los demás. Personalidad autosuficiente, pero en realidad inconsistente: son aquellos que, como se dice, “caen siempre de pie” Precisamente porque disfrutan de la caída de los demás en lugar de tener compasión.

El colmo de esta equivocada postura está en el hecho de que el fariseo agradece a Dios por todo esto (Lc 18,11). Como si Dios pudiera obtener alguna satisfacción de su oración, porque a tal vida lo llamaría. En realidad, quien reza como el fariseo, se centra en una imagen falsa de Dios. Su oración es síntoma de una vida solitaria e ilusoria, o sea de uno que no encuentra a Dios sino solo así mismo. Uno que habla solo con la proyección del propio triste yo. No así el publicano, el cual confirma, en la postura y en el contenido de su oración, que de verdad el Señor Jesús no ha venido a llamar a los justos, sino a los pecadores; y que no son los sanos que necesitan del médico, sino los enfermos. De hecho, surge inmediatamente entre las dos oraciones que una (del fariseo), supone una (falsa) necesidad de que Dios tenga de las obras del hombre y de una moralidad superior que haga surgir sobre los demás; mientras que la otra (del publicano), supone una (verdadera) necesidad de la obra de Dios por parte del hombre, es decir, de su Misericordia. Fíjese en su parada a distancia, en no atreverse a levantar los ojos al cielo y en su golpearse el pecho mientras dice unas pocas palabras: Oh Dios, ten compasión de este pecador (Lc 18,13). El publicano manifiesta el orden fundamental de toda auténtica oración: lo que identifica inmediatamente quién es Dios y quién somos nosotros, el apuntar el dedo sobre nosotros y no sobre Él, la necesidad de salvación que nosotros tenemos de Dios y no Él de nosotros.

Les digo que este bajó a su casa justificado, y aquel no. Porque todo el que se enaltece será humillado, y el que se humilla será enaltecido (Lc 18,14). Es decir, el publicano vuelve a casa hecho justo por Dios en su oración, el fariseo en cambio vuelve sin justificación, porque se justificaba solo en su oración. ¿Qué agregar? De verdad si nuestra justicia no superará la de los escribas y de los fariseos, no entraremos en el reino de los cielos (cfr. Mt 5,26). Solo la justicia divina, que es su Misericordia, superior a la humana, puede hacer justo al hombre. Esta es la obra de Dios realizada en la cruz por Jesucristo. En efecto, la justicia humana es de su naturaleza “injusta”. Además de hacer que a menudo nos confundamos, tiende a hacernos exaltar a nosotros mismos, como le sucede al fariseo, y puede llevar al delirio de una vida fuera de la realidad. Conozco a un hombre retirado que vive una vida así. Firmemente convencido de ser un practicante íntegro en la iglesia de Dios, se ha alejado poco a poco de la comunidad cristiana, creando dentro y fuera de casa una pequeña sucursal con muchas efigies cristianas. Escribe cartas amenazantes a los sacerdotes (incluido el que suscribe) y vive aislado de todos. Y conozco también a una humilde mujer que vive en una perdida fracción del bajo Veneto, la cual oración se ha vuelto talmente una sola cosa con su persona, que tantos se encuentran a buscarla para ser escuchados y confiándose a su intercesión. En la vida, antes o después, encuentras siempre confirmada la Palabra del evangelio, pero te das cuenta solo si tu oración se está volviendo como la del publicano.

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