XXIX DOMENICA DEL T.O.
Is 53,2.3.10-11; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45
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Forse la reazione dei discepoli alla terza predizione della passione avrebbe stancato qualsiasi maestro provvisto di un certo buon senso. Ma Gesù è un maestro diverso, con un cuore e un senso spirituale diverso. Dopo la prima predizione ci fu un diverbio con Pietro cui viene chiesto di riposizionarsi dietro di Lui, perché non pensa secondo Dio ma secondo gli uomini (cfr. Mc 8,32 ss.). Dopo la seconda predizione c’è l’incomprensione totale e il silenzio di chi, opportunisticamente, si rende conto che non è il caso di sollevare altre questioni con il maestro, dato che per strada si era discusso su chi fosse tra di loro il più grande (cfr. Mc 9,32 ss.). Con la terza predizione (cfr. Mc 10,32-34), quella che precede immediatamente il vangelo di oggi, uno si aspetterebbe un minimo di comprensione, o almeno mettersi un po in discussione prima di fare certe richieste. E invece è come se il Signore avesse insegnato un bel niente.
Non so se a voi è mai capitato. Quando tu fai un bel lavoro mettendoci tutta la tua passione, le tue energie, e poi, dopo tanta dedizione, ti rimane in mano un pugno di mosche. Nei primissimi anni di apostolato tra la gente povera della periferia di Lima (Perù), ce la misi tutta per dare una formazione incisiva agli agenti di pastorale con cui lavoravo. Ma più di una volta, con il passare del tempo, la realtà di quei fratelli smentiva tutto quello che seminavo. Il senso di frustrazione e di inutilità diventava in certi momenti invadente, lasciando seri interrogativi sul senso ultimo della mia presenza in quei luoghi e sul lavoro di evangelizzazione svolto. Permettetemi allora di dirvi che la prima cosa che mi balza dalle righe del vangelo di oggi è la pazienza infinita di Gesù, lo sguardo d’amore permanente sui suoi (lo ricordate?…quello di domenica scorso su quel tale che gli corse incontro…), la sua fede incrollabile nell’uomo. Il primo commento da offrire è: “grazie Signore Gesù, della pazienza con cui ci aspetti, della misericordia che ci usi, del tuo instancabile parlarci per generare quanto è impossibile a noi stessi!…”

Poi però dobbiamo aggiungere: i figli di Zebedeo chiedono a Gesù quello che non dovrebbero chiedere. Egli aveva già detto loro insieme ai compagni (e mettendoci un bambino in mezzo) che se uno voleva essere il primo doveva scegliere di essere l’ultimo di tutti e il servo di tutti. A rigor di logica, come discepoli o aspiranti tali, avrebbero dovuto chiedere questo. E invece chiedono di essere alla destra e alla sinistra, suscitando l’indignazione degli altri, reazione che rivela in questi ultimi la stessa segreta ambizione. Che ci vogliamo fare, siamo così. Fino a quando non sbattiamo il muso contro la vera persona di Gesù. Fino a quando non abbandoniamo il Gesù dei nostri pensieri, quello che secondo noi dovrebbe assicurare sempre buon esito ai nostri desideri di grandezza e (oggi soprattutto) di sicurezza. Fino a quando non scopriamo la nostra cecità davanti a Lui, la nostra ignoranza sulla sua identità. Cosa che ci insegnerà a fare (lo vedremo domenica prossima) Bartimeo, il cieco che Gesù con Marco evangelista mette in cattedra, affinché il lettore di ogni tempo ci si possa identificare. Il problema dei discepoli è tutto in quell’espressione di Gesù al v.35 : “voi non sapete quello che chiedete”. Essi non sanno quello che chiedono perché non sanno ancora chi è Colui che stanno frequentando. E non potrebbe essere altrimenti. Essi stanno con Gesù, gli vogliono anche bene, ma a modo loro. Fin quando non entra la parola della Croce non c’è conoscenza della sua persona. Si è ancora in balia del “sottile ragionatore di questo mondo” (1 Cor 1,20), il pensiero satanico.
Nel vangelo di oggi scopriamo che il vero scoglio insormontabile, quello che ha bisogno dell’intervento dello Spirito Santo, è la falsa immagine che abbiamo di Dio, anche se lo chiamiamo fedelmente “Signore Gesù Cristo”. Qui è in gioco la sua identità. Nel dialogo tra il Signore e i due discepoli ci si trova di fronte al contrasto tra il desiderio dell’uomo nei confronti di Dio (v.35) e il desiderio di Dio per l’uomo (v.43). Noi, invece che ascoltare e fare quello che Lui ci dice, vorremmo che Lui ascoltasse e facesse quello che gli diciamo! Meno male che il Signore non risponde a certe richieste! Ricordo ancora un sacerdote amico, uno tra i primi che mi hanno ricondotto a Gesù, raccontarmi con il volto un po velato di tristezza, di un suo compagno di classe che giunse insieme con lui all’ordinazione sacerdotale. Sin dai banchi della teologia era tutto intento a primeggiare e a distinguersi dagli altri. Divenuto sacerdote, era risaputo negli ambienti ecclesiali che voleva a tutti i costi diventare vescovo, e ci stava riuscendo. Ma non lo divenne nei tempi opportuni e finì i suoi giorni in una casa di cura per malati mentali. Penso che lì Gesù lo stava amorosamente aspettando.
I discepoli vogliono sedersi vicino a Gesù, “nella sua Gloria” (v.37). Un desiderio che Egli non rigetta. Purché sia chiaro ai discepoli cosa sia questa Gloria. Non certamente la nostra gloria che confondiamo così facilmente con la sua. A Francesco di rientro dalla visita negli Stati Uniti sono state fatte sull’aereo tante domande dai giornalisti nella ormai abituale conferenza stampa. Ce n’è una che commenta meglio di me il nocciolo del vangelo. Gli hanno chiesto: “Negli Usa lei è diventato una star. È bene per la Chiesa che il Papa sia una star?” Il papa ha risposto: “Conosce lei il titolo che si usava e si deve usare per il papa? Servo dei servi di Dio. È un po’ diverso da star. Le stelle sono belle da guardare, a me piace guardarle quando il cielo è sereno d’estate. Ma il papa deve essere il servo dei servi di Dio. Nei media si usa frequentemente l’espressione “star” per le persone, ma c’è una altra verità: quante ‘star’ abbiamo visto apparire e poi si spengono e cadono. Essere “star” è una cosa passeggera. Ma essere servo dei servi di Dio è bello, non passa”.
Le parole di Gesù sono inconfondibili. La Gloria divina si manifesta in Lui, Figlio di Dio che chiama se stesso “Figlio dell’uomo”, amore che si fa servizio fino ad occupare l’ultimo posto, quello che nessun uomo vorrebbe occupare. Quello che poi farà vedere a tutti in diretta, scandalizzandoli, prima lavando i piedi di chi mangia con Lui nell’ultima cena, poi nella morte ignominiosa sulla Croce. Gesù ci vuole davvero donare la sua Gloria (v.40), ma prima è necessario non confondere Lui ed essa con il dio delle nostre proiezioni mentali, quello che tiene tutti in pugno come i dominatori di questo mondo. Per compiere questa operazione chirurgica, è necessario attraversare lo scandalo della Croce (v.39). Il Signore vuole che la sua Gloria continui a rivelarsi proprio tra i suoi discepoli, chiamati a vivere la gioia e la bellezza di una novità inaudita, quella di amarci gli uni gli altri facendo a gara nel servizio. Auguriamo di cuore a tutti, ma sopratutto ai padri sinodali riuniti a Roma in questo tempo di delicata riflessione sulla famiglia, quel “tra voi però non è così”: il miracolo che solo lo Spirito di Gesù può continuare a generare nella comunità credente.
BUONA DOMENICA A TUTTI!
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NO SABEN LO QUE PIDEN
Quizás la reacción de los discípulos a la tercera predicción de la pasión hubiera cansado a cualquier maestro proveído de cierto sentido común. Pero Jesús es un maestro diferente, con un corazón y un sentido espiritual diferente. Después de la primera predicción hubo una disputa con Pedro a quien le piden de reposicionarse detrás de Él, porque no piensa según Dios sino según los hombres, (cfr. Mc 8,32 ss.). Después de la segunda predicción hay la incomprensión total y el silencio de quien, oportunistamente, se da cuenta que no es el caso de levantar otras cuestiones con el maestro, puesto que por el camino se discutió sobre quien era entre ellos el más grande, (cfr. Mc 9,32 ss.). Con la tercera predicción, (cfr. Mc 10,32 -34), la que precede enseguida al evangelio de hoy, uno se esperaría un mínimo de comprensión, o al menos ponerse un poco en discusión antes de hacer ciertos pedidos. Y en cambio es como si el Señor no hubiera enseñado nada bueno.
No sé si a ustedes nunca les ha sucedido. Cuando tú haces un bonito trabajo poniéndole toda tu pasión, tus energías, y luego, después de mucha dedicación, te queda en la mano un puño de moscas. En los primeros años de apostolado entre la gente pobre de la periferia de Lima (Perú), lo puse todo para dar una formación incisiva a los agentes de pastoral con los que trabajé. Pero más de una vez, con el pasar del tiempo, la realidad de aquellos hermanos desmentía todo lo que sembraba. El sentido de frustración e inutilidad se volvía en ciertos momentos atrevido, dejando serias preguntas sobre el sentido final de mi presencia en aquellos lugares y sobre el trabajo de evangelización desarrollado. Permítanme entonces decirles que la primera cosa que me brota de las líneas del evangelio de hoy es la paciencia infinita de Jesús, la mirada de amor permanente sobre los suyos (¿lo recuerdan?… lo del domingo pasado sobre aquél que corrió a su encuentro…) su fe inquebrantable en el hombre. El primer comentario para ofrecer es: “gracias Señor Jesús, por la paciencia con la cual nos esperas, por la misericordia que nos das, ¡de tu incansable hablarnos para engendrar todo lo que es imposible a nosotros mismos!…”
Pero luego tenemos que añadir: los hijos de Zebedeo piden a Jesús lo que no deberían pedir. Él ya había dicho a ellos junto a los compañeros, (y poniendo un niño en medio) que si uno quería ser el primero tenía que elegir de ser el último de todos y el siervo de todos. A rigor de lógica, como discípulos o aspirantes a tales, hubieran tenido que pedir esto. Y en cambio piden de estar a la derecha y a la izquierda, suscitando la indignación de los otros, reacción que revela en este último la misma ambición oculta. Qué queremos hacer, somos así. Hasta cuando no nos golpeamos la cara contra la verdadera persona de Jesús. Hasta cuando no abandonamos al Jesús de nuestros pensamientos, aquél que según nosotros siempre debería asegurar buen resultado a nuestros deseos de grandeza y (hoy sobre todo) de seguridad. Hasta cuando no descubramos nuestra ceguera delante de Él, nuestra ignorancia sobre su identidad. Lo que nos enseñará a hacer (lo veremos el domingo próximo) Bartimeo, el ciego que Jesús con Marco evangelista pone en cátedra, para que el lector de cada tiempo se pueda identificar. El problema de los discípulos está todo en aquella expresión de Jesús en el v.35: “ustedes no saben lo que piden.” Ellos no saben lo que piden porque no saben todavía quién es Aquél al que están frecuentando. Y no podría ser de otro modo. Ellos están con Jesús, lo quieren también, pero a su modo. Hasta cuando no entra la palabra de la Cruz no hay conocimiento de su persona. Se está todavía en manos del “sutil razonador de este mundo” (1 Cor 1,20), el pensamiento satánico.
En el evangelio de hoy descubrimos que el verdadero obstáculo insuperable, lo que necesita la intervención del Espíritu Santo, es la falsa imagen que tenemos de Dios, aunque si lo llamamos fielmente “Señor Jesús Cristo.” Aquí está en juego su identidad. En el diálogo entre el Señor y los dos discípulos nos encontramos en contraste entre el deseo del hombre respecto a Dios (v.35) y el deseo de Dios por el hombre (v.43). ¡Nosotros, en lugar de escuchar y hacer lo que Él nos dice, quisiéramos que Él escuchara e hiciera lo que le decimos! ¡Menos mal que el Señor no responde a ciertos pedidos! Todavía recuerdo a un sacerdote amigo, uno entre los primeros que me han conducido a Jesús, contarme con el rostro un poco nublado de tristeza, de un compañero suyo de clases que llegó junto a él a la ordenación sacerdotal. Vuelto sacerdote, era sabido en los ambientes eclesiales que quería a toda costa volverse obispo, y lo estaba logrando. Pero no lo fue en los tiempos oportunos y terminó sus días en una casa para enfermos mentales. Pienso que Jesús ahí lo estaba esperando amorosamente.
Los discípulos quieren sentarse cerca de Jesús, “en su Gloria” (v.37). Un deseo que Él no rechaza. Conque esté claro a los discípulos qué cosa sea esta Gloria. No ciertamente nuestra gloria que confundimos tan fácilmente con la suya. A Francisco de regreso de la visita a los Estados Unidos han sido hechas sobre el avión tantas preguntas por los periodistas en la ya habitual conferencia de prensa. Hay una que comenta mejor que yo el corazón del evangelio. Le han preguntado: “En los EE.UU. usted se ha convertido en una estrella. ¿Es bien para la Iglesia que el Papa sea una estrella?” El papa respondió: “¿Conoce usted el título que se usó y se debe usar para el papa? Siervo de los siervos de Dios. Es un poco diferente de las estrellas. Las estrellas son bonitas para mirar, a mí me gusta mirarlas cuando el cielo está sereno de verano. Pero el papa debe ser el siervo de los siervos de Dios. En los medios de comunicación se usa frecuentemente la expresión “estrella” para las personas, pero hay otra verdad: cuántas “estrellas” hemos visto aparecer y luego se apagan y caen. Ser “estrella” es una cosa pasajera. Pero ser siervo de los siervos de Dios es hermoso, no pasa”.
Las palabras de Jesús son inconfundibles. La Gloria divina con su belleza se manifiesta en Él, Hijo de Dios que llama a sí mismo “Hijo del hombre”, amor que se hace servicio hasta ocupar el último lugar, el que ningún hombre quisiera ocupar. Aquello que luego hará ver a todos en directa, escandalizándolos, primero lavando los pies de quien come con Él en la última cena, luego en la muerte vil sobre la Cruz. Jesús verdaderamente nos quiere donar su Gloria (v.40), pero primero es necesario no confundirlo a Él y esa con el dios de nuestras proyecciones mentales, quien tiene a todos en el puño como los dominadores de este mundo. Para cumplir esta operación quirúrgica es necesario atravesar el escándalo de la Cruz (v.39). El Señor quiere que su Gloria siga revelándose justo entre sus discípulos, llamados a vivir el gozo y la belleza de una novedad inaudita, aquella de amarnos los unos a los otros compitiendo en el servicio. Deseamos de corazón a todos, pero sobre todo a los padres del sínodo reunidos en Roma en este tiempo de delicada reflexión sobre la familia, aquél “pero entre ustedes no es así”: el milagro que solo el Espíritu de Jesús puede continuar a engendrar en la comunidad creyente.
A volte penso che se non ci fosse “quella” Croce molte cose non avrebbero senso.
Quale senso ci può essere ad esempio in una vita che lentamente e inesorabilmente si consuma in un letto se non pensando che quella vita sta attendendo il “riscatto” finale da ogni sofferenza, da ogni abbandono? E che quel “riscatto” l’avrà grazie a Colui che è in quel momento Lui stesso in quel corpo martoriato? Grande deve essere la nostra prostrazione, la nostra attenzione, la nostra delicatezza, il nostro servizio nei confronti di chi soffre, sgombrando la mente dai brutti pensieri di questo mondo ” che vita è questa?”.
Quante volte l’ho sentito dire e purtroppo quanta pubblicità negli ultimi tempi, alla “dolce morte”. Io non ci credo proprio alla ” dolce morte”, alla morte “a comando”, quando l’uomo vuole, l’uomo che fa da solo tutto……………ma l’uomo che è incapace di ammettere che quel corpo consumato sia il simbolo più sacro da custodire, curare, consolare è l’uomo che nonostante il suo vigore e la sua ragione rimane schiacciato sotto la Croce.
Penso che non ci sia scampo al di fuori della Croce.
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Grazie Chiara. Nemmeno io credo alla “dolce morte”. E’ solo l’ennesima menzogna di satana. La Croce di Cristo è davvero la parola che mette a nudo quel che c’è dentro di noi. Davanti al Crocifisso non si può rimanere in campo neutro. “Chi non è con me è contro di me.” Buona domenica!
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Mi vergogno di mettermi dalla parte degli ultimi?
Gesù nel Vangelo di oggi ci richiama al suo seguito, noi vorremo fare di testa nostra, ma i pensieri e i desideri di Gesù sono altri.
“Sedere alla destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo”(Mc 10,40)
Grazie p.Giacomo, ogni
giorno inizia una nuova
missione, il Signore sia
sempre con te anche nelle fatiche e nelle prove.
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Mi vergogno di mettermi dalla parte degli ultimi?
Gesù nel Vangelo di oggi ci richiama al suo seguito, noi vorremo fare di testa nostra, ma i pensieri e i desideri di Gesù sono altri.
“Sedere alla destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo”(Mc 10,40)
Grazie p.Giacomo, ogni
giorno inizia una nuova
missione, il Signore sia
sempre con te anche nelle fatiche e nelle prove.
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Grazie a te Rosy. Meglio non vergognarsi degli ultimi vero? Perché vergognarsi di loro è vergognarsi di Gesù. E…”chi si vergognerà di me, anch’io mi vergognerò di lui davanti al Padre mio che è nei Cieli”…buona domenica!
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