RAGIONARE SENZA O CON DIO?

XVIII DOMENICA DEL T.O.

anno C (2022)

Qo 1,2;2,21-23; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

 

Uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

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Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità, dice a Gesù un tale tra la folla che lo circonda (Lc 12,13). Non è forse una richiesta legittima? Non dovrebbe essere così tra fratelli? Il Signore però si defila dalla domanda (Lc 12,14). Perché? Si rifiuta di fare da mediatore patrimoniale? La sua risposta è da considerarsi un disprezzo della ricchezza? Tutt’altro. In sé, la richiesta è legittima e umanissima istanza. Ma la sua pretesa è ambigua. Gesù intuisce che può nascere non da un desiderio di ricevere quanto è giusto per la propria vita e quella dei familiari, bensì dalla paura di essere sopraffatti dall’altro erede nella ricchezza, oppure dalla malcelata volontà di avere di più. In questo tipo di vicende, dove la paura o l’avidità dominano i cuori umani, Gesù non ha niente a che fare. Da notare però che lo si vorrebbe dalla propria parte per la difesa dei propri interessi: di’ a mio fratello. Ecco uno dei motivi per cui, per tanti che si trovano in questo atteggiamento, Gesù è solo un Dio deludente. Egli invece, che ha a cuore la nostra salvezza, sfrutta la richiesta per lanciare un salutare appello.

Lo stolto

Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, ammonisce il Signore (Lc 12,15). Già, perché domenica prossima ci dirà pure che là dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34). Dunque un serio pericolo alla vita dell’uomo viene dall’affetto alla ricchezza. Essa può diventare inesorabilmente il dio (falso) della propria vita, come accade al ricco personaggio della parabola che Gesù racconta. Il Signore invita a osservare la riflessione provocata in quell’uomo dall’abbondanza del raccolto (Lc 12,16). Un uomo che non interpreta la sua vita come un dono del Padre da condividere con gli altri fratelli (cfr. la preghiera del Padre nostro), la interpreterà come una proprietà da difendere con tutti i beni annessi e connessi. Il suo pensiero sarà dunque orientato a mantenere a tutti i costi la propria abbondanza, facendola crescere, ma solo per sé. E qui sta l’inganno. Le parole che costui dice tra sé, hanno come bersaglio solo e soltanto stesso. Se ci fate caso, nella parabola campeggiano parole come i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, anima mia. L’aggettivo possessivo “mio” la fa da padrone. Non c’è spazio per gli altri che non sono mai citati, se non alla fine da Dio, che li richiama alla coscienza di quell’uomo chiamato stolto (Lc 12,20).

Se per l’uomo che non conosce (e non si pone il problema di conoscere) Dio quel ragionamento può sembrare logico o saggio, per la Bibbia invece è stupidità. C’è un salmo terribile che dice: l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono (Sal 48,13). Come dire: chi si affida alla propria ricchezza, giunge a perdere la dignità del suo essere umano. Con una parabola ancora più eloquente Gesù ce lo spiega meglio al capitolo 16 del vangelo di Luca (Lazzaro e il ricco epulone). Si tratta di un tema molto caro all’evangelista. Il problema dell’uomo sta tutto nel decidere quale dio vuole servire, in quanto nessuno può servire due padroni, perché o odierà uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13). Inoltre, non è solo un problema di libertà, ma di verità. Perché in fondo, cosa promette a sé stesso il ricco della parabola mettendo in atto il proprio ragionamento? Promette alla propria anima molti beni, molti anni, riposo, sazietà e divertimento (Lc 12,19). Sarà così? Un tale ragionamento che cerca vita e felicità in questo modo, mantiene ciò che promette?

Io conosco un uomo con una sorella che gli ha piantato una calunnia addosso, accusandolo di aver falsificato il testamento di uno zio. Quest’uomo cristiano soffre per l’offesa che subisce da tempo e che lo ha costretto ad andare in tribunale. Ha cercato di dialogare con lei in tutti i modi, non le porta alcun rancore e mi ha confidato che è già pronto a rinunciare alla sua parte di eredità, anche se il tribunale umano dovesse riconoscergli l’ingiustizia subita. Non riesce a capire come sua sorella gli si sia rivoltata contro, ma “è sempre sua sorella” – mi dice – e allora è molto preoccupato per lei più che per i soldi a cui rinuncerà. E mentre sua sorella non ha pace e continua a spargere tra tutti i conoscenti comuni la sua “pseudo-verità”, per paura di non arrivare a prendersi quello che vuole, suo fratello invece emana dalla sua bocca e da tutto il suo essere una pace misteriosa. Perché ragionare seguendo la propria cupidigia non solo ti rende nemico tuo fratello, ma alla lunga ti si ritorce contro. Senza Dio, ogni ragionamento diventa irragionevole e fa compiere il male. E si arriva persino a spaccare la propria famiglia, pur di averla vinta. Cosicché qualsiasi eredità, anziché assicurare una esistenza serena e riposante, trasforma la vita in un inferno. Questo è quello che fa la ricchezza diventata “dio” nel cuore umano: alla lunga o improvvisamente, il suo inganno verrà a galla e lo priverà anche della vita felice che cercava spontaneamente (Lc 12,21).

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¿RAZONAR SIN O CON DIOS?

Maestro, dile a mi hermano que divida con me la herencia, dijo a Jesús un tal entre la gente que lo circundaba (Lc 12,13). ¿No es quizás un pedido legítimo? ¿No debería ser así entre hermanos? Pero el Señor se escabulle de la pregunta (Lc 12,14). ¿Por qué? ¿Se opone en ser el mediador patrimonial? ¿Su respuesta es para considerarse como un desprecio al pedido? Toda otra cosa. En sí, el pedido es legítimo y humanísima solicitud. Pero su pretensión es ambigua. Jesús intuye que puede nacer no de un deseo de recibir lo que es justo para la propia vida y la de sus familiares, sino del miedo de ser abrumado del otro heredero en la riqueza, o también de la no disimulada voluntad de tener más. En este tipo de asuntos, donde el miedo o la codicia dominan el corazón humano, Jesús no tiene nada que hacer. Pero hay que notar que se lo quisiera de la propia parte para la defensa de los propios intereses: di a mi hermano. He aquí uno de los motivos por el cual, para tantos que se encuentran en esta actitud, Jesús es solo un Dios decepcionante. Él en cambio, que se preocupa por nuestra salvación, aprovecha el pedido para lanzar un saludable pedido.

Guárdense de toda clase de codicia, amonesta el Señor (Lc 12,15). Ya, porque el domingo próximo nos dirá también que donde está tu tesoro, allí estará también tu corazón (Lc 12,34). Entonces un serio peligro a la vida del hombre viene del afecto a la riqueza. Puede llegar a ser inexorablemente el dios (falso) de la propia vida, como sucede al rico personaje de la parábola que Jesús cuenta. El Señor invita a observar la reflexión provocada en aquel hombre de la abundancia de la cosecha (Lc 12,16). Un hombre que no interpreta su vida como un don del Padre para compartir con los demás hermanos (cfr. La oración del Padre nuestro), la interpretará como una propiedad por defender con todos los bienes anexos y conexos. Su pensamiento será entonces orientado a mantener a todas costas la propia abundancia, haciéndola crecer, pero solo para sí. Y aquí está el engaño. Las palabras que este dice entre sí tienen como objetivo solo y solamente sí mismo. Si hacen caso, en la parábola acampan palabras como mis cosechas, mis almacenes, mis bienes, mi alma. El adjetivo posesivo “mío” la hace como patrón. No hay espacio para los demás que no son nunca citados, sino al final por Dios, que los vuelve a llamar a la consciencia de aquel hombre llamado necio (Lc 12,20).

Si para el hombre que no conoce (y no se pone el problema de conocerlo) a Dios aquel razonamiento puede parecer lógico o sabio, para la Biblia en cambio es estupidez. Hay un salmo terrible que dice: el hombre en la prosperidad no comprende, es como los animales que perecen (Sal 48,13). Cómo decir: quien se confía en la propia riqueza, alcanza a perder la dignidad de su ser humano. Con una parábola aún más elocuente Jesús nos lo explica mejor en el capítulo 16 del evangelio de Lucas (Lázaro y el rico epulón). Se trata de un tema muy querido al evangelista. El problema del hombre está todo en el decidir a cuál dios quiere servir, en cuanto nadie puede servir a dos padrones, porque o odiará a uno y amará al otro, o se aficionará a uno y despreciará al otro: no pueden servir a Dios y amar al dinero (Lc 16,13) además, no es solo un problema de libertad, sino de verdad. ¿Porque en fondo, qué cosa promete a sí mismo el rico de la parábola poniendo en acto el propio razonamiento? Promete a la propia alma muchos bienes, muchos años, reposo, saciedad y diversión (Lc 12, 19). ¿Será así? ¿Un tal razonamiento que busca vida y felicidad de este modo, mantiene lo que promete?

Yo conozco a un hombre con una hermana que le ha plantado una calumnia encima, acusándolo de haber falsificado el testamento de un tío. Este hombre cristiano sufre por la ofensa que padece desde hace tiempo y que lo ha obligado a ir al tribunal. Ha intentado hablar con ella en todos los modos, no le tiene ningún rencor y me ha confiado que ya está listo a renunciar a su parte de herencia, también si el tribunal humano le reconociera la injusticia sufrida. No logra a entender cómo su hermana se volvió contra él, pero “es siempre su hermana” -me dice- y entonces está muy preocupado por ella más que por el dinero al cual renunciará. Y mientras su hermana no tiene paz y continúa a desparramar entre todos los conocidos comunes su “pseudo-verdad”, por miedo de no llegar a tomarse lo que quiere, su hermano en cambio emana de su boca y de todo su ser una paz misteriosa. Porque razonar siguiendo la propia codicia no solo te hace enemigo de tu hermano, sino que a la larga se vuelve en tu contra. Sin Dios, cada razonamiento se vuelve irrazonable y hace cumplir el mal. Y hasta se llega a destruir a la propia familia, con tal de ganar. Así que cualquier herencia, en cambio de asegurar una existencia serena y de reposo, transforma la vida en un infierno. Esto es lo que hace la riqueza se vuelve “dios” en el corazón humano: a la larga o de improviso, su engaño saldrá a la superficie y lo privará también de la vida feliz que buscaba espontáneamente (Lc 12,21)