L’AMORE RALLENTA E CHIEDE RELAZIONE

VI DOMENICA DI PASQUA

anno C (2019)

At 15,1-2.22-29; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

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La seconda lettura di oggi, tratta dal libro dell’Apocalisse, ci parla della Gerusalemme celeste, la città risplendente della Gloria di Dio che ci attende già pronta nel futuro: è il paradiso in cui vivremo per sempre, una città che non ha più bisogno della luce del sole né della luce della luna (Ap 21,23). Leggendo queste parole, non ho potuto fare a meno di pensare, non senza una punta di sofferenza, alle parole dei due giovani uomini che, in diretta facebook e alla velocità di 220 km/h in autostrada, domenica scorsa invece comunicavano compiaciuti che li aspettava un party con droga, e che non era il caso di fermarsi in autogrill. Ma non li aspettava la città di Rovigo come affermavano in diretta, bensì la morte. Metafora terribile della vita con proverbio che udivo sin da piccolo: chi va piano, va sano e va lontano; chi va forte, li attende la morte. Dio accolga quei due uomini nella sua misericordia, ma a noi resti vivo il monito di una domanda sulla incessante accelerazione impressa a tutta l’esistenza che impedisce di fermarci, di pensare, di guardare cosa c’è nel fondo del nostro cuore: ma davvero impedisce di rallentare?

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Gesù dialoga con i suoi discepoli, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, maggio 2019

B.Pascal diceva che l’uomo non può esimersi di scommettere su qualcosa. Insomma, non si può barare con la vita. Alla lunga, essa fa venire a galla su cosa uno ha puntato le sue “fiches”. E, da genio qual era, concludeva: “se Dio non c’è, ed io ho creduto in Lui, ho perso poco. Ma se Dio c’è, e non gli avete creduto, avete perso tutto” (I pensieri, paragrafo 233). Nel vangelo Gesù ci offre delle indicazioni importanti al riguardo. Chi è la persona che lo ama? E’ uno che riconosce la sua autorità e quindi scommette sulle sue parole. Anche solo umanamente, è qualcosa di comprensibilissimo. In questi giorni ho incontrato uno stimato imprenditore. In cordata con altri imprenditori stava portando a termine un affare all’estero, presso alcuni industriali di sua conoscenza. Poi la cordata ha complicato l’affare costringendo quell’imprenditore a ripensarci, ma quegli industriali dall’estero hanno fatto sapere agli altri: “senza di lui l’affare non si fa. Noi ci fidiamo soltanto di lui e della sua parola”. Gesù assicura che chi si occupa delle sue parole sperimenterà l’amore del Padre, e sarà un’esperienza stabile: e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). Per il credente, vivere sicuri o meno dell’amore di Dio, non è la stessa cosa.

Un altro effetto dell’amore di Dio è quello di rinverdire la memoria. Infatti, il dono dello Spirito è che, tra le tante opere belle che fa, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che ho detto (Gv 14,26). Dunque bando alla memoria corta, malattia che fa tanto male alla nostra umanità. Chi ascolta e vive la parola di Gesù, ha lo Spirito di Dio che lo mantiene lucido con un’ottima RAM per non farla dimenticare; né fa dimenticare le lezioni del passato, rimanendo ben agganciati alla realtà. Vi insegnerà e vi ricorderà: quella congiunzione significa che l’insegnamento avviene esattamente nella memoria che si fa. Perciò noi cristiani non possiamo fare a meno dell’eucarestia domenicale: lì, insegnamento e ricordo di Gesù sono una sola cosa e Lo rendono presente! Se davvero ci credessimo, nessuno di noi potrebbe dire frasi del tipo: “sono credente, ma non sono praticante” – “Cristo sì, ma la chiesa no” – “credo, ma non mi sento di far parte della comunità credente”.

I doni di Dio non finiscono qui. Lo Spirito Santo porta con se la pace. Non come la da il mondo io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore (Gv 14,27). Ecco un dono di cui si ha un estremo bisogno. La pace di Gesù nel cuore, l’unica realtà che può scacciare il mondo di paure che ci abita. Mentre ieri ero a pranzo da amici vengo a sapere che i loro vicini, una giovane coppia, hanno avuto il loro secondo bambino. La signora mia amica mi racconta che un giorno prepara un piccolo dono e bussa alla porta dei vicini per congratularsi con loro. La giovane mamma l’ascolta sbrigativamente, prende tra le sue mani quel dono a malapena, poi si ritira subito dietro la porta e non la invita nemmeno ad entrare in casa. Ecco, in miniatura, ciò che sta accadendo oggi tra gli uomini. Si accoglie volentieri la pace che il mondo da, quella che ti fa star comodo e chiuso in casa tua, centrati su sé stessi. Non si accoglie invece la pace di Gesù, che non è a buon mercato e non ci risparmia ostacoli e sofferenze, ma ci “costringe” ad uscire quasi sempre dalle nostre “zone di comfort”, come si dice in gergo psicologico. Così, quasi impercettibilmente, si mette da parte ciò che insegna la fede, e si vive di paura. Poi magari si prende la fede e la si adopera a difesa di pseudo-nemici, per negare la paura. Ma questa domenica si vota e allora meglio fermarsi qui, sarebbe troppo facile pensare che sto alludendo a qualcuno.

 

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EL AMOR VA DESPACIO Y PIDE RELACION

 

La segunda lectura de hoy, trata del libro del Apocalipsis, nos habla de la Jerusalén celeste, la ciudad resplandeciente de la Gloria de Dios que nos espera ya lista en el futuro: es el paraíso en el cual viviremos por siempre, una ciudad que no necesita  de la luz del sol ni de la luz de la luna (Ap 21,23). Leyendo estas palabras, no he podido no pensar, no sin una punta de sufrimiento, a las palabras de dos jóvenes hombres que, en vivo de facebook y a la velocidad de 220 km/h en la autopista, el domingo pasado comunicaban complacidos que los esperaba una fiesta con droga, y que no era el caso de detenerse en la gasolinera. Pero no les esperaba la ciudad de Rovigo como afirmaban en directo, sino la muerte. Metáfora terrible de la vida con proverbio que oía desde pequeño: quien va despacio, va sano y lejos; quien va rápido, lo espera la muerte. Dios acoja a estos dos hombres en su misericordia, pero a nosotros se quede viva la advertencia de una pregunta sobre la incesante aceleración  estampada a toda la existencia que impide detenerse, pensar, mirar lo que hay en el fondo de nuestro corazón: ¿pero de verdad impide ir despacio?

Pascal decía que el hombre no puede excluirse en apostar por algo. Quiero decir, no se puede hacer trampa con la vida. A la larga, ella hace salir a flote sobre lo cual uno ha apuntado sus “fichas”. Y, de genio que era, concluía: “si Dios no existe, y yo he creído en Él, he perdido poco. Pero si Dios existe, y no le han creído, han perdido todo” (Los pensamientos, parágrafo 233). En el evangelio Jesús nos ofrece indicaciones importantes al respecto. ¿Quién es la persona que lo ama? Es uno que reconoce su autoridad y entonces apuesta en sus palabras. También solo humanamente, es algo muy comprensible. En estos días he encontrado a un estimado emprendedor. Junto a otros emprendedores estaba concluyendo un negocio en el exterior, ante algunos industriales conocidos por él. Luego el equipo ha complicado el negocio obligando a este emprendedor a pensarlo bien, pero esos industriales del exterior han hecho saber a los demás: “sin él el negocio no se hace. Nosotros nos confiamos solo de él y de su palabra”. Jesús asegura que quien se ocupa de sus palabras probará el amor del Padre, y será una experiencia estable: y vendremos a él y haremos morada en él (Jn 14,23). Para el creyente, vivir seguros o no del amor de Dios, no es la misma cosa.

Otro efecto del amor de Dios es de recobrar la memoria. De hecho, el don del Espíritu es que, entre las tantas lindas obras que hace, será quien les enseñe todo y les irá recordando todo lo que les he dicho (Jn 14,26). Entonces prohíbo a la memoria corta, enfermedad que hace tanto mal a nuestra humanidad. Quien escucha y vive la palabra de Jesús, tiene el Espíritu de Dios que lo mantiene lúcido con un óptimo RAM para no hacerla olvidar; ni hace olvidar las lecciones del pasado, quedándose bien enganchados a la realidad. Les enseñará y les recordará: aquella conjunción significa que la enseñanza sucede exactamente en la memoria que se hace. Por lo cual nosotros cristianos no podemos prescindir de la eucaristía dominical: allí, la enseñanza y recuerdo de Jesús son una sola cosa y ¡Lo hacen presente! Si de verdad creyéramos, nadie de nosotros podría decir frases del tipo: “soy creyente, pero no soy practicante” – “Cristo sí, pero la iglesia no” – “creo, pero no siento hacer parte de la comunidad creyente”.

Los dones de Dios no terminan aquí. El Espíritu Santo trae consigo la paz. No como la da el mundo yo la doy a ustedes. No se angustien ni se acobarden (Jn 14,27).  He aquí un don del cual se tiene una extrema necesidad. La paz de Jesús en el corazón, la única realidad que puede expulsar el mundo de miedos que nos habita. Mientras ayer estaba en un almuerzo con amigos vengo a saber que sus vecinos, una joven pareja, han tenido su segundo niño. La señora amiga mía me contaba que un día preparó un pequeño don y tocó la puerta de los vecinos para felicitarlos. La joven mamá la escucha con apuro, toma entre sus manos el don a mala pena, luego se retira inmediatamente detrás de la puerta y no la invita ni siquiera a entrar a su casa. He aquí, en miniatura lo que está sucediendo hoy entre los hombres. Se acoge con gusto la paz que el mundo da, aquella que te hace estar cómodo y cerrado en casa tuya, centrados en sí mismos. No se acoge en cambio la paz de Jesús, que no está a buen mercado y no nos ahorra obstáculos y sufrimientos, sino que nos “obliga” a salir casi siempre de nuestras “zonas de confort”, como se dice en jerga psicológica. Así, casi imperceptiblemente, se pone a un lado lo que enseña la fe, y se vive de miedo. Luego quizás se toma la fe y se usa en defensa de pseudos -enemigos, para negar el miedo. Pero este domingo se vota mejor detenerse aquí, sería demasiado fácil pensar que estoy aludiendo a alguien.

3 Comments

  1. Pace è una parola preziosa ma purtroppo rara oggi. Siamo una generazione di “Non pacificati”, lo si vede in ogni ambito della vita….Oggi si è pronti ad aggredire l’altro perché si parte diffidando….diffida il credente nei confronti della sua Chiesa, il paziente del medico, il cittadino diffida dell’ Autorità, il genitore degli Insegnanti…È così via.
    Sì pensa che l’altro si sia messo accanto a noi per “fregarci”!
    Bisogna recuperare la strada della pace, mettendoci in gioco. È infatti facile giudicare senza fare qualcosa per cambiare le cose. Mi fanno sorridere quei genitori che criticano la scuola poi alle elezioni per i Consigli di Classe non si presentano e non esercitano i loro diritti dando il proprio contributo! Mi fanno sorridere amaramente anche quei sedicenti Cristiani che non si avvicinano al nucleo della loro Comunità per timore di essere coinvolti ma ne criticano le scelte! Sorrido amaramente anche quando i pazienti riconoscono soltanto le poche cose che non funzionano dando addosso ai Medici e non vedono quanto di buono c’è e quanti progressi ha fatto la medicina negli ultimi anni….oggi si è addirittura arrivati a far condividere la “riconciliazione” tra medico e paziente, sulle terapie messe in atto….e quando i cittadini si lamentano della disorganizzazione civile ma non si “sporcano” le mani per mettersi in gioco…..

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    1. Grazie di questa radiografia, ma che dico, di questa risonanza magnetica della situazione odierna: a livello ecclesiale, più che cercare di essere chiesa “missionaria”, siamo una chiesa piuttosto “dimissionaria”. Ma anche questo fa parte del grande cambiamento d’epoca in cui siamo immersi: i numeri non ci sostengono, ma noi credenti non puntiamo sui numeri, bensì sull’unico cambiamento che è in grado di cambiare il destino del mondo, cioè continuare a riformare la nostra vita personale nella conversione cui ci chiama ogni giorno il Signore. Pochi, ma impegnati nella fede.

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