PADRE PADRONE?

XXXIII DOMENICA DEL T.O.

anno A (2023)

Pr 31,10-13.19-20.30-31; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

 

Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

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Il fatto che la famosa parabola dei talenti si avvii con un verbo coniugato al futuro, avverrà che, significa che l’intento di Gesù è quello di prepararci (come la sua chiesa sta facendo all’avvicinarsi dell’Avvento) a quel giorno del Signore di cui S.Paolo parla ai cristiani di Tessalonica (2a lettura). La parabola conferma che il ritorno del Signore è certo, anche se non se ne conosce la modalità e il puntuale riferimento spazio-temporale. Cosa è necessario sapere su quel giorno? In che modo ci si prepara? A cosa dare somma importanza nell’attesa? La parabola delle vergini stolte e sagge di domenica scorsa ha già dato un’indicazione fondamentale. Prima di tutto vegliare, cioè stare attenti a come ci si relaziona con il proprio tempo, non vivere come se noi ne fossimo i padroni. Cercare di essere previdenti (riserve di olio in piccoli vasi) per saper affrontare l’imprevedibile appuntamento con lo Sposo, onde evitare che la lampada della fede si spenga e non ci si accorga del suo passaggio. Ma l’insegnamento della parabola di questa domenica scende ancora più in profondità.

Come un uomo che partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14). Puoi pensarla come vuoi, ma la vita sta tutta in questa prima affermazione. Io non me la sono data la vita, so solo che Qualcuno mi ha chiamato ad essa e in essa mi ha messo dentro i suoi doni. Se la vita è un dono allora ci si mette al suo servizio, al di là della sua multiformità. Ecco la questione della diversità dei talenti donati secondo la capacità di ciascuno (Mt 25,15). È interessante osservare che c’è chi subito sembra capire che nella vita, i doni che si hanno vanno donati, impiegati, trafficati, perché questo vuol dire essere servi suoi, come se si intuisse che la vita che si è ricevuta in dono va donata, altrimenti si snatura e ce ne facciamo padroni. Infatti c’è anche chi nasconde il dono ricevuto (Mt 25,16-18). Perché fa questo? Lui stesso lo confesserà a chi di dovere. Infatti, dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro (Mt 25,19), e cosa scopriamo? Che i due servi che hanno condiviso i loro talenti sono diventati fecondi: hanno capito che il segreto della vita è donare ciò che si è e ciò che si ha. Questo li fa assomigliare al padrone che, prima di partire, aveva condiviso i suoi beni con loro. Perciò la loro comune ricompensa è sentirsi dire: prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21-23). Perché questi è “il padrone”: un padre grande nell’amore che ci dona tutto con sé, non si tiene niente, donandoci persino la sua divinità, ovvero la sua capacità di amare.

Parabola dei talenti 3

Cosa scopriamo del servo che scavò la buca per nascondere il suo talento? La sua confessione è rivelazione del suo cuore: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo (Mt 25,24-25). Proviamo a declinare queste affermazioni. Intanto questo servo è sicuro di conoscere il suo padrone. Perché è così sicuro? E qual è la sua sicurezza? Lo definisce un uomo duro, persino ingiusto, perché miete e raccoglie dove non ha faticato e dove non ci ha messo del suo seme. E la cosa davvero paradossale è che questa sicurezza si mantiene con la sua paura, come se costui si trovasse a suo agio in essa e non temesse di seguirla nelle sue decisioni. Il problema capitale del servo è questa falsa conoscenza data invece come sicura, frutto della distorsione diabolica dell’immagine di Dio. Il messaggio importantissimo della parabola allora, non è semplicemente quello di darsi da fare nella vita per far fruttare i propri talenti, ma piuttosto di interrogarsi sul movente profondo del proprio vivere. Che immagine di Dio vive in me? Corrisponde a quella che Gesù mi dona nei vangeli? Nella mia vita, faccio esperienza di un “padre padrone” o di un padrone perché grande padre nell’amore? Il compito di ciascuno, nel suo cammino, è di darsi una risposta sincera, per non rischiare di trovarsi troppo tardi a scoprire di aver affossato il proprio talento in una buca.

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PADRE PATRON?

El hecho de que la famosa parábola de los talentos se inicie con un verbo conjugado al futuro, sucederá que, significa que la intención de Jesús es prepararnos (como su iglesia está haciendo al acercarse el Adviento) en aquel día del Señor, del que san Pablo habla a los cristianos de Tesalónica (segunda lectura). La parábola confirma que el regreso del Señor es cierto, aunque no se conoce la modalidad y la oportuna referencia espaciotemporal. ¿Qué necesitas saber sobre ese día? ¿Cómo te preparas? ¿A qué le das suma importancia mientras esperas? La parábola de las vírgenes necias y sabias del domingo pasado ya ha dado una indicación fundamental. Ante todo, velar, es decir, estar atentos a cómo nos relacionamos con el propio tiempo, no vivir como si nosotros fuéramos sus dueños. Tratar de ser previsores (reservas de aceite en pequeños contenedores) para saber afrontar la imprevisible cita con el Esposo, para evitar que la lámpara de la fe se apague y no nos demos cuenta de su paso. Pero la enseñanza de la parábola de este domingo desciende aún más en profundidad.

Como un hombre que se fue de viaje, llamó a sus siervos y les entregó sus bienes (Mt 25,14). Puedes pensar como quieras, pero la vida está en esta primera afirmación. Yo no me he dado la vida, solo sé que Alguien me ha llamado a ella y en ella me ha puesto dentro de sus dones. Si la vida es un don, entonces nos ponemos a su servicio, más allá de su multiformidad. He aquí la cuestión de la diversidad de los talentos donados según la capacidad de cada uno (Mt 25,15). Es interesante observar que hay quien inmediatamente parece entender que en la vida, los dones que se han dado deben ser donados, empleados, traficados, porque esto quiere decir ser sus siervos, como si se intuyera que la vida que se ha recibido como don debe ser donada, Si no, se desvirtúa y nos hacemos dueños. En efecto, hay también quien oculta el don recibido (Mt 25,16-18). ¿Por qué hace esto? Él mismo lo confesará a quien de deber. De hecho, después de mucho tiempo el señor de aquellos siervos volvió y quiso saldar cuentas con ellos (Mt 25,19), y ¿qué descubrimos? Que los dos siervos que han compartido sus talentos se han vuelto fecundos: han comprendido que el secreto de la vida es dar lo que se es y lo que se tiene. Esto los hace parecerse al dueño que, antes de partir, había compartido sus bienes con ellos. Por eso, su recompensa común es sentirse decir: toma parte en la alegría de tu amo (Mt 25,21-23). Porque este es “el dueño”: un padre grande en el amor que nos da todo con él, no se queda nada, dándonos incluso su divinidad, es decir, su capacidad de amar.

¿Qué sabemos del sirviente que cavó el agujero para ocultar su talento? Su confesión es revelación de su corazón: Señor, sé que eres un hombre duro, que siegas donde no has sembrado y recoges donde no has esparcido. Tuve miedo y fui a esconder tu talento bajo tierra: esto es lo que es tuyo (Mt 25,24-25). Tratemos de declinar estas afirmaciones. Mientras tanto este siervo está seguro de conocer a su amo. ¿Por qué está tan seguro? ¿Y cuál es su seguridad? Lo define como un hombre duro, incluso injusto, porque cosecha y cosecha donde no ha trabajado y donde no ha puesto su semilla. Y lo verdaderamente paradójico es que esta seguridad se mantiene con su miedo, como si él estuviera a gusto en ella y no temiera seguirla en sus decisiones. El problema capital del siervo es este falso conocimiento dado como seguro, fruto de la distorsión diabólica de la imagen de Dios. El mensaje importantísimo de la parábola entonces no es simplemente el de esforzarse en la vida para hacer fructificar los propios talentos, sino más bien interrogarse sobre el motivo profundo del propio vivir. ¿Qué imagen de Dios vive en mí? ¿Corresponde a la que Jesús me da en los evangelios? En mi vida, ¿tengo experiencia de un “padre amo” o de un amo porque es un gran padre en el amor? La tarea de cada uno, en su camino, es darse una respuesta sincera, para no correr el riesgo de encontrarse demasiado tarde para descubrir que han hundido su talento en un hoyo.