BISOGNA FAR FESTA CON DIO, ALTRIMENTI NON E’ DIO

4a DOMENICA DI QUARESIMA “LAETARE”

anno C (2022)

Gs 5,9-12; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-32

Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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Secondo l’odierno testo di Lc 15, davanti a Gesù Cristo gli uomini si dividono in 2 categorie di persone. Quelli che lo ascoltano e quelli che mormorano su di lui. Alla prima categoria appartengono pubblicani e peccatori: gente che ha una pessima reputazione, gente ferita, persone che non ce la fanno proprio a sistemarsi e vivere una vita per bene. Alla seconda categoria appartengono invece scribi e farisei, ovvero campioni di vita religiosa e dalla buona fama presso gli uomini, persone che hanno sempre una parola su tutto, influenti, oggi diciamo influencer, persone che sanno stare al mondo e cadono sempre in piedi. Nota immediata dell’evangelista: i primi si avvicinano a Gesù, dei secondi non lo si dice. Perché? La Bibbia afferma ripetutamente che la mormorazione allontana da Dio. Come ci ricordava la 2a lettura di domenica scorsa (1Cor 10,10), una gran parte del popolo eletto cadde nel deserto per le continue mormorazioni. Ma a ben vedere, con questa celebre parabola che chiude il trittico di Lc 15, Gesù dirige il suo insegnamento proprio a tutti quelli che rientrano nella seconda categoria. L’amore di Dio vuole salvare a tutti i costi chi ad esso si sottrae volutamente.

La prima categoria è ben rappresentata dal figlio minore della parabola. Storie di chi, correndo dietro alle illusioni di questo mondo, si ritrova deluso e impoverito dalle proprie scelte. Persone che, toccando il fondo del male in cui sono impelagate, avvertono nel profondo una misteriosa nostalgia che li spinge a far memoria di quanto si è ricevuto (Lc 15,14-17). Persone che sentono questa nostalgia perché hanno il coraggio di riconoscere il vuoto che c’è nella propria anima: sono dunque aperte alla rivelazione che Dio vuol donare di sé stesso. Infatti, è sufficiente questo movimento interiore provocato dalla nostalgia per far scoccare l’ora suprema della conoscenza di Dio. Notate la preparazione delle parole del figlio prima dell’incontro: nel riconoscere di aver sbagliato tutto, non sentendosi più degno di essere chiamato “figlio”, si propone la richiesta da fare a suo padre di non essere trattati come tali (Lc 15,18-19). E invece ecco la sorprendente scoperta, ancor prima che il ragazzo proferisca queste sue parole. Vedendolo rientrare, il padre esplode in un comportamento assolutamente inspiegabile, correndogli incontro come un giovinetto e coprendolo di abbracci e baci (Lc 15,20). Poi i comandi diretti agli inservienti che hanno un solo significato e scopo: “tu mi dici che non sei più figlio e vuoi essere considerato come un servo qualsiasi? Io invece ti dico che sei sempre mio figlio e per questo ordino subito una festa grandiosa con tutti, perché ora sei qui con me.” (Lc 15,22-24)

Padre di festa

La seconda categoria è altrettanto ben rappresentata dal figlio maggiore. Gente fedelissima ai suoi doveri, talmente fedele che la loro stessa vita arriva a identificarsi con il proprio dovere. E, come tutti quelli che interpretano la vita come un dovere, si perde la sensibilità alla festa e alla gioia. Il figlio ferma un inserviente e chiede ragione di musica e danze che giungono alle sue orecchie. La risposta di questi scova nei meandri del suo cuore “il peccato del giusto”: egli si indignò e non voleva entrare in casa (Lc 15,26-28a). Cioè, sulla soglia di casa, provò un sentimento di profondo rifiuto della scena a sorpresa che si presentò alle sue orecchie e non ancora agli occhi. Come dire: non può vedere chi è e che cosa fa Dio colui che prima non lo ascolta e non l’accoglie. Qui vediamo l’intento più intimo della parabola raccontata da Gesù. Raggiungere a tutti i costi chi è gli vicino solo apparentemente, perché ha il cuore lontano da lui. Suo padre allora uscì a supplicarlo (Lc 15,28b). Adesso si possono capire meglio le parole di Paolo nella seconda lettura: vi supplichiamo in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5,20). La supplica del padre della parabola è la supplica dell’apostolo.

Ora si delineano meglio i tratti del volto del padre, vero protagonista della parabola. Un padre che inizialmente sembra aver problemi con un solo dei figli, e che alla fine pare ne avesse con entrambi. Ma è il padre che ne ha, o non sono forse i figli ad avere qualche problema con lui? Egli si manifesta al figlio più giovane con un amore non umano, in un’asimmetria della condotta che non può essere spiegata razionalmente, ma che potremmo riassumere così: “figlio, tu mi offendi e mi abbandoni ma io non ti mollo e ti amo ancora di più”: che amore è questo? Poi si manifesta al più grande con una incredibile umiltà e una supplica struggente, perché non può sopportare nemmeno l’idea che egli non rientri a casa a far festa insieme a lui. E fa appello non alla sua ragione, ma al suo cuore: figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,31-32) Qui non ci sono argomentazioni, c’è solo la dichiarazione di una necessità, comprensibile solo a chi è disposto ad andare oltre la propria giustizia, cioè oltre l’immagine equivoca che si ha di Dio. Dio infatti, è molto di più della sua legge: Deus misericordia est.       

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ES NECESARIO HACER FIESTA CON DIOS, DE LO CONTRARIO NO ES DIOS

Según el actual texto de Lc 15, delante de Jesucristo los hombres se dividen en 2 categorías de personas. Aquellos que lo escuchan y aquellos que murmuran sobre él. A la primera categoría pertenecen publicano y pecadores: gente que tiene una pésima reputación, gente herida, personas que no logran a resolverse y vivir una vida de bien. A la segunda categoría pertenecen en cambio escribas y fariseos, o campeones de vida religiosa y de la buena fama frente a los hombres, personas que tienen siempre una palabra, sobre todo, influyentes, hoy decimos influencer, personas que saben estar en el mundo y caen siempre de pie. Nota inmediata del evangelista: los primeros se acercan a Jesús, los segundos no se dice. ¿Por qué? La Biblia afirma repetidamente que la murmuración aleja de Dios. Como nos recordaba la 2da lectura del domingo pasado (1Cor 10,10), una gran parte del pueblo elegido cae en el desierto por las continuas murmuraciones. Pero para ver bien, con esta célebre parábola que cierra el tríptico de Lc 15, Jesús dirige su enseñanza justamente a todos aquellos que entran en la segunda categoría. El amor de Dios quiere salvar a cualquier precio a quien a esto se sustrae deliberadamente.

La primera categoría es bien representada por el hijo menor de la parábola. Historias de quien, corriendo detrás de las ilusiones de este mundo, se encuentra decepcionado y empobrecido de las propias elecciones. Personas que, tocando el fondo del mal en el cual están empalagados, advierten en lo profundo una misteriosa nostalgia que los empuja a hacer memoria de cuanto se ha recibido (Lc 15,14-17). Personas que sienten nostalgia porque tienen el coraje de reconocer el vacío que hay en la propia alma: son entonces abiertas a la revelación que Dios quiere donar de sí mismo. De hecho, es suficiente este movimiento interior provocado de la nostalgia para hacer disparar la hora suprema del conocimiento de Dios. Noten la preparación de las palabras del hijo antes del encuentro: en el reconocer haberse equivocado todo, no sintiéndose más digno de ser llamado “hijo”, se propone el pedido para hacer a su padre de no ser tratado como tales (Lc 15,18-19). Y en cambio el sorprendente descubrimiento, todavía antes que el joven profiera estas palabras. Viéndolo regresar, el padre explota en un comportamiento absolutamente inexplicable, corriendo a su encuentro como un jovencito y cubriéndolo de abrazos y besos (Lc 15,20). Luego los mandados directos a los sirvientes que tienen un solo significado y finalidad: “¿tú mi dices que no eres más hijo y quieres ser considerado como un siervo cualquiera? Yo en cambio te digo que eres siempre mi hijo y por esto ordeno inmediatamente una fiesta grandiosa con todos, porque ahora estás aquí conmigo”. (Lc 15,22-24)

La segunda categoría es igualmente bien representada por el hijo mayor. Gente fidelísima a sus deberes, tanto fiel que su misma vida llega a identificarse con el propio deber. Y, como todos aquellos que interpretan la vida como un deber, se pierde la sensibilidad a la fiesta y al gozo. El hijo detiene a un sirviente y pregunta la razón de la música y danzas que alcanzan sus oídos. La respuesta de este busca en las profundidades de su corazón “el pecado del justo”: él se indignó y no quería entrar a la casa (Lc 15,26-28a). O sea, en el umbral de la casa, probó un sentimiento de profundo rechazo de la escena sorpresiva que se presentó a sus oídos y todavía a los ojos. Como decirlo: no puede ver quién es y qué cosa hace Dios aquella persona que antes no lo escucha y no lo acoge. Aquí vemos el intento más íntimo de la parábola narrada por Jesús. Alcanzar de cualquier manera a quien es cercano solo aparentemente, porque tiene el corazón lejos de él. Su padre entonces salió a suplicarle (Lc 15,28b). Ahora se pueden entender mejor las palabras de Pablo en la segunda lectura: les suplicamos en nombre de Cristo, déjense reconciliar con Dios (2Cor 5,20). La súplica del padre de la parábola es la súplica del apóstol.

Ahora se delinean mejor los rasgos del rostro del padre, verdadero protagonista de la parábola. Un padre que inicialmente parece tener problemas con uno solo de los hijos, y que al final parece los tuviera con los dos. Pero ¿es el padre o no son quizás los hijos en tener algunos problemas con él? Él se manifiesta al hijo más joven con un amor no humano, en una asimetría de la conducta que no puede ser explicada racionalmente, pero que podremos resumir así: “hijo, tú me ofendes y me abandonas, pero yo no te suelto y te amor todavía más”: ¿qué amor es este? Luego se manifiesta al más grande con una increíble humildad y una súplica desgarradora, porque no puede soportar ni siquiera la idea que él no entre a casa a hacer fiesta junto a él. Y llama no a su razón, sino a su corazón: hijo, tú estás siempre conmigo y todo lo que es mío es tuyo; pero era necesario hacer fiesta y alegrarse, porque este tu hermano estaba muerto y ha regresado estaba muerto y ha vuelto a la vida, estaba perdido y lo hemos encontrado (Lc 15,31-32) aquí no hay argumentos, hay solo la declaración de una necesidad, comprensible solo a quien está dispuesto a ir más allá de la propia justicia, o sea, más allá de la imagen equivocada que se tiene de Dios. Dios de hecho, es mucho más de su ley: Deus misericordia est.