DIO INCONTENIBILE

IV DOMENICA DI QUARESIMA

anno C (2019)

Gs 5,9a.10-12; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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Ogni volta che finisco di leggere questa pagina di vangelo, ve lo dico non senza uno strano sentimento di gioia misto a tremore e anche un po’ di vergogna, mi pare di avvertire qualcosa di simile (ma non assolutamente paragonabile) a quanto sentito da S.Elisabetta, quando ricevette il saluto di sua cugina Maria (Lc 1,40-45). Sto semplicemente accostando il mio stato d’animo a questo celebre incontro, nulla di più, mi raccomando! Traducendo, è come se il mio cuore dicesse: “benedetto sei tu Gesù, e benedette sono queste tue parole! A che cosa debbo che il mio Signore venga da me anche oggi a raccontare questa parabola? Ecco, appena ho udito che tutti i pubblicani e i peccatori ti si avvicinavano per ascoltarti, e che ancora oggi accogli i peccatori e mangi con loro (Lc 15,1-2), un fremito è salito dalle profondità sconosciute della mia anima.”

Dopo poco più di 30 anni dall’annuncio ricevuto con questo vangelo, sono ancora qui a parlarvene volentieri, come se avessi udito questa parola per la prima volta. Perché c’è qualcosa di eterno, cioè di perennemente nuovo, che sgorga incessantemente dalla Bibbia. Prendiamo la già citata introduzione alla parabola. Alcuni si avvicinano/ascoltano Gesù, alcuni mormorano su Gesù. Nella vita le cose stanno così, comunque te la giri bisogna che alla fine tu ti riconosca tra questi o tra quelli. Il vangelo non ha la pretesa di confinare le persone in queste 2 categorie. Esistono certamente molti che non mormorano, altri che nemmeno sono incuriositi da Gesù. Ciò non toglie però che prima o poi si dovrà affrontare la questione: o si accolgono le parole di Gesù, o le si rifiutano. Non ci si può esimere dal prendere una posizione. In mezzo naturalmente, finché siamo su questa terra, ci è regalata sempre la grazia del tempo per cambiare, ovvero per convertirci. Come ci spiegava bene la parabola del proprietario e del contadino di domenica scorsa.

Rientrò in se stesso
Rientrò in se stesso, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2013

Al cuore del vangelo di oggi c’è una rivelazione che mina le fondamenta di ogni pensiero religioso: Dio infatti è un padre che si esprime nella tenerezza di una madre. Il racconto ci dice che un padre con due figli vede giungere il più giovane per rivendicare la sua eredità, ancor prima che la possa chiedere (Lc 15,12). Il che equivale a dire: “la sola cosa che mi interessa di te è quello che mi dai”. Ed è già ragionevole chiedersi come mai per quel figlio il papà non contasse niente. Comunque il ragazzo se ne va di casa e dilapida la sua eredità vivendo in modo dissoluto (Lc 15,13). Coincidenza sfortunata: scoppia una carestia. Le cose si mettono ancora peggio per i suoi bisogni. Trova un lavoro presso un tale che lo manda a pascolare i porci e arriva persino a desiderare il cibo dei porci! (Lc 15,14-16) Ed ecco la nostalgia di casa, non ancora del padre della casa. Là infatti mangiano bene persino i dipendenti. Il ragazzo prende una decisione: mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò…e poi prepara la sua confessione con una proposta: trattami come uno dei tuoi salariati (Lc 15,17-19).

Gli si gettò al collo
Gli si gettò al collo, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2013

In sé, per quello che ha combinato, al lettore la proposta può sembrare equa. Ma il problema di quel giovane (e forse anche del lettore) è che non conosceva ancora chi era suo padre. E’ il problema attualissimo di tanti figli di madre chiesa: battezzati e allontanatisi dal mondo della fede senza sapere perché, magari solo perché sentono Dio come una presenza invadente e ingombrante. Ma Dio è proprio così o è stato presentato così? Come ce lo presenta invece Gesù? Chi è questo padre davanti ai timidi passi di un figlio che sta cominciando a capire che forse si è sbagliato su di lui? Osservate bene: il padre della parabola sembra stesse solo aspettando ansiosamente questo momento. Né una parola di richiamo, né un segno di indignazione. Al solo rivedere il proprio figlio si scatena in lui un irresistibile slancio di affetto (Lc 15,20). Il ragazzo comincia a parlargli secondo il suo proposito, ma il padre lo interrompe. E’ troppo grande la gioia di riaverlo tra le sue braccia, è una gioia letteralmente incontenibile: Presto!… Quel giovane che non sapeva chi fosse suo padre ora, confuso da tanto amore, vede i servitori fargli indossare il vestito più bello, mettergli l’anello al dito e i calzari ai piedi (Lc 15,21-22), nonché preparare una grande festa per il suo ritorno (Lc 15,23-24). Scoprendo chi è suo padre, scopre anche la sua identità e qual è la sua vera eredità. Torniamo indietro un istante e chiediamoci: che cosa ha messo in moto il suo clamoroso ritorno? Aver preso tra le mani il proprio peccato e averlo messo davanti al padre. Dunque è il mio peccato il luogo dove inizio a conoscere chi è Dio.

Il fratello maggiore
Il figlio maggiore, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2013

E quelli che invece non si allontanano mai dalla chiesa e dal mondo della fede? Costoro conoscono meglio Dio? Il prosieguo della parabola, lungi dal generalizzare, sembra suggerire che il problema sia presente anche in essi. Anzi, il problema della conoscenza del padre rimbalza proprio a causa della festa che si sta celebrando in casa. Il figlio maggiore sta rientrando dai campi, sente la musica e le danze e chiede notizie a un servitore che gli spiega il motivo (Lc 15,25-27): è tornato a casa suo fratello! Ma invece di gioire con il padre e tutto il casato, il primogenito si indigna fino a rifiutarsi di entrare a casa (Lc 15,28). Anche costui non sa chi è suo padre. Ha vissuto sempre con Lui, non si è mai allontanato da casa sua, eppure non lo ha conosciuto. Le stesse parole che gli rivolge lo tradiscono (Lc 15,29-30). Come è possibile? Sta di fatto che il vangelo si conclude con un padre che supplica questo figlio di rientrare in casa, ma non si dice se questi rientra. Piuttosto, sembra che nel fondo delle sue parole ci sia un pesante giudizio negativo sul padre e sul fratello appena tornato. Lo stesso giudizio partito dalla mormorazione di scribi e farisei (Lc 15,2).

Alla luce di questo vangelo, che cos’è il cristianesimo? E’ la inaudita fede in un Dio illogico, inguaribilmente contento e festaiolo, imprevedibile, imperscrutabile nei suoi disegni e giudizi, inafferrabile nel suo lavoro all’interno del cuore umano, uno che abita fuori dai nostri schemi e dai nostri tentativi di “catturarlo” dentro una perfetta dottrina che soddisfi il nostro pensiero religioso. Essere a casa e “di casa” con Dio, non è questione di bandiera cristiana e di promulgazione minuziosa degli articoli di fede. E’ questione di amore e di conoscenza. Gesù lo dice altrove in un paio di modi simili: chi non è con me è contro di me (Mt 12,30), oppure chi non è contro di noi, è per noi (Mc 9,40). Cartina di tornasole della propria fede è guardarsi dentro davanti a questo vangelo e chiedersi: mi piace o non mi piace il padre della parabola? Sono uno che si rallegra di avere un Dio così, o sono uno che sta sempre a discutere/giudicare quello che fa? Gioisco quando un fratello “torna” nella casa di Dio? E se non ci fossero questi sentimenti, se non c’è gioia per questa sorprendente immagine di Dio, allora chi è il Dio in cui credo?

Caro fratello/sorella che mi stai leggendo, io sono solo uno di quei peccatori che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo, ma qualora ti stessi identificando con il figlio maggiore della parabola, non posso contenermi, devo dirtelo con Paolo e tutti coloro con cui condivido la gioia del ministero: ti supplico in nome di Cristo, lasciati riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in tuo favore…(2Cor 5,20-21). In gioco c’è la tua fede, la gioia di vivere, di sentirsi amato, di amare e conoscere Dio. Torna anche tu a casa. Vedrai e gusterai come è buono il Signore (Sal 33,9), perché la vita vera sta tutta qui.

 

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DIOS INCONTENIBLE

 

Cada vez que termino de leer esta página del evangelio, se los digo no sin un extraño sentimiento de gozo mixto de tremor y también un poco de vergüenza, me parece advertir algo similar (pero no absolutamente comparable) a cuanto sintió S. Isabel, cuando recibió el saludo de su prima María (Lc 1,40-45). Estoy simplemente acercando mi estado de ánimo a este célebre encuentro, nada más, ¡por si acaso! Traduciendo, es como si mi corazón dijera: “¡bendito eres tú Jesús, y benditas son estas palabras tuyas! ¿A qué debo que mi Señor venga a mí también hoy a contarme esta parábola? Eso es, apenas he oído que todos los publicanos y los pecadores se acercaban para escucharte, y que todavía hoy acoges a los pecadores y comes con ellos (Lc 15,1-2), un estremecimiento ha salido de la profundidad desconocida de mi alma”

Poco después de más de 30 años del anuncio recibido con este evangelio, estoy todavía aquí hablándoles con mucho gusto, como si hubiera oído estas palabras por primera vez. Porque hay algo de eterno, o sea de perennemente nuevo, que brota incesantemente de la Biblia. Tomemos la ya citada introducción a la parábola. Algunos se acercan/escuchan a Jesús, algunos murmuran sobre Jesús. En la vida las cosas están así, de la manera que lo voltees es necesario que al final tú te reconozcas entre estos o entre aquellos. El evangelio no tiene la pretensión de poner a las personas en estas 2 categorías. Existen ciertamente muchos que no murmuran, otros que ni siquiera son curiosos de Jesús. Esto no quita sin embargo que antes o después se deberá afrontar la cuestión: o se acoge las palabras de Jesús, o se  rechaza. No nos podemos abstener del tomar una posición. En medio naturalmente, hasta cuando estemos en esta tierra, nos es regalado siempre la gracia del tiempo para cambiar, o mejor dicho para convertirnos. Como nos explicaba bien la parábola del propietario y del campesino del domingo pasado.

En el corazón del evangelio de hoy está una revelación que mina las bases de cada pensamiento religioso: Dios de hecho es un padre que se expresa en la ternura de una madre. El relato nos dice que un padre con dos hijos ve llegar al más joven para reclamar su herencia, todavía antes que la pudiera pedir (Lc 15,12). Lo que equivale a decir: “lo único que me interesa de ti es aquello que me das”. Y es razonable preguntarse como así para ese hijo el papá no significara nada. De todas maneras el joven se va de la casa y despilfarra su herencia viviendo de manera disoluta (Lc 15,13). Coincidencia desafortunada: explota una carestía. Las cosas se ponen todavía peor para sus necesidades. Encuentra un trabajo con un tal que lo envía a cuidar cerdos y llega hasta desear la comida de los cerdos! (Lc 15,14-16) y entonces la nostalgia de la casa, todavía no del padre de la casa. Allá de hecho comen bien hasta los empleados. El joven toma una decisión: me levantaré, iré donde mi padre y le diré…y luego prepara su confesión con una propuesta: trátame como uno de tus trabajadores (Lc 15,17-19).

En sí, por lo que ha cometido, al lector la propuesta puede parecer equitativa. Pero el problema de aquel joven (y quizás también del lector) es que no conocía todavía quién era su padre. Es el problema actualísimo de tantos hijos de la madre iglesia: bautizados y alejados del mundo de la fe sin saber por qué, quizás solo porque sienten a Dios como una presencia entrometida y demasiado grande. Pero ¿Dios es justamente así o ha sido presentado así? ¿Cómo nos lo presenta en cambio Jesús? ¿Quién es este padre delante de los tímidos pasos de un hijo que está comenzando a entender que quizás se ha equivocado sobre él? Observen bien: el padre de la parábola pareciera que estuviera esperando ansiosamente solo ese momento. Ni una palabra de reclamo, ni una señal de indignación. Al solo volver a ver al propio hijo se desencadena en él un irresistible lanzo de afecto (Lc 15,20). El joven comienza a hablarle según su propósito, pero el padre lo interrumpe. Es demasiado grande el gozo de volver a tenerlo entre sus brazos, es una alegría literalmente incontenible: ¡Rápido!… Ese joven que no sabía quién fuera su padre ahora, confundido por tanto amor, ve a los siervos ponerle el vestido más lindo, ponerle el anillo al dedo y los zapatos en los pies (Lc 15,21-22), además preparar una gran fiesta por su regreso (Lc 15,23-24). Descubriendo quien es su padre, descubre también su identidad y cuál es su verdadera herencia. Vayamos atrás un instante y preguntémonos: ¿qué cosa ha puesto en movimiento su clamoroso regreso? Haber tomado entre sus manos el propio pecado y haberlo puesto delante del padre. Entonces es mi pecado el lugar donde comienzo a conocer quién es Dios.

¿Y aquéllos que en cambio no se alejan nunca de la iglesia y del mundo de la fe? Estos ¿conocen mejor a Dios? Lo que sigue de la parábola, dista del generalizar, parece sugerir que el problema esté presente también en ellos. Más bien, el problema del conocimiento del padre rebota justamente a causa de la fiesta que se está celebrando en casa. El hijo mayor está regresando de los campos, escucha la música y las danzas y pide noticias a un siervo que le explica el motivo (Lc 15,25-27): ¡ha regresado a casa su hermano! Pero en cambio de gozar con el padre y todos los de la casa, el primogénito se indigna hasta negarse en entrar a la casa (Lc 15,28). También él no sabe quién es su padre. Ha vivido siempre con Él, nunca se ha alejado de su casa, y sin embargo no lo ha conocido. Las mismas palabras que le dirige lo traicionan (Lc 15,29-30). ¿Cómo es posible? Está de hecho que el evangelio se concluye con un padre que suplica a este hijo que entre a casa, pero no se dice si este entra o no. Más bien, parece que en el fondo de sus palabras haya un pesante juicio negativo sobre el padre y sobre su hermano apenas de regreso. El mismo juicio que parte de la murmuración de los escribas y fariseos (Lc 15,2).

A la luz de este evangelio, ¿qué es el cristianismo? Es la inaudita fe en un Dios ilógico, incurablemente contento y fiestero, impredecible, imperscrutable en sus designios y juicios, incansable en su trabajo dentro del corazón humano, uno que vive fuera de nuestros esquemas y de nuestros intentos de “capturarlo” dentro de una perfecta doctrina que satisfaga nuestro pensamiento religioso. Estar en casa y “de casa” con Dios, no es cuestión de bandera cristiana o de promulgación minuciosa de los artículos de la fe. Es cuestión de amor y de conocimiento. Jesús lo dice donde sea en un par de modos similares: quien no está conmigo está en contra de mí (Mt 12,30),  o también quien no está contra nosotros, está por nosotros (Mc 9,40). Prueba de fuego de la propia fe es mirarse dentro delante a este evangelio y preguntarse: ¿me gusta o no me gusta el padre de la parábola? ¿Soy uno que se alegra de tener un Dios así, o soy uno que está siempre discutiendo/juzgando lo que hace? ¿Gozo cuando un hermano “regresa” a la casa de Dios? ¿Y si no estuvieran estos sentimientos, si no hay gozo por esta sorprendente imagen de Dios, entonces quién es el Dios en el cual creo?

Querido hermano/hermana que me estás leyendo, yo soy solo uno de estos pecadores que se acercan a Jesús para escucharlo, pero si te estuvieras identificando con el hijo mayor de la parábola, no puedo contenerme, debo decírtelo con Paolo y todos aquellos con los cuales comparto el gozo del ministerio: te suplico en nombre de Cristo, déjate reconciliar con Dios. Aquél que no había conocido el pecado, Dios lo hizo pecado en tu favor… (2Cor 5,20-21). En juego está tu fe, el gozo de vivir, de sentirse amado, de amar y conocer a Dios. Regresa también tú a casa. Verás y gustará como es bueno el Señor (Sal 33,9), porque la vida verdadera está toda aquí.

3 Comments

  1. Di questa parabola quello che mi colpisce questa volta sono le direzioni che prende l’amore. C’è un intreccio di movimenti, di sentimenti che inizialmente confonde un po’ le idee, ma poi si scioglie in una chiara direzione.
    L’ amore del padre è stato paziente, benigno…. non ha mancato di rispetto al figlio, non ha cercato il suo interesse, non si è adirato con lui, non ha tenuto conto del male ricevuto….tutto ha sperato, tutto ha sopportato.
    Che lezione per tutti noi!

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