III DOMENICA DI AVVENTO
anno A (2019)
Is 35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
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Giovanni il Battista ha annunciato “colui che viene” come il più forte, come colui che realizza il giudizio di Dio con la scure posta alla radice di ogni albero cattivo, pronto a bruciare ogni sorta di male (Mt 3,10-11). Ma, similmente a quel giorno in cui, allibito, vide il Signore in fila con i peccatori venirgli incontro per farsi battezzare, ora, gettato in carcere, l’ultimo dei profeti è smarrito: sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11,3) – manda a dire a Gesù, così diverso nel suo agire e parlare con gli uomini dal messia veniente predicato. Allora delle due l’una: o è sbagliata la sua attesa, o è sbagliato pensare che Gesù è l’atteso. Ecco il senso della domanda inviata.
La realtà ti parla del vangelo e il vangelo ti parla della realtà. Basterebbe questo primo passo del vangelo per leggere dentro quel che accade oggi nella chiesa di Dio, sotto il pontificato di Francesco. Non finiscono di moltiplicarsi gli sdegni, i turbamenti, i dubbi dottrinali, se non addirittura le sentenze e le puerili dietro-ideologie, difronte al modo di agire e di parlare di Francesco. Ma la radice comune è sempre quella: la fatica di credere che “colui che viene” sia così come il vangelo ce lo racconta, e non come supporrebbe o vorrebbe il bisogno della nostra mente che pretende sempre puntuali accertamenti normativi su ogni problema che la fede affronta.
La grandezza vera di Giovanni (decantata anche dal Signore nella seconda parte del vangelo) sta esattamente nel mettere in crisi se stesso piuttosto che l’Atteso: davanti al suo essere così diverso dalla propria attesa, la sua incomprensione non diventa paura aggressiva, la sua certezza non diventa minaccia per chi non si allinea con essa. Giovanni non si irrigidisce. Piuttosto, il suo sbigottimento si fa stupore. La sua austera, rocciosa integrità, si fa domanda smarrita che attende una risposta. Proprio come il salmista che, più o meno alla fine del percorso del suo cammino, prega con sapienza: giunga il mio grido fino a te Signore, fammi comprendere secondo la tua parola…come pecora smarrita vado errando, cerca ancora il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti (Sal 119). Giovanni è davvero il più grande, ma perché? Perché come ogni vero uomo di Dio, soprattutto quando si sente sicuro di conoscerlo, resta aperto al suo Mistero con una domanda che può compromettere le proprie certezze. Non crede forse a Colui che dice: i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie ?(cfr.Is 55,8). Giovanni è davvero il più grande perché si fa piccolo davanti alla assoluta novità di Gesù. Nuova a tal punto che, in continuità con la storia di Israele, fa esprimere così il Signore mentre tesse l’elogio del Battista: ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Mt 11,11). Vediamo morire Giovanni martire dopo questa domanda; dopo aver ricevuto un messaggio da Gesù che, piuttosto che offrirgli una risposta “dottrinale”, lo rimanda alle opere che i suoi discepoli possono da se stessi vedere ed udire (Mt 11,4-5). L’uomo di Dio diventa piccolo davanti all’inafferrabilità del suo Mistero, egli sa fermarsi alla sua soglia per lasciare il testimone ad un altro. Sa accontentarsi del responso divino che lo invita ad ammirarlo nelle sue opere.
Cosa dice a tutti il vangelo in questa 3a domenica di Avvento? Che Gesù sarà sempre la gioia di chi lo accoglie così come Lui si rivela (Mt 11,6). E sarà invece sempre pietra di scandalo per chi ha la pretesa di dirigere il pensiero del Signore. Nel cammino della vita spirituale infatti, alla fine, ci è chiesto di abbandonarci a Lui, come fece il Battista in carcere. Dobbiamo guardarci da una tentazione: quella di voler dare consigli allo Spirito Santo, anziché riceverli. Infatti, “chi ha diretto lo Spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti?” (cfr.Is 40,13). Lo Spirito Santo dirige tutti, e non è diretto da nessuno; guida, ma non è guidato. C’è un modo sottile di suggerire allo Spirito Santo quello che dovrebbe fare con noi e come dovrebbe guidarci. (P.Raniero Cantalamessa, 2a predicazione d’Avvento alla Casa Pontificia, 9.12.2016). Chiediamo in dono a Dio un anticipo della gioia del Natale. Chiediamogli di donarci quello che diceva a se stesso il santo Papa Giovanni XXIII: “Devo mettermi in testa che siccome Dio mi vuole bene, è inutile che gli dia consigli sul mio avvenire, devo solo abbandonarmi alla Sua volontà”. Abbandonarsi a Dio, lasciare a Lui le risposte che il nostro cuore non riesci a darsi, è fonte di pace e di gioia.
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ENTRE LA ALEGRIA Y EL ESCANDALO
Juan el Bautista ha anunciado a “aquél que viene” como el más fuerte, como aquél que realiza el juicio de Dios con el hacha puesta en la raíz de cada árbol malo, listo para quemar cada especie del mal (Mt 3,10-11). Pero, similarmente a aquél día en el cual se quedó atónito viendo al Señor venirle a su encuentro en la fila con los pecadores para hacerse bautizar, ahora, lanzado a la cárcel, el último de los profetas está perdido: ¿eres tú aquél que debe venir o debemos esperar a otro? (Mt 11,3) – manda a decir a Jesús, así diferente en su actuar y hablar con los hombres del que viene predicado. Entonces de las dos una: o es equivocada su espera, o es equivocado pensar que Jesús es el esperado. He aquí el sentido de la pregunta enviada.
La realidad te habla del evangelio y el evangelio te habla de la realidad. Bastaría este primer paso del evangelio (y disculpen si me repito en el tema), para leer dentro de lo que sucede hoy en la iglesia de Dios, bajo el pontificado de Francisco. Nunca terminan de multiplicarse las indignaciones, disgustos, las dudas doctrinales, y también las sentencias y las infantiles detrás-ideologías, delante del modo de actuar y de hablar de Francisco. Pero la raíz común es esta: la fatiga de creer que “aquél que viene” sea así como el Evangelio nos lo cuenta, y no como supondría o quisiera la necesidad de nuestra cabeza que pretende siempre puntuales aciertos normativos sobre cada problema humano que la fe enfrenta.
La grandeza verdadera de Juan (decantada también por el Señor en la segunda parte del evangelio) está exactamente en el poner en crisis a sí mismo y no al Esperado: delante de su ser así diferente de la propia espera, su incomprensión no se vuelve miedo agresivo, su certeza no se vuelve amenaza para quien no se alinea con ella. Juan no se endurece. Más bien, su desconcierto se vuelve asombro, su austera, rocosa integridad, se vuelve pregunta perdida que espera una respuesta. Como el salmista que, más o menos al final del recorrido de su camino, recita con sabiduría: alcance mi grito hasta ti Señor, hazme comprender según tu palabra… como oveja perdida voy errando, busca aún a tu siervo, porque no he olvidado tus mandamientos (Sal 119). Juan es de verdad el más grande, pero ¿por qué? Porque como cada verdadero hombre de Dios, sobre todo cuando se siente seguro de conocerlo, se queda abierto a su Misterio con una pregunta que puede comprometer sus propias certezas. No cree quizás a Aquél que dice: ¿mis pensamientos no son sus pensamientos, mis caminos no son sus caminos? (Is 55,8). ¡Juan es de verdad el más grande porque se hace pequeño delante de la absoluta novedad de Jesús! Nueva a tal punto que, en continuidad con la historia de Israel, hace expresar así al Señor mientras teje el elogio del Bautista: pero el más pequeño en el reino de los cielos es más grande que él (Mt 11,11). Vemos morir a Juan mártir después de esta pregunta; después de haber recibido la respuesta de Jesús que, en cambio de ofrecerle una respuesta “doctrinal”, lo envía a las obras que sus discípulos pueden por sí mismos ver y escuchar (Mt 11,4-5). El hombre de Dios se vuelve pequeño delante a lo inalcanzable de su Misterio, él sabe detenerse al límite para dejar el testimonio a otro. Sabe contentarse de la respuesta divina que lo invita a admirarlo en sus obras.
¿Qué dice el evangelio a todos en este 3er domingo de Adviento? Que Jesús será siempre el gozo de quien lo acoge así como Él se revela (Mt 11,6). Y será en cambio siempre piedra de escándalo para quien tiene la pretensión de dirigir el pensamiento del Señor. En el camino de la vida espiritual de hecho, al final, se nos pide de abandonarnos a Él, como hizo el Bautista en la cárcel. Debemos cuidarnos de una tentación: aquella de querer dar consejos al Espíritu Santo, en cambio de recibirlas. De hecho, “¿quién ha dirigido al Espíritu del Señor y como consejero le ha dado sugerencias?” (Is 40,13). El Espíritu Santo dirige a todos, y no es dirigido por nadie; guía, pero no es guiado. Hay un modo sutil de sugerir al Espíritu Santo de lo que debería hacer con nosotros y cómo debería guiarnos. (P. Raniero Cantalamessa, 2da predicación de Adviento en la Casa Pontificia, 9.12.2016).
Pidamos como don a Dios una anticipación del gozo de la Navidad. Pidámosle que nos done lo que decía a sí mismo el Papa Juan XXIII: “Debo ponerme en la cabeza que como Dios me quiere mucho, es inútil que le de consejos sobre mi porvenir, debo solo abandonarme a Su voluntad”. Abandonarse a Dios, dejar a Él las respuestas que nuestro corazón no logra a darse, es fuente de paz y de gozo.