Pubblicato in: Commento alle Scritture, Predicazione, Servizio della Parola

DIO SI È CONVERTITO: CONVERTIAMOCI

II DOMENICA DI AVVENTO

anno A (2025)

Is 11,1-10; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12 

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

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Giovanni irrompe improvvisamente sulla scena di Israele predicando nel deserto della Giudea. Come mai? Non era meglio scegliere la centralissima Gerusalemme o qualche centro più popoloso di quella terra? Non avrebbe raggiunto più uomini con la sua predicazione? Farsi queste domande è come domandarsi perché Dio, dopo aver liberato gli ebrei dall’oppressione egiziana, li ha condotti nei sentieri impervi di un grande deserto prima che raggiungessero la terra promessa. Bisogna che il deserto, con tutto ciò che esso significa, ci entri una volta per tutte come preziosa chiave interpretativa della nostra esistenza. Diversamente, rimaniamo in balia delle incessanti onde dei nostri pensieri e idee che, invece di farci camminare sulle vie di Dio, ci fanno vagare nella vita senza senso e senza una meta. Nel deserto si impara a conoscere e ri-conoscere la voce di Dio, perché è lì che si fa sentire. Il riassunto della predicazione di Giovanni coincide con l’introduzione riassuntiva della predicazione di Gesù: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. C’è un’affermazione che richiede fede e c’è un’esortazione che urge prendere in considerazione. Conversione: volgere lo sguardo verso qualcuno che mi viene incontro, prepararmi per questo incontro, essere disponibile a lasciarmi cambiare da Colui che incontro. La metanoia chiesta dal vangelo è molto più che un cambiamento morale. È un grido profetico che proviene dalla storia fino a Giovanni, tanto è vero che Matteo identifica Giovanni proprio come la voce che grida del passo di Isaia (1a lettura), voce che chiede di preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi sentieri. Bisogna riprendere la rotta che porta a Dio se non si vuole far naufragio.

Ma Giovanni non invita a diventare austeri asceti come lui. Invita ad entrare nel proprio cuore per verificare se il proprio pensare, agire e parlare è secondo Dio. Si può quindi comprendere perché Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui. La parola che usciva dalla bocca di Giovanni non era sua, ma di Dio. E, come c’è sempre chi della parola di Dio non se ne cura, c’è sempre anche chi da essa si lascia invece interpellare e convincere di peccato. Perciò costoro, andando a farsi battezzare da lui, confessavano i loro peccati. Segno inequivocabile che, quando ci si apre veramente al Signore, subito riconosciamo ciò che in noi non va. Quando riconosciamo il male che facciamo e il bene che non facciamo. E a chi si presenta al suo battesimo solo per compiere una formalità, in veste religiosa ufficiale ma solo apparentemente disposti alla conversione, Giovanni non le manda a dire: li chiama razza di vipere. Perché il più grande rischio che si può correre in materia di religione è spacciarsi per credenti vivendo da increduli. Pensare di aver raggiunto già la salvezza, non di essere solo incamminati verso di essa. È sentirsi al sicuro perché si frequentano ambienti di fede, ma senza produrre frutti che nascono dalla vera fede, frutti degni di conversione, cioè che attestano la ricerca di conversione. E a nulla servirebbe invocare la propria identità storica, perché nessuno può sfuggire al giudizio di Dio che fa sempre verità. Un urgente monito per tutti noi cristiani che dovremo rispondere su cosa stiamo facendo della nostra fede. Un titolo di privilegio? Un’assicurazione sulla vita? Un credito da vantare verso Dio? Un nascondiglio per proteggersi dagli scottanti problemi di oggi? Una piazza dove potersi riscattare dalle proprie frustrazioni?    

Giovanni, così determinato nella sua missione, sa però che essa ha un limite, dunque sa mettersi in disparte. È così di chiunque, come credente, attira gli uditori non verso di sé, ma verso Gesù Cristo. Tutto ciò che dice e fa, Giovanni lo dice e lo fa per destare tutta l’attenzione verso Colui che viene dopo di me ed è più forte di me. Per preparare gli altri e indurre a preparare essi stessi all’incontro più importante della vita. Per aiutarli a convertirsi, ovvero a dirigere lo sguardo verso il Signore che viene ogni giorno ed attende di essere accolto nella mia concreta storia. Se l’appello di Giovanni è ancora vivo oggi, allora cercherò nuovamente il sacramento della confessione, dove posso sempre raddrizzare i suoi sentieri. E scoprirò progressivamente che la mia conversione, da risposta umana ad un appello, diventa sempre più chiaramente un’opera divina, perché essa si realizza a poco a poco nella misura in cui lascio che Gesù mi battezzi in Spirito Santo e fuoco. Poiché solo quando scopro che Egli abita in me e che lavora incessantemente a questo mio battesimo, so verso chi sto guardando e chi sto ascoltando. So dunque che la mia conversione dura tutta la vita, perchè è risposta al Signore che si è convertito per sempre a me, facendosi uomo come me e morendo sulla croce per me. 

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DIOS SE HA CONVERTIDO: CONVERTÁMONOS

Juan irrumpe repentinamente en la escena de Israel predicando en el desierto de Judea. ¿Por qué?  ¿No era mejor elegir la céntrica Jerusalén o algún centro más poblado de esa tierra? No alcanzaría a más hombres con su predicación? Hacerse estas preguntas es como preguntarse por qué Dios, después de haber liberado a los judíos de la opresión egipcia, los llevó a las sendas difíciles de un gran desierto antes de que llegaran a la tierra prometida. Es necesario que el desierto, con todo lo que significa, entre una vez y para siempre como preciosa clave interpretativa de nuestra existencia. De otra manera, permanecemos a merced de las incesantes olas de nuestros pensamientos e ideas que, en lugar de hacernos caminar por los caminos de Dios, nos hacen vagar por la vida sin sentido y sin meta. En el desierto se aprende a conocer y volver a conocer la voz de Dios, porque es allí donde se hace oír. El resumen de la predicación de Juan coincide con la introducción resumida de la predicación de Jesús: conviertánse, porque el reino de los cielos está cerca. Hay una afirmación que requiere fe y hay una exhortación que es urgente considerar. Conversión: dirigir la mirada hacia alguien que me viene al encuentro, prepararme para este encuentro, estar dispuesto a dejarme cambiar por Aquel que encuentro. La metanoia pedida por el evangelio es mucho más que un cambio moral. Es un grito profético que proviene de la historia hasta Juan, tanto es cierto que Mateo identifica a Juan como la voz que grita del pasaje de Isaías (1a lectura), voz que pide preparar el camino del Señor y enderezar sus senderos. Hay que retomar la ruta que lleva a Dios si no se quiere naufragar.

Pero Juan no invita a ser austeros ascetas como él. Invita a entrar en el propio corazón para comprobar si el propio pensar, actuar y hablar es según Dios. Se puede entender por qué Jerusalén, toda la Judea y toda la zona a lo largo del Jordán acudieron a él. La palabra que salía de la boca de Juan no era suya, sino de Dios. Y, como siempre hay quien no se preocupa por la palabra de Dios, también hay quien se deja interpelar y convencer de pecado. Por eso, cuando iban a ser bautizados por él, confesaban sus pecados. Señal inequívoca de que, cuando nos abrimos verdaderamente al Señor, inmediatamente reconocemos lo que en nosotros no está bien. Cuando reconocemos el mal que hacemos y el bien que no hacemos. Y a quien se presenta a su bautismo solo para cumplir una formalidad, en calidad religiosa oficial pero solo aparentemente dispuestos a la conversión, Juan no le envía a decir: los llama raza de víboras. Porque el mayor riesgo que uno puede correr en materia de religión es hacerse pasar por creyentes viviendo como incrédulos. Pensar que ya hemos alcanzado la salvación, no solo estar en camino hacia ella. Es sentirse seguro porque se frecuentan ambientes de fe, pero sin producir frutos que nacen de la verdadera fe, frutos dignos de conversión, es decir, que atestiguan la búsqueda de conversión. Y de nada serviría invocar la propia identidad histórica, porque nadie puede escapar al juicio de Dios que hace siempre verdad. Una advertencia urgente para todos los cristianos que tendremos que responder sobre lo que estamos haciendo con nuestra fe. ¿Un título de privilegio?  ¿Un seguro de vida? ¿Un crédito ante Dios? ¿Un escondite para protegerse de los problemas candentes de hoy? Una plaza donde puedas redimirte de tus frustraciones?

Juan, tan determinado en su misión, sabe sin embargo que ésta tiene un límite, por lo tanto sabe apartarse. Así es como todo creyente atrae a los oyentes no hacia sí mismo, sino hacia Jesucristo. Todo lo que dice y hace, Juan lo dice y lo hace para despertar toda la atención hacia Aquel que viene después de mí y es más fuerte que yo. Para preparar a los demás e inducirles a prepararse ellos mismos para el encuentro más importante de la vida. Para ayudarles a convertirse, es decir, a dirigir la mirada hacia el Señor que viene cada día y espera ser acogido en mi historia concreta. Si el llamado de Juan sigue vivo hoy, entonces buscaré nuevamente el sacramento de la confesión, donde siempre puedo enderezar sus senderos. Y descubriré progresivamente que mi conversión, de respuesta humana a un llamado, se convierte cada vez más claramente en una obra divina, porque se realiza poco a poco en la medida en que dejo que Jesùs me bautice en Espíritu Santo y fuego. Porque solo cuando descubro que Él habita en mí y trabaja incesantemente en mi bautismo, sé hacia quién estoy mirando y a quién estoy escuchando. Sé pues que mi conversión dura toda la vida, porque es respuesta al Señor que se ha convertido para siempre a mí, haciéndose hombre como yo y muriendo en la cruz por mí.

  

       

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Autore:

Nato rocambolescamente nel 1966, allontanatosi allegramente intorno al 1980, pescato faticosamente nel 1987, chiamato clamorosamente nel 1992, ordinato sacerdote misericordiosamente nel 1999, inviato burrascosamente nel 2003, rientrato silenziosamente nel 2009, cercando umilmente dal 2010...

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