II DOMENICA DEL T.O.
anno C (2022)
Is 62,1-5; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11
Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
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Giovanni avvia il suo vangelo con il prologo per dirci, subito e solennemente, l’origine divina del protagonista. Nel brano di oggi invece, chiude il racconto comunicandoci che fu il primo, anzi il principio dei miracoli del Signore (Gv 2,11). Gli altri miracoli nascono da questo come dalla sua sorgente. L’evangelista si premura di chiamarli segni, perché di questi se ne occupa maggiormente per parlare delle realtà spirituali a cui rimandano. Di cosa è segno quanto avviene a Cana di Galilea? Il contesto è una festa di nozze, simbolismo diffusissimo nella Bibbia. Non c’è luogo sulla terra in cui l’amore sponsale che si promettono un uomo e una donna non venga festeggiato. Solo che quel giorno la festa prese una brutta piega. Sottolineata due volte nello stesso versetto, la mancanza improvvisa del vino è enfatizzata da Maria: non hanno più vino (Gv 2,3). Ma una festa di nozze senza vino è come una visita a Napoli senza mangiare la pizza, o a Monaco per l’oktoberfest senza gustare la birra. Più in là di queste povere immagini, l’assenza di vino simboleggia una vita che non si assapora più nella sua iniziale bellezza, svuotata del suo senso profondo, qualcosa che si spegne lentamente nel grigio della quotidianità fino alla perdita della gioia di vivere. Non è forse questa la vita umana senza Dio?
Maria sottolinea l’assenza di vino rivolgendosi a Gesù il quale, apparentemente, sembra rispondere picche. Invece, da vera madre che conosce il figlio come nessuno, si gira verso i servitori per dir loro una sola cosa: qualsiasi cosa vi dica, fatela (Gv 2,5). Sarà cosa facile a farsi? Arriva l’ordine: bisogna riempire d’acqua le anfore che servono per le abluzioni rituali dei presenti e poi portarne al maestro di tavola, il direttore d’orchestra del banchetto nuziale. Che comando è questo? Quello di andare a portar acqua a uno che si occupa di vino; come mandare qualcuno a portare del pesce in una macelleria. Quando il Signore ci comanda qualcosa, il nostro intelletto fa quasi sempre problema. Non così costoro, che si rivelano realmente “servitori” di Dio, obbedendo prontamente alla sua parola. In un certo senso, sono essi che permettono a Gesù di compiere il segno. Quel che ci vuol dire qui Giovanni è di una densità abissale. Qui dentro c’è già il discepolato e la fede, il battesimo, il dono dello Spirito, la nuova alleanza, la prefigurazione dell’”Ora” sulla croce, c’è lo Sposo e la sposa, ossia la chiesa “in pectore” e la Madre. Ci sono quasi tutti i temi del suo vangelo.
Veniamo a sapere del cambiamento dell’acqua in vino dalla bocca del maestro di tavola (Gv 2,9), il che vuol dire che il miracolo si è realizzato mentre i servi compivano in movimento una parola che non procede né produce secondo la nostra logica: ve l’immaginate all’improvviso più di 600 litri di vino (Gv 2,6) messi a disposizione degli invitati alla festa, quando questa era sul punto di fallire? Non è eccessivo? Le parole del cerimoniere dirette allo sposo sono una sorpresa constatazione di quanto è accaduto. Questo sposo è davvero singolare: invece di partire con il meglio, riserva il meglio verso la fine. Contrariamente a quanto avviene normalmente tra noi uomini che gustiamo la vita dapprima in tutta la sua bellezza ed ebbrezza, come gustassimo subito il miglior vino, per poi vedere che tutto invecchia in un decadimento progressivo. Allora la vita intristisce e viene a mancare il vino. Il messaggio è chiaro: Gesù è lo Sposo in cui si compiono le nozze tra Dio e l’umanità, l’unione sponsale tra le due nature. Con Gesù la nostra esistenza non è più l’ineluttabile tramonto della bellezza e della gioia di vivere, ma l’esperienza di un vino nuovo capace di rallegrare ogni sua stagione, capace di rigenerare/riempire di gioia ogni momento fallimentare. Non c’è più niente di negativo nell’umano che non possa cambiare. Il vino nuovo, il migliore, è Dio stesso, pronto a manifestare la sua gloria nella nostra storia, laddove giammai penseremmo. Dunque per Giovanni, l’inizio dell’attività pubblica di Gesù è un segno già scandaloso, religiosamente parlando: anche se vi è già anticipato il dramma della croce, il vino e la gioia, non la penitenza e l’astinenza, sono i tratti del profilo di Dio.
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DI-VINO: O SEA, DIOS ES UN BUEN VINO
Juan inicia su evangelio con el prólogo para decirnos, inmediata y solemnemente, el origen divino del protagonista. En el texto de hoy en cambio, cierra el relato comunicándonos que fue el primero, más bien el principio de los milagros del Señor (Jn 2,11). Los otros milagros nacen de este como su fuente. El evangelista se apura en llamarlos signos, porque de estos se ocupa mayormente para hablar de las realidades espirituales a la cual remiten. ¿De qué cosa es signo lo que sucede en Caná de Galilea? El contexto es una fiesta de matrimonio, simbolismo muy difuso en la Biblia. No hay lugar sobre la tierra en el cual el amor esponsal que se prometen un hombre y una mujer no venga festejado. Solo que aquel día la fiesta tomó un feo rumbo. Subrayada dos veces en el mismo versículo, la falta imprevista del vino es enfatizada por María: no tienen más vino (Jn 2,3). Pero una fiesta de matrimonio sin vino es como una visita a Nápoles sin comer la pizza, o en Mónaco para los Oktoberfest sin gustar la cerveza. Más allá de estas pobres imágenes, la ausencia de vino simboliza una vida que no se saborea más en su inicial belleza, vaciada de su sentido profundo, algo que se apaga lentamente en el gris de la cotidianidad hasta la pérdida del gozo de vivir. ¿No es quizás esta la vida humana sin Dios?
María subraya la ausencia de vino dirigiéndose a Jesús el cual, aparentemente, parece responder mal. En cambio, de verdadera madre que conoce al hijo como nadie, se voltea hacia los servidores para decirle a ellos una sola cosa: Hagan lo que les diga (Jn 2,5). ¿Será cosa fácil para hacerse? Llega la orden: es necesario llenar de agua las ánforas que sirven para las abluciones rituales de los presentes y luego llevarlas al maestro de la mesa, el director de la orquesta del banquete nupcial. ¿Qué mandato es este? El de ir a llevar agua a uno que se ocupa del vino; como mandar a alguien a llevar pescado a una carnicería. Cuando el Señor nos manda algo, nuestra inteligencia hace casi siempre problemas. No así estos, que se revelan realmente “servidores” de Dios, obedeciendo prontamente a su palabra. En un cierto sentido, son ellos que permiten a Jesús cumplir con el signo. Lo que nos quiere decir aquí Juan es de una densidad abismal. Aquí dentro está ya el discipulado y la fe, el bautismo, el don del Espíritu, la nueva alianza, la prefiguración del “ahora” sobre la cruz, está el Esposo y la esposa, o sea la iglesia “in pectore” y la Madre. Están casi todos los temas de su evangelio.
Venimos a saber del cambio del agua en vino de la boca del maestro de mesa (Jn 2,9), lo que quiere decir que el milagro se ha realizado mientras los siervos cumplían en movimiento una palabra que no procede ni produce según nuestra lógica: ¿ve la imagen de improviso más de 600 litros de vino (Jn 2,6) puestos a disposición de los invitados a la fiesta, cuando esta estaba al punto de fracasar? ¿No es excesivo? Las palabras del maestro de ceremonias dirigidas al esposo son una sorprendente constatación de lo que ha sucedido. Este esposo es de verdad particular: en cambio de partir con el mejor vino, reserva el mejor para el final. Contrariamente a lo que sucede normalmente entre los hombres que gustamos la vida desde antes en toda su belleza y ebriedad, como gustáramos inmediatamente el mejor vino, para luego ver que todo envejece en un decaimiento progresivo. Entonces la vida entristece y viene a faltar el vino. El mensaje es claro: Jesús es el Esposo en el cual se cumplen las bodas entre Dios y la humanidad, la unión esponsal entre las dos naturalezas. Con Jesús nuestra existencia no es más el inevitable atardecer de la belleza y del gozo de vivir, sino la experiencia de un vino nuevo capaz de alegrar cada estación, capaz de regenerar/llenar de gozo cada momento de fracaso. No hay más nada de negativo en lo humano que no pueda cambiar. El vino nuevo, el mejor, es Dios mismo, listo a manifestar su gloria en nuestra historia, allí donde nunca más pensaríamos. Entonces para Juan, el inicio de la actividad pública de Jesús es un signo ya escandaloso, religiosamente hablando: también si ya les he anticipado el drama de la cruz, el vino y el gozo, no la penitencia y la abstinencia, son los rasgos del perfil de Dios.