IL PERDONO TI PORTA NEL FUTURO

XXIV DOMENICA DEL T.O.

anno A (2020)

Sir 27,33-28,9; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

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Non si può veramente capire cos’è la correzione fraterna come atto di amore (cfr. il vangelo di domenica scorsa) se non si accoglie sinceramente il messaggio inequivocabile del vangelo di questa domenica. Quella senza questo non si può illuminare agli occhi del nostro cuore, e viceversa. Pietro si rende conto, dalle indicazioni di Gesù circa i rapporti tra i discepoli, di quanto gli stia a cuore la fraternità, e allora gli fa una domanda con proposta in allegato: Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? (Mt 18,21)La risposta di Gesù alla domanda di Pietro (Mt 18,22) non solo amplia all’infinito l’orizzonte del perdono così ristretto nel cuore del suo discepolo, ma offre un’occasione unica a Gesù per ribadire, con una parabola, quale sia il fondamento di ogni vera fraternità. E, vista la chiarezza dell’insegnamento, si rassegni ogni spirito che voglia dirsi “cristiano” a cercare di giustificare in qualche modo il perdono negato, qualunque sia il tipo e la ripetizione dell’offesa in oggetto. Non esistono perdoni da concedere e perdoni da negare. Esistono solo perdoni più facili e perdoni più difficili da regalare; perdoni che hanno bisogno di più tempo e perdoni che ne hanno bisogno di meno, ferma restando la fatica “naturale” dell’uomo a perdonare. Non a caso il proverbio dice: “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai”.

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Il re che volle regolare i conti (Mt 18,23) è personaggio straordinariamente magnanimo difronte al debito insolvibile di un tale che gli viene presentato (Mt 18,24): un talento=6000 giornate lavorative; quindi il debito di 10.000 talenti=60.000.000 di salari quotidiani. Per pagare tale debito ci vorrebbero 200.000 anni da vivere, e senza mangiare! Oppure: al tempo di Gesù un talento pesava 36 kg. di metallo; quindi 10.000 talenti sono un peso da 360 tonnellate di metallo prezioso. Con che cosa lo si trasporta e quanto tempo occorrerebbe per trasportare questo debito? Il centro del messaggio emerge generando un’altra domanda: cosa fa cambiare così repentinamente il re che aveva ordinato che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva? La compassione davanti alla supplica della sua preghiera (Mt 18,26). Il re infatti lo lascia libero condonandogli tutto il debito (Mt 18,27). Il problema molto serio della parabola è che appena uscito (Mt 18,28) quell’uomo trova un compagno che ha un debito infinitamente minore nei suoi confronti e sembra non aver imparato nulla dalla magnanimità del re. Il compagno gli rivolge la stessissima supplica, ma non trova in lui alcuna pietà (Mt 18,29-30). Altri compagni assistono alla scena e molto dispiaciuti riferiscono al re l’accaduto (Mt 18,31). Il re convoca quell’uomo e, chiamandolo servo malvagio gli chiede come mai, dopo aver sperimentato l’abbondanza del suo perdono, non si sia comportato così anche con il proprio debitore. Sdegnato, cambia la sua decisione ed esegue verso quel tale la stessa “sentenza” che emessa nei confronti del suo debitore. Lapidaria la conclusione del vangelo: così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello (Mt 18,35).

Tutto sommato, credo che la nostra ragione non faccia fatica a riconoscere come giusto il comportamento del re. Eppure, pur riconoscendolo, l’insegnamento evangelico giunge come un ammonimento provocatorio che “costringe” a porci una serie di domande: ma io come vivo le mie relazioni con i fratelli? Come un creditore o come un debitore? Nella mia vita di fede, qual è il baricentro del mio agire? La mia promessa di restituire a Dio ciò che gli devo (cfr. Mt 18,26) oppure la sua promessa già compiuta con il dono del Figlio suo Gesù, nostro Salvatore? Insomma, vivo la mia relazione con Dio nell’ansia di dovergli qualcosa per la coscienza del mio debito (illudendomi di poterlo saldare), oppure nella gioia di non poterlo cancellare, perché credo che Colui che l’ha già cancellato (cfr. Col 2,13-14) mi offre ogni giorno una vita da peccatore perdonato? E poi: credo che il Signore mi ha fatto dono del potere di perdonare gli altri come Lui mi ha perdonato? Oppure mi nascondo dietro l’innata fatica umana di perdonare, creandomi un alibi davanti alle dure prove che ci fanno sentire come insormontabile il perdono di certe offese? È davvero il perdono al centro della vita nuova che Gesù ci ha donato o c’è qualcos’altro?

Penso che tutti ricordiamo lo scalpore generato un paio di anni fa da Antoine Leiris, un uomo francese che, all’indomani della tragica scomparsa della moglie ad opera dei terroristi dell’ISIS, dopo alcune notti di dolore insonni scrisse la celebre lettera pubblicata con il titolo “Voi non avrete il mio odio”. In quella lettera l’uomo non solo testimoniava la sua forza nella decisione di non odiare gli assassini di sua moglie, ma prometteva anche di crescere il suo piccolo figlio insegnandogli a operare questa stessa scelta, aggiungendo che in essa, insieme, sarebbero stati “più forti di qualsiasi esercito”. Non so se il sig. Antoine sia cristiano, ma so di certo che, anche se non lo fosse, la sua decisione è stata un raggio potente di luce che ha squarciato le tenebre di quel tragico momento della storia. Perché anche la Parola di Dio conferma, nella 1a lettura di oggi, che se sono orribili le tragedie procurate dai gravi peccati degli uomini, anche rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati… (cfr. Sir 27,30-28,1ss.).

Dunque la scelta del perdono è anche ragionevole. Però è la rivelazione del volto di Dio nella Bibbia che la fonda e la rafforza, come abbiamo nella parabola raccontata da Gesù. In essa infatti, il Signore ci indica con chiarezza come poterlo seguire sulla via di un amore che non indietreggia davanti alle offese che si possono abbattere nella nostra vita: pensare ai miei 10.000 talenti di debito condonati da Dio piuttosto che ai 100 denari che il mio prossimo mi deve. Se sono realmente convinto che le cose stanno così, allora non sarà solo faticoso percorrere la sua via di amore a oltranza, ma sarà anche l’esperienza di un potere che davvero il Signore dona a chi gli crede. Un’ultima considerazione. Il sig. Antoine si è ripromesso di educare il suo piccolo a non odiare, ma a perdonare. Ha scelto anche il miglior investimento per suo figlio. Perché se induci un essere umano a ricordare sempre i peccati altrui, lo fai vivere nel rancore e nell’odio incendiatosi nel passato. E lì si vive malissimo, in prigione con sé stessi e con l’animo sempre in rivolta verso gli altri; da lì non ci si muove più. Se invece decidi di educare un uomo al perdono, lo fai camminare avanti e gli garantisci il futuro. Perché solo chi vive del perdono di Dio e si impegna a sua volta a perdonare, è veramente un uomo libero che vive già nel futuro.

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EL PERDON TE LLEVA AL FUTURO

Verdaderamente no se puede comprender qué cosa es la corrección fraterna como acto de amor (cf. El evangelio del domingo pasado), si no se acoge sinceramente el mensaje inequivocable del evangelio de este domingo. Aquella sin esto no se puede iluminar a los ojos de nuestro corazón, y viceversa. Pedro se da cuenta, de las indicaciones que Jesús da acerca de las relaciones entre los discípulos, de cuanto le está a pecho la fraternidad, y entonces hace una pregunta con propuesta en adjunto: Señor, si mi hermano comete culpa contra mí, ¿cuántas veces debo perdonarlo? ¿Hasta siete veces? (Mt 18,21) La respuesta de Jesús a la pregunta de Pedro (Mt 18,22) no solo amplía al infinito el horizonte del perdón así reducido en el corazón de su discípulo, sino que ofrece una ocasión única a Jesús para reiterar, con una parábola, cuál es el fundamento de cada auténtica fraternidad. Es, vista la claridad de la enseñanza, se resigne cada espíritu que quiera llamarse “cristiano” a buscar de justificar de alguna manera el perdón negado, cualquiera sea el tipo y la repetición de la ofensa en caso. No existen perdones para conceder y perdones para negar. Existen solo perdones más fáciles y perdones más difíciles que regalar; perdones que algunas veces tienen necesidad de más tiempo y perdones que se ofrecen inmediatamente más allá de la humana espera, teniendo en cuenta la fatiga “natural” del hombre a perdonar. No casualmente el proverbio recita: “Dios perdona siempre, el hombre algunas veces, la naturaleza nunca”.

El rey que quiere arreglar cuentas (Mt 18,23) se vuelve un personaje extraordinariamente magnánimo delante de la deuda insolvente de un tal que le viene presentado (Mt 18,24): un talento=6000 jornadas laborables; entonces la deuda de 10.000 talentos=60.000.000 de sueldos cotidianos. Para pagar tal deuda se necesitaría 200.000 ¡años de vida, y sin comer! O bien: en el tiempo de Jesús un talento pesaba 36 kg. de metal; entonces 10.000 talentos es un peso de 360 toneladas de metal precioso. ¿Con qué cosa se transporta y cuánto tiempo se necesitaría para transportar toda esta deuda? El centro del mensaje emerge haciéndonos otra pregunta: ¿qué hace cambiar así repentinamente al rey que había ordenado que fuera vendido como esclavo, junto con su mujer, sus hijos y todo cuanto poseía? La compasión delante de la súplica de su oración (Mt 18,26). El rey lo deja libre ¡perdonándole toda la deuda! (Mt 18,27). El problema muy serio de la parábola es que apenas salió (Mt 18,28) aquél hombre encuentra a un compañero que tiene una deuda infinitamente menor con él y parece no haber aprendido nada de la magnanimidad del rey. El compañero le dirige la mismísima súplica, pero no encuentra en él alguna piedad (Mt 18,29-30). Otros compañeros asisten a la escena y muy disgustados refieren al rey lo sucedido (Mt 18,31). El rey convoca a ese hombre y, llamándolo siervo miserable le pregunta cómo así, después de haber experimentado la abundancia de su perdón, no se haya comportado así también con el propio compañero deudor. Indignado, el rey cambia comportamiento y ejecuta hacia aquél tal la misma “sentencia” que él ha emitido respecto a su deudor. Lapidaria la conclusión del evangelio: lo mismo hará mi Padre Celestial con ustedes, a no ser que cada uno perdone de corazón a su hermano (Mt 18,35).

Sumando todo, creo que nuestra misma razón no haga fatiga en reconocer justo el comportamiento del rey. Sin embargo, también si lo reconocemos, el evangelio suena como una advertencia y al mismo tiempo como una sana provocación que nos “obliga” a ponernos una serie de preguntas: yo ¿cómo vivo mis relaciones con mis hermanos? ¿Cómo un acreedor o un deudor? Y en mi vida de fe, ¿cuál es el baricentro de mí actuar? ¿Mi promesa de restituirle a Dios lo que le debo (cfr. Mt 18,26) o su promesa ya cumplida con el don del Hijo suyo Jesús, nuestro Salvador? Es decir, vivo mi relación con Dios en el ansia de deberle algo por la consciencia de mi deuda (ilusionándome de poderlo saldar), o en el gozo de no poderlo cancelar, porque creo que Él que ya lo ha cancelado (cfr. Col 2,13-14) me ofrece cada día una vida de pecador perdonado? Y luego: ¿creo que el Señor me ha hecho el don del poder de perdonar a los demás como Él me ha perdonado? O ¿me escondo detrás de la innata fatiga humana de perdonar, creándome un pretexto delante de duras pruebas que superar que tocan al hombre hasta hacerle sentir como insuperable el perdonar ciertas ofensas? ¿Verdaderamente el perdón está al centro de la vida nueva que Jesús nos ha donado o hay otra cosa?

Pienso que todos recordamos la sensación generada un par de años atrás por Antoine Leiris, un hombre francés que, al día siguiente de la trágica desaparición de la esposa por obra de los terroristas del ISIS, después de algunas noches de dolor y sin dormir escribió la célebre carta publicada con el título “Ustedes no tendrán mi odio”. En aquella carta el hombre no solo daba testimonio de su fuerza en la decisión de no odiar a los asesinos de su esposa, sino que prometía también de hacer crecer a su pequeño hijo ensenándole a ejercitar esta misma elección, agregando que en ella, juntos, hubieran sido “más fuertes que cualquier ejército”. No sé si el sr. Antoine sea cristiano, pero sé ciertamente que, también si no lo fuera, su decisión ha sido un rayo potente de luz que ha desgarrado las tinieblas de aquél trágico momento de la historia. Porque también la Palabra de Dios confirma, en la 1ra lectura de hoy, que si son horribles las tragedias procuradas por los graves pecados de los hombres, también odio e ira son cosas abominables, y el pecador lo lleva dentro. El que se venga experimentará la venganza del Señor: él le tomará rigurosa cuenta de todos sus pecados. Perdona a tu próximo el daño que te ha hecho, así cuando tú lo pidas, te serán perdonados tus pecados. ¡Cómo! ¿Un hombre guarda rencor a otro hombre y le pide a Dios que lo sane?… Si él, débil y pecador, guarda rencor, ¿quién le conseguirá el perdón?  (Sir 27,30-28,1ss.). 

Entonces la elección del perdón es también razonable. Pero es la revelación del rostro de Dios en la Biblia que la funda y la refuerza, como hemos visto también en la parábola contada por Jesús. En ella de hecho, el Señor nos indica con claridad como poderlo seguir en el camino de un amor que no retrocede delante de las ofensas que se pueden derribar en nuestra vida: pensar a mis 10.000 talentos de deuda perdonados por Dios más que a las 100 monedas que mi prójimo me debe. Si estoy realmente convencido que las cosas están así como me dice el evangelio, entonces no será solo fatigoso recorrer su camino de amor a ultranza, sino que será una experiencia de un poder que de verdad el Señor dona a quien le cree. Una última consideración. El sr. Antoine se ha prometido así mismo educar a su pequeño a no odiar, sino a perdonar. Ha elegido también la mejor inversión para su hijo. Porque si induces a un ser humano a recordar siempre los pecados de los demás, lo haces vivir en el rencor y en el odio establecido en el pasado. Y allí se vive muy mal, en prisión consigo mismo y con el ánimo siempre en guerra hacia los demás; de allí no nos movemos más. Si en cambio decides educar a un hombre al perdón, lo haces caminar y le garantizas el futuro. Porque solo quien vive del perdón de Dios está comprometido a su vez en perdonar, es verdaderamente un hombre libre que vive ya en el futuro.

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