XV DOMENICA DEL T.O.
anno C (2022)
Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa così».
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Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è al di là del mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica». Così si esprime Mosè parlando al popolo circa il comandamento che sta al centro di tutta la legge (1a lettura). Avrete fatto caso che le parole finali sembrano voler assicurare una certa facilità nell’obbedirgli e praticarlo. Eppure nella realtà non è così. Quel che capita al dottore della legge che interroga due volte Gesù, è la prova lampante. Dove sta l’inghippo? Certamente in primis nell’approccio del dottore che è sbagliato. Se tu vuoi mettere alla prova Gesù nel far le tue domande, sei in posizione già equivoca (Lc 10,25). Il che significa che non sempre le nostre domande sono innocenti. Il Signore coglie l’occasione per spiegare bene dove sta l’inghippo e, indirettamente, perché Mosè si espresse in quel modo.
La legge dice chiaramente che il comando di convertire il proprio cuore a Dio per amarlo con tutto se stessi, non può essere disgiunto dall’amare la sua immagine in terra: l’uomo. Del resto, controinterrogato da Gesù, lo stesso dottore gli risponde così (Lc 10,27). Ma noi siamo sempre abilissimi a eludere o piegare il comando alle nostre esigenze, anziché piegare il nostro cuore alle sue. Questo lo si vede bene nella 2a domanda rivolta al Signore (Lc 10,29). Mentre l’uomo vorrebbe ridurre il raggio delle persone da amare, più o meno secondo i propri capricci, Dio comanda di amare Lui guardando in ogni uomo il suo volto, soprattutto in quello deturpato dal male e abbandonato da tutti. Ecco la celebre parabola raccontata per rettificare il dotto interlocutore. Il problema dell’uomo sta in quella congiunzione “e”: Dio ha detto di amare Lui “e” il prossimo come se stessi. Perciò Mosè dice che questa parola è alla portata di tutti e non occorre andare a cercare di praticarla in cielo o al di là del mare. Chi ama l’uomo, ama veramente Dio. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede (1Gv 4,20). L’amore è vicino ed avvicina.
Il dito di Gesù entra discretamente nella piaga di ogni religione che relativizza, per le proprie esigenze, il comando divino. Se i primi a passare davanti all’uomo mezzo morto per le percosse sono un sacerdote e un levita che procedono oltre, vorrà dire pure qualcosa. Oserei dire che un suggerimento per guarire dalla piaga del clericalismo venga proprio dalla parabola, quando vediamo che il levita si comporta esattamente come il sacerdote. Andiamo a riformare profondamente la formazione del clero, lì colpiremo al cuore il clericalismo. E poi c’è da riflettere tanto sulla svolta del racconto: invece un samaritano che era in viaggio (Lc 10,33). Intanto, per il solo fatto che era un samaritano. Simbolo di ogni uomo che non si muove dentro una fede ufficiale e che generalmente è guardato con sospetto. Le lezioni d’amore spesso provengono da persone così. Poi, che fosse in viaggio lo colloca perlomeno nella stessa difficoltà dei due chierici, se non di più. Di sicuro gli altri due avranno avuto cose più importanti da fare, secondo il loro ragionamento “molto” religioso e autogiustificante. Che però a loro non fa vedere un bel niente nell’uomo per terra. La differenza sta tutta qui: il samaritano vede quello che gli altri due non vedono, cioè la cosa più importante e più religiosa da fare. E anche qui, troviamo protagonista una “e” congiunzione, che rende simultaneo il vedere e il sentire compassione (Lc 10,32). Infatti, chi ama è compassionevole. E chi ha compassione vede bene dove va amato Dio e dove Egli si sente amato.
Se quanto detto è vero, c’è da fare un esame profondo di coscienza personale e comunitario. Vedere tanti italiani e altri popoli europei che accolgono nuclei di famiglie ucraine fa bene al cuore; ma non fa altrettanto bene quando vediamo che non ci si comporta ugualmente con africani, asiatici o musulmani. Siamo molto lontani dal vangelo quando agiamo così, urge una conversione sincera. Notate infine la impressionante sequenza verbale dell’azione del samaritano, in un unico versetto, il n. 34: si fece vicino…fasciò le ferite…versò acqua e vino…lo caricò…lo portò…si prese cura di lui. L’amore, quando è autentico, è creativo e crescente, è sempre personalizzante e ti fa portare il peso dell’altro. E ti porta a coinvolgere sempre altri nell’onda che parte dalla sua compassione (Lc 10,35). Il vangelo finisce con la geniale domanda che ribalta la domanda iniziale del dottore, abilitandolo a rispondere correttamente: chi ha avuto compassione di lui (Lc 10,37). Se uno vuol entrare nella vita eterna, cioè amare Dio, ha questa vita fragile e insicura per parlare ed agire compassionevolmente con l’uomo. Come ha fatto Gesù. Altrimenti si imbroglia e diventa un imbroglione. Avrà fatto così anche il dottore della legge?
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AQUELLA “Y” QUE UNE AL HOMBRE CON DIOS
Este precepto que yo te mando hoy no excede tus fuerzas, ni es inalcanzable. No está en el cielo, para poder decir: “¿Quién de nosotros subirá al cielo y nos lo traerá y nos lo proclamará, para que lo cumplamos?”. Ni está más allá del mar, para poder decir: “¿Quién de nosotros cruzará el mar y nos lo traerá y nos lo proclamará, para que lo cumplamos?”. El mandamiento está muy cerca de ti: en tu corazón y en tu boca, para que lo cumplas». Así se expresa Moisés hablando al pueblo acerca del precepto central de toda la ley (1era lectura). Habrán hecho caso que las palabras finales parecen querer asegurar una cierta facilidad en el obedecerlo y practicarlo. Sin embargo, en la realidad no es así. Lo que le sucede al doctor de la ley que interroga dos veces a Jesús, es la prueba lampante. ¿Dónde está el problema? Ciertamente en primer lugar en el planteamiento del doctor que es equivocado. Si tú quieres poner a la prueba a Jesús en el hacer tus preguntas, estás en posición ya equivocada (Lc 10,25). Lo que significa que no siempre nuestras preguntas son inocentes. El Señor toma la ocasión para explicar bien donde está la trampa e, indirectamente, por qué Moisés se expresó de esa manera.
La ley dice claramente que el precepto de convertir el propio corazón a Dios para amarlo con todo el ser no puede estar separado del amar a su imagen en la tierra: el hombre. Por lo demás, contrainterrogado por Jesús, el mismo doctor le responde así (Lc 10,27). Pero nosotros somos siempre muy capaces de eludir o doblegar el precepto a nuestras necesidades, en lugar de doblegar nuestro corazón a la suya. Esto se ve bien en la 2da pregunta dirigida al Señor (Lc 10,29). Mientras que el hombre quisiera reducir el radio de las personas a las cuales amar, más o menos según los propios caprichos, Dios ordena amar a Él mirando en cada hombre su rostro. Especialmente en el que ha sido desfigurado por el mal y abandonado por todos. He aquí la célebre parábola contada para rectificar al ilustre interlocutor. El problema del hombre está en aquella conjunción “y”: Dios ha dicho que lo amaran “y” al prójimo como a sí mismos. Por esto Moisés dice que esta palabra está al alcance de todos y no es necesario ir a intentar practicarla en el cielo o más allá del mar. Quien ama al hombre, ama verdaderamente a Dios. Quien de hecho no ama al propio hermano que ve, no puede amar a Dios que no ve (1Jn 4,20). El amor es cercano y acerca.
El dedo de Jesús entra discretamente en la llaga de cada religión que relativiza, para las propias exigencias, el mandamiento divino. Si los primeros en pasar frente al hombre medio muerto por los golpes son un sacerdote y un levita que pasan de frente, querrá decir seguramente algo. Me atrevo a decir que una sugerencia para sanar de la llaga del clericalismo viene exactamente de la parábola, cuando vemos que el levita se comporta exactamente como el sacerdote. Vamos a reformar profundamente la formación del clero, allí golpearemos en el corazón al clericalismo. Y luego hay que reflexionar mucho sobre el giro de la historia: en cambio un samaritano que estaba viajando (Lc 10,33). En tanto, por el solo hecho que era un samaritano. Símbolo de cada hombre que no se mueve dentro de una fe oficial y que generalmente es mirado sospechosamente. Las lecciones de amor muchas veces vienen de personas así. Luego, que estuviera de viaje lo coloca al menos en la misma dificultad de los dos clérigos, si no es mucho más. De seguro los otros dos habrán tenido cosas más importantes que hacer, según su razonamiento “muy” religioso y auto justificable. Pero que a ellos no les hace ver nada en el hombre tirado en el piso. Toda la diferencia está aquí: el samaritano ve lo que los otros dos no ven, o sea la cosa más importante y religiosa por hacer. Y también aquí, encontramos como protagonista una “y” conjunción, que hace simultáneo el ver y el sentir compasión (Lc 10,32). De hecho, quien ama es compasivo. Y quien tiene compasión ve bien dónde va amado Dios y dónde Él se siente amado.
Si cuanto dicho es verdadero, hay que hacer un examen profundo de consciencia personal y comunitario. Ver tantos italianos y otros pueblos europeos que acogen núcleos de familias ucranianas hace bien al corazón; pero no hace igualmente bien cuando vemos que nos comportamos igualmente con africanos, asiáticos o musulmanes. Estamos muy lejos del evangelio cuando actuamos así, urge una conversión sincera. Noten en fin la impresionante secuela verbal de la acción del samaritano, en un único versículo, el n°34: se hizo cercano… cubrió sus heridas… echó agua y vino… lo cargó… lo llevó… se hizo cargo de él. El amor, cuando es auténtico, es creativo y creciente, es siempre personalizado y te hace llevar el peso del otro. Y te lleva a involucrar siempre a otros en la ola que parte de su compasión (Lc 10,35). El evangelio termina con la genial pregunta que cambia la pregunta inicial del doctor, habilitándolo a responder correctamente: quien ha tenido compasión de él (Lc 10,37). Si uno quiere entrar en la vida eterna, o sea amar a Dios, tiene esta vida frágil e insegura para hablar y actuar compasivamente con el hombre. Como ha hecho Jesús. De lo contrario se engaña y se convierte en un tramposo. ¿Habrá hecho así también el doctor de la ley?