XXIII DOMENICA DEL T.O.
anno C (2023)
Sap 9,13-18; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33
Una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
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Una folla numerosa andava con Gesù (Lc 14,25). Una notizia così può subito sembrare solo positiva, auspicabile. Come nei giorni scorsi, quando ho visto radunarsi tantissima gente proveniente da tutto il mondo a Medjugorje, Bosnia-Herzegovina. In quel posto dove mi reco da tanti anni, mi chiedevo ancora una volta: ci andiamo tutti solo per Gesù e sua madre? Certo, guardando una sera più di 8000 persone assiepate in adorazione eucaristica, c’è da sperare. Ma è bene far risuonare alle nostre orecchie le prime parole del Signore di oggi, per ricordarci insieme che Egli non va a caccia di followers, né ha bisogno di avere un’espansione di influenza su questo mondo a tutti i costi. Questa caratteristica del Regno di Dio continua ad essere malintesa o addirittura respinta persino all’interno della chiesa. È sempre la stessa tentazione che si ripresenta in molte forme. A Gesù non sta a cuore quanti gli vanno dietro, ma chi è che gli va dietro. Gli preme che si formi bene la nostra identità cristiana, non il nostro numero. E dice a tutti: se uno viene a me e non mi ama più di…(Lc 14,26). C’è poco da interpretare. A chi gli va incontro, il Signore dice che solo se lo si ama perché è Dio, si può diventare suoi discepoli. Se qualche altro amore diventa più importante del suo, non ci siamo. Queste prime parole possono sembrare molto esigenti e probabilmente lo sono, io vorrei sottolineare solo 2-3 cose utili su di esse che faranno sentire maggiormente quanto ci giovano.
1) Sono parole che aiutano il discernimento sulla mia relazione con Gesù: mi rivolgo a Lui come il Dio della mia vita o come un guru da consultare ogni tanto, quando ne ho voglia o quando mi sento in affanno? La mia relazione con Lui è diventata il sole attorno a cui ruotano, come altri pianeti, le altre relazioni d’amore? Oppure il di più se lo becca mio padre, i miei fratelli, mia moglie, me stesso, gli amici, o i figli? Attenzione perché se il surplus d’amore non ce l’ha Lui, la dichiarazione che ne consegue è cristallina: non può essere mio discepolo (Lc 14,26b). E aggiungerei: vuol anche dire che si sta facendo di altri un dio, dunque un idolo. 2) Queste parole non ci sono dette perché Gesù vuol stabilire una competizione d’amore con gli altri, ma semplicemente per il nostro bene. Perché da noi stessi non possiamo veramente amare gli altri. Solo se il nostro amore si radica sulla relazione che coltiviamo con Lui, possiamo amare i nostri cari. Quasi tutte le confusioni a cui assistiamo ogni giorno, in nome dell’amore, discendono dal non riconoscere, consapevolmente o meno, questa legge. 3) Non può essere discepolo nemmeno chi pensa di poter diventarlo senza una croce da portare, cioè senza una fatica e una sofferenza costante da cui imparare, mentre si cammina dietro Gesù. Cosa assolutamente non scontata, esperti come siamo a metterci davanti a Lui e a volergli insegnare il suo mestiere! (cfr.Mt 16,22-23)
Le parabolette che Gesù racconta dopo a sostegno delle prime parole, offrono gli adeguati settings per operare una scelta sulla domanda: voglio veramente diventare suo discepolo? O vado da Gesù perché cerco qualcos’altro? Magari me stesso, qualche benefit, la salute, ecc.ecc.? Notate che la prima parabola ci parla di costruzione, la seconda invece di strategia in battaglia. C’è qualcosa di generale sulla vita da apprendere per afferrare dove si gioca il discepolato e dunque una fede matura. La propria vita infatti è come un’opera da costruire (torre) nella quale ci sono da fare, a suo tempo, puntuali e accorte valutazioni per calcolare bene il margine di rischio. Ma è anche come una lunga campagna di guerra contro un nemico, all’interno della quale vanno fatte le stesse difficili valutazioni. Che cosa ci vuol dire Gesù? Che nell’andargli dietro bisogna pensarci bene. Bisogna pensar bene ai rischi che si corrono “nella” e alle conseguenze “della” sequela, per non incorrere in facili pretese ed illusorie attese. In entrambe le parabole c’è comunque una sorta di messaggio subliminale che le percorre. Come se il Signore invitasse a considerare bene la propria piccolezza e insufficienza davanti all’opera edile o bellica, proprio affinché nella vita si faccia leva su di Lui piuttosto che su di noi.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo (Lc 14,33). Tiriamo le somme sul versetto conclusivo. Se Gesù è arrivato a questa affermazione finale, significa che l’ostacolo maggiore al discepolato è innanzitutto la ricchezza. È un tema caro all’evangelista. Ma non è tutto. La rinuncia a tutti i propri averi di cui ci parla Gesù, più che indicare la ricchezza come ingente quantità di risorse, sembra indicare piuttosto l’invito alla libera rinuncia al verbo avere per abbracciare con gioia quello dell’amare: ricordate l’incontro con il giovane ricco? Si tratta di organizzare una vita sulla persona di Gesù e non su quello che si può possedere, poco o tanto che sia. Si tratta di fondarla sul nome di Gesù e non sul proprio nome. Il discepolo vero cerca e trova il “di più” della vita in Gesù, perché ha scoperto e compreso che noi stessi siamo sua opera da costruire con Lui. Poiché con Gesù, l’opera giungerà certamente a termine e la battaglia sicuramente porterà pace. Senza di Lui invece, si costruisce solo (sulla sabbia) una torre verso il cielo, senza arrivare da nessuna parte (cfr. Gen 11,1-9 e Mt 7,26-27).
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MÁS
Una multitud numerosa iba con Jesús (Lc 14,25). Una noticia así puede parecer inmediatamente positiva, deseable. Como en los días pasados, cuando he visto reunirse tantísima gente proveniente de todo el mundo en Medjugorje, Bosnia-Herzegovina. En aquel lugar en el cual voy desde hace muchos años, me preguntaba una vez más: ¿vamos todos solo por Jesús y su madre? Cierto, mirando una tarde más de 8,000 personas reunidas en adoración eucarística, hay que esperarlo. Pero es bueno hacer resonar las primeras palabras del Señor de hoy a nuestros oídos, para recordarnos juntos que Él no busca seguidores, ni necesita tener una expansión de influencia en este mundo a toda costa. Esta característica del Reino de Dios continúa a ser malinterpretada o incluso rechazada incluso dentro de la Iglesia. Es siempre la misma tentación que se representa en muchas formas. A Jesús no le importa cuántos van detrás de él, sino quién va detrás de él. Le interesa que se forme bien nuestra identidad cristiana, no nuestro número. Y dice a todos: si uno viene a mí y no me ama más que… (Lc 14,26). Hay poco para interpretar. A quien sale a su encuentro, el Señor dice que solo si se le ama porque es Dios, se puede llegar a ser sus discípulos. Si algún otro amor se vuelve más importante que el suyo, no estamos. Estas primeras palabras pueden parecer muy exigentes y probablemente lo son, yo quisiera subrayar 2-3 cosas útiles sobre ellos que harán sentir cuánto benefician.
1) Son palabras que ayudan al discernimiento sobre mi relación con Jesús: ¿me dirijo a Él como el Dios de mi vida o como un gurú para consultar de tanto en tanto, cuando tengo ganas o cuando me siento en dificultad? ¿Mi relación con Él se ha convertido el sol alrededor del cual giran, como otros planetas, las otras relaciones de amor? ¿O lo más se lo toma mi padre, mis hermanos, mi esposa, yo mismo, mis amigos o mis hijos? Atención porque si el excedente de amor no lo tiene Él, la declaración que sigue es cristalina: no puede ser mi discípulo (Lc 14,26b). Y agregaría: quiere decir también que se está haciendo de otros un dios, entonces un ídolo. 2) Estas palabras no se han dicho porque Jesús quiere establecer una competencia de amor con los demás, sino sencillamente por nuestro bien. Porque por nosotros mismos no podemos verdaderamente amar a los demás. Solo si nuestro amor radica en la relación que cultivamos con Él podemos amar a nuestros queridos familiares. Casi todas las confusiones a la cual asistimos cada día, en nombre del amor, derivan del no reconocer, conscientemente o no, esta ley. 3) Tampoco puede ser discípulo quien piense que puede llegar a serlo sin una cruz que llevar, es decir, sin una fatiga y un sufrimiento constante del que aprender, mientras se camina detrás de Jesús. ¡Algo absolutamente no descontado, expertos como somos en ponernos ante Él y en querer enseñarle su oficio! (cfr. Mt 16,22-23).
Las parábolas que Jesús cuenta después para sostener las primeras palabras ofrecen los adecuados ajustes para hacer una elección sobre la pregunta: ¿quiero realmente convertirme en su discípulo? ¿O voy a Jesús porque busco algo más? ¿Tal vez yo mismo, algún beneficio, la salud, etc.? Noten que la primera parábola nos habla de construcción, la segunda en cambio de estrategia en la batalla. Hay algo general sobre la vida que hay que aprender para comprender dónde se juega el discipulado y, por tanto, una fe madura. De hecho, la propia vida es como una obra a construir (torre) en la que hay que hacer, a su tiempo, valoraciones puntuales y prudentes para calcular bien el margen de riesgo. Pero también es como una larga campaña de guerra contra un enemigo, dentro de la cual hay que hacer las mismas evaluaciones difíciles. ¿Qué nos quiere decir Jesús? Que al ir tras Él hay que pensarlo bien. Es necesario pensar bien en los riesgos que se corren “en la” y en las consecuencias “de la” secuela, para no incurrir en fáciles pretensiones e ilusorias expectativas. En ambas parábolas hay, sin embargo, una especie de mensaje subliminal. Como si el Señor invitara a considerar bien la propia pequeñez e insuficiencia ante la obra de construcción o bélica, precisamente para que en la vida se haga palanca sobre Él más que sobre nosotros.
Así que cualquiera de ustedes que no renuncie a todas sus posesiones no puede ser mi discípulo (Lc 14,33). Repasemos el versículo final. Si Jesús ha llegado a esta afirmación final, significa que el mayor obstáculo al discipulado es ante todo la riqueza. Es un tema querido por el evangelista. Pero no es todo. La renuncia a todos los propios bienes de los que nos habla Jesús, más que indicar la riqueza como enorme cantidad de recursos, parece indicar más bien la invitación a la libre renuncia al verbo tener para abrazar con alegría al del amar: ¿Recuerdan el encuentro con el joven rico? Se trata de organizar una vida sobre la persona de Jesús y no sobre lo que se puede poseer, poco o mucho que sea. Se trata de fundarla en el nombre de Jesús y no en el propio nombre. El verdadero discípulo busca y encuentra el “más” de la vida en Jesús, porque ha descubierto y comprendido que nosotros mismos somos su obra por construir con Él. Porque con Jesús, la obra ciertamente llegará a su fin y la batalla seguramente traerá paz. Sin Él, en cambio, se construye solo (sobre la arena) una torre hacia el cielo, sin llegar a ninguna parte (cfr. Gen 11,1-9 y Mt 7,26-27).
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