XVII DOMENICA DEL T.O.
anno C (2019)
Gen 18,20-32; Col 2,12-14; Lc 11,1-13
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
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La sorella di Marta ci ha mostrato che c’è una parte migliore nell’unica cosa di cui c’è bisogno (Lc 10,42). E questa unica cosa, anche se l’uomo non lo sa o non lo vuole ammettere, è il bisogno di Dio. L’uomo è bisogno di Dio. A questo bisogno, Dio viene incontro nella preghiera che, sostanzialmente, è la relazione unica, personale, che ogni essere umano può stabilire con Lui. Gesù ha manifestato nella sua stessa persona questo bisogno: nel suo intimo, assiduo incontro con il Padre. Siamo giunti soltanto al cap.11 del suo vangelo e Luca, per la settima volta, ci dice che il Signore si appartava per la preghiera (Lc 11,1a). Di questo suo modo di vivere se ne accorgevano anche i discepoli, se ci viene segnalato che uno di essi chiese esplicitamente di imparare a pregare (Lc 11,1b). Erano colpiti dal suo modo di pregare così diverso dal loro, volevano entrare nel mistero della sua preghiera, volevano pregare come Lui! Gesù risponde prontamente: quando pregate dite “Padre” (Lc 11,2).
Ci vorrebbe un anno intero per commentare la preghiera del Padre nostro. Ci basti ricordare l’invito di Gesù a entrare nella preghiera chiamando Dio come Lui stesso lo chiama: “abbà”, cioè “papà”. Gesù ci insegna ad andare a Dio facendoci piccoli, come figli che si rivolgono al loro papà per qualsiasi cosa. Ho un nipotino di 8 anni. È nell’età in cui, per qualsiasi motivo, cerca sempre suo papà (mio fratello). Noto sempre che ha tante domande da fargli, oltre che richieste. E anche se qualche volta il suo papà deve dire dei “no”, vedo che non viene mai meno la sua fiducia in lui. Ecco, Dio vuole che entriamo nella preghiera con Lui in questo modo: Egli non cerca persone da far tremare, da controllare, ma figli con cui parlare, figli che gli permettano di scoprire la sua tenera e misericordiosa paternità. Oh se ci fidassimo di questo insegnamento di Gesù! Se permettessimo al Padre di fare il suo mestiere pieno di amorose premure!

Forse anche tu che leggi hai qualche dubbio che sia davvero così. Non sei l’unico. Siamo tutti solidali con Adamo. Cosa aggiunge Gesù per rafforzare il suo invito alla preghiera? Ci racconta una parabola un po’ strana. Un tizio ha un amico che sosta da lui dopo un viaggio. Per l’alloggio nessun problema, ma non ha niente da dargli per cena. Allora si reca da un altro amico a mezzanotte per chiedergli quel che occorre (Lc 11,5-6). È notte, ma è qualcuno che si può anche scomodare, se no, che amico è? Gesù però aggiunge la possibilità che costui, da amico sincero quale è, si senta davvero scomodato perché già a letto con i figli: la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto. Che rischi di svegliarli con il suo movimento? E qualora si svegliassero per qualche istante, dov’è il problema? Perché dice che non può alzarsi per dargli i pani richiesti? (Lc 11,7) L’attenzione che il Signore chiede non è tanto sulle domande che possono nascere, quanto sulla situazione che si potrebbe creare: un’amicizia che può essere messa in discussione da ambo le parti. Dalla parte interpellata, che si vede arrivare una richiesta inopportuna. Dal richiedente, deluso dal mancato soccorso dell’amico. Gesù ha creato nel suo ascoltatore, ancora una volta, il “climax” necessario per giungere al punto capitale della sua istruzione.
Questa parabola è raccontata prima di tutto per aiutarci a leggere dentro la nostra esperienza di preghiera. Se Dio mi ama come un tenero padre il proprio figlio, se la preghiera deve essere un colloquio familiare tra un figlio con suo padre, oppure come un amico che ricorre al suo amico, perché ci sembra a volte di sbattere su una porta chiusa? Perché a volte Dio sembra volgersi in un personaggio indifferente, restio a rispondere? In realtà, la preghiera è anche il luogo dove, se siamo docili, ci accorgiamo di tutto ciò che proiettiamo su Dio. Diciamo che Lui è lontano da noi, mentre siamo noi che ci allontaniamo. Sentiamo talvolta che ci è ostile, mentre siamo noi che ci riveliamo ostili nei suoi confronti. Facciamo con Lui la stessa operazione che facciamo spesso con gli altri. Ma qui viene il bello. Gesù ci dice di non fermarci mai alla nostra sensibilità, altrimenti finiremo per convincerci che Dio non sia quel Padre che è realmente.
Se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza (insistenza) si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono (Lc 11,8). Cerchiamo di cogliere il nocciolo di questa affermazione e la nostra relazione con Dio potrà crescere molto. Infatti, chi di noi può osare dire di essere “amico di Dio”? Eppure Gesù ci invita ad essere “sfacciati”, nel senso di essere senza maschere con Lui, ma soprattutto nel senso di non aver paura di osare, di essere invadenti nelle nostre richieste. Proprio come direbbe una madre badessa, che al riguardo scrisse un libro dal titolo “Non date tregua a Dio”. Gesù si raccomanda di parlare a Dio con una fede spudorata! Sì, hai sentito bene quello che ho detto. Il Signore ama così tanto la sincerità del cuore, che se uno si presenta a Lui “con la faccia tosta” nella preghiera, vedrà le sorprese di Dio! Ci sono stupende pagine nella Bibbia che sono il miglior commento a questa verità. Ve ne ricordo solo una, quella dove emerge una donna esemplare in questa “sfacciataggine”: la cananea che viveva nelle regioni di Tiro e Sidone (Mt 15,21-28).
Il finale del vangelo di oggi è come un riassunto della pedagogia divina nella preghiera. Gesù ci invita a chiedere, cercare e bussare perché Dio non lascia nessun figlio a mani vuote! (Lc 11,9-10) Se Lui tarda nel rispondere, non è per insensibilità ai nostri bisogni. È per far crescere il nostro desiderio più importante, perché scopriamo che in tante nostre richieste si nascondono egoismi da cui liberarci. “La pedagogia del Padre ci fa passare dai bisogni che abbiamo al bisogno che noi siamo. Se è vero che abbiamo bisogno dei suoi doni, è ancor più vero che siamo soprattutto bisognosi di Lui” (P. Silvano Fausti S.I.) Siamo ritornati all’apertura di questo commento. Il vangelo di oggi culmina con il grande desiderio di Dio di farci dono del suo Spirito (Lc 11,11-13). Il che vuol dire di farci grandi come Lui! Anche se ce ne ha fatto già dono, è necessario chiederglielo continuamente, per desiderare Lui prima di ogni altro dono. Altrimenti, rischiamo di vivere su quei 3-4 desideri tanto umani che non ci fanno cercare Dio, ma noi stessi, senza mai giungere a scoprire veramente Chi è Lui e chi siamo noi.
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TU ERES NECESIDAD DE DIOS
La hermana de Marta nos ha mostrado que hay una mejor parte en la única cosa de la cual es necesaria (Lc 10,42). Y esta única cosa, aunque si el hombre no lo sabe o no lo quiere admitir, es la necesidad de Dios. El hombre es necesidad de Dios. A esta necesidad, Dios viene al encuentro en la oración que, sustancialmente, es la relación única, personal, que cada ser humano puede establecer con Él. Jesús ha manifestado en su misma persona esta necesidad: en su íntimo, asiduo encuentro con el Padre. Hemos llegado solo al cap. 11 de su evangelio y Lucas, por la séptima vez, nos dice que el Señor se retiraba a rezar (Lc 11,1a). De este modo suyo de vivir se daban cuenta también los discípulos, si nos viene señalado que uno de ellos preguntó explícitamente de aprender a rezar (Lc 11,1b). Estaban impactados de su manera de rezar así diferente de ellos, querían entrar en el misterio de su oración, ¡querían rezar como Él! Jesús responde prontamente: cuando recen digan “Padre” (Lc 11,2).
Se necesitaría un año entero para comentar la oración del Padre nuestro. Nos basta recordar la invitación de Jesús a entrar en la oración llamando a Dios como Él mismo lo llama: “abbá”, o sea “papá”. Jesús nos enseña a ir a Dios haciéndonos pequeños, como hijos que se dirigen a su papá por cualquier cosa. Tengo un sobrino de 8 años. Está en la edad en la cual, por cualquier motivo, busca siempre a su papá (mi hermano). Noto siempre que tiene tantas preguntas para hacerle, además de pedidos. Y también si algunas veces su papá debe decirle algunos “no”, veo que no falta nunca su confianza en él. Entonces Dios quiere que entremos en la oración con Él de esta manera: Él no busca personas para hacerle temblar, hacerles caer, sino hijos con los cuales hablar, hijos que le permitan descubrir su ternura y misericordiosa paternidad. ¡Si nos confiáramos de esta enseñanza de Jesús! ¡Si permitiéramos al Padre de hacer su trabajo lleno de amorosas atenciones!
Quizás también tú que lees tienes alguna duda que sea de verdad así. No eres el único. Somos todos solidarios con Adán. ¿Qué agrega Jesús para reforzar su invitación a la oración? Nos cuenta una parábola un poco extraña. Un tipo tiene un amigo que se queda en su casa con él después de un viaje. Para el alojamiento no hay problemas, pero no tiene nada para darle en la cena. Entonces va a su otro amigo a medianoche para pedirle lo que necesita (Lc 11,5-6). Es de noche, pero es alguien a quien lo puede incomodar, si no, ¿qué amigo es? Pero Jesús agrega la posibilidad de que este, de amigo sincero cual es, se sienta de verdad incomodado porque ya está en la cama con los hijos: la puerta ya está cerrada, mis hijos y yo estamos durmiendo. ¿Arriesga en despertarlos con su movimiento? Y si se despertaran por algunos momentos, ¿dónde está el problema? ¿Por qué dice que no puede levantarse para darle los panes que pide? (Lc 11,7) La atención que el Señor pide no es tanto en las preguntas que pueden nacer, sino en la situación que se podría crear: una amistad que podría ponerse en discusión de parte de las dos partes. De la parte interpelada, que se ve llegar un pedido inoportuno. Del quien pide, desilusionado por la falta de ayuda del amigo. Jesús ha creado en sus oidores, una vez más, el “clímax” necesario para alcanzar el punto capital de su instrucción.
Esta parábola está narrada antes de todo para ayudarnos a leer dentro de nuestra experiencia de oración. Si Dios me ama como un tierno padre al propio hijo, si la oración debe ser un diálogo familiar entre un hijo con su padre, o también como un amigo que va a su amigo, ¿por qué nos parece a veces chocarnos con una puerta cerrada? ¿Por qué a veces Dios parece volverse un personaje indiferente, reacio en responder? En realidad, la oración es también el lugar donde, si somos dóciles, nos damos cuenta de todo lo que proyectamos sobre Dios. Decimos que Él está lejos de nosotros, mientras que somos nosotros que nos alejamos. Sentimos a veces que nos es hostil, mientras que somos nosotros que nos revelamos hostiles con Él. Hacemos con Él la misma operación que hacemos muchas veces con los demás. Pero aquí viene lo bueno. Jesús nos dice de no detenernos nunca a nuestra sensibilidad, sino terminaremos por convencernos que Dios no es aquél Padre que realmente es.
Si no se levantará a darle porque es su amigo, al menos lo hará por su invasión (insistencia) se levantará a darle todo lo que necesita (Lc 11,8). Busquemos de agarrar el jugo de esta afirmación y nuestra relación con Dios podrá crecer mucho. De hecho, ¿quién de nosotros puede osar decir que es “amigo de Dios”? Sin embargo Jesús nos invita a ser “descarados”, en el sentido de no tener mascaras con Él, pero sobretodo en el sentido de no tener miedo de osar, de ser invasivos en nuestros pedidos. Justamente como diría una madre abadesa, que al respecto escribió un libro de título “No den tregua a Dios”. Jesús recomienda hablar a Dios con una fe ¡desvergonzada! Sí, has escuchado bien lo que he dicho. El Señor ama tanto así la sinceridad del corazón, que si uno se presenta a Él “con la cara descarada” en la oración, ¡verá las sorpresas de Dios! Hay páginas estupendas en la Biblia que son el mejor comentario a esta verdad. Les recuerdo solo una, aquella donde emerge una mujer ejemplar en este “descaro”: la cananea que vivía en las regiones de Tiro y Sidón (Mt 15,21-28).
El final del evangelio de hoy es como un resumen de la pedagogía divina en la oración. Jesús nos invita a pedir, buscar y tocar porque Dios no deja a ningún hijo ¡con las manos vacías! (Lc 11,9-10) Si Él tarda en responder, no es por insensibilidad a nuestras necesidades. Es para hacer crecer nuestro deseo más importante, para que descubramos que en tantos de nuestros pedidos se esconde egoísmos del cual librarnos. “La pedagogía del Padre nos hace pasar de las necesidades que tenemos a la necesidad que nosotros somos. Si es verdad que necesitamos de sus dones, es todavía más verdadero que somos sobretodo necesitados de Él” (P. Silvano Fausti S.I.) Hemos regresado a la apertura de este comentario. El evangelio de hoy culmina con el gran deseo de Dios de hacernos el don de su Espíritu (Lc 11,11-13). Que quiere decir ¡hacernos grandes como Él! Aunque si ya nos ha dado este don, es necesario pedírselo continuamente, para desear a Él antes que cualquier otro don. Sino, arriesgamos de vivir en esos 3-4 deseos tanto humano que no nos hacen buscar a Dios, sino a nosotros mismos, sin nunca alcanzar a descubrir verdaderamente Quién es Él y quiénes somos nosotros.
Riascoltando questo brano, meditandolo dopo le nostre lectio da te guidate con grande capacità di trasmettere ciò che conosci e che hai a tua volta meditato, stamattina ho focalizzato l’ attenzione sul “sia santificato il tuo nome…”, pensando al significato. Ci viene detto da Gesù di chiamare Dio Padre, quindi santificare il nome di un papà mi viene da dire che possa significare “parlare bene di lui agli altri”, dichiarare che gli vogliamo bene, che ci fa stare bene, che ci aiuta e protegge quando abbiamo bisogno, che è un importante punto di riferimento per noi. A volte forse dimentichiamo di fare ciò, come si dimentica ad esempio di ringraziare i propri genitori per quello che sono stati e sono per noi. Non bisogna mai dare nulla per scontato in un rapporto, non bisogna dimenticarsi di gratificare anche se l’ altro non lo richiede….con gli amici, con i genitori così come col Padre celeste.
Per ciò che riguarda invece la domanda “insegnaci a pregare”, penso di aver imparato (spero!) quando mi sono trovata faccia a faccia con una malattia grave di mio padre a cui i medici avevano dato prognosi infausta a breve. Ricordo lo smarrimento e la disperazione di mia madre che voleva “fuggire” via a morire con mio padre.
Io mi sono sentita di andare davanti al Crocifisso tutte le mattine, dopo aver accompagnato mio figlio all’ asilo, prima di andare al lavoro, a mettere di fronte a Lui la mia preoccupazione e pian pian le mie richieste di guarigione per papà, aiutata e guidata dal mio padre spirituale di allora.
Mio padre ha vissuto ancora quindici anni, sorprendendo gli stessi medici, ha combattuto con coraggio la malattia, ha visto crescere “la vita” nella sua famiglia vedendo nascere Anna, Francesca e Matteo oltre al primo nipote che era già nato, Pietro. Ha potuto a sua volta assistere mia madre quando ha avuto bisogno e ha con lei vissuto bei momenti oltre a quelli impegnativi delle cure.
Io ancora oggi leggo tutto ciò come un intervento del Padre nella nostra vita, dopo tanta mia insistenza….! Mio padre in quei quindici anni ha lasciato di sé un ricordo speciale, di persona forte che ha sopportato tutto e vinto la malattia, che per me è stato un dono.
Non posso fare altro che confermare che si deve condividere col Padre celeste ogni cosa della vita e chiedere al suo Santo Spirito di aiutarci ad avere pazienza e sapienza per interpretare i frutti delle nostre preghiere
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Stupendo! Adesso ho compreso da dove viene la tua fedeltà alla preghiera…Il Padre e la tua lotta!
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