LASCIAGLI PRENDERE I TUOI PECCATI

II DOMENICA DEL T.O.

anno A (2020)

Is 48,3.5-6; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

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Giovanni compare sulla scena pubblica di Israele nel deserto della Giudea. Deve compiere la sua missione: preparare interiormente il popolo alla imminente venuta del Messia amministrando un battesimo di conversione (Mt 3,1). Per questo ministero sceglie le acque del Giordano. Presso quelle stesse acque, Gesù fa la sua prima apparizione pubblica andando incontro a Giovanni. Abbiamo già contemplato questa scena domenica scorsa, celebrando la festa del suo Battesimo. Di quell’incontro, l’evangelista Matteo evidenzia l’imbarazzo che colpì il Battista al vedere Gesù presentarsi per farsi battezzare da lui come fosse un peccatore qualunque (Mt 3,14); Giovanni evangelista invece, fa risaltare la testimonianza di fede del profeta che accoglie l’assoluta novità della rivelazione di Cristo. Per 2 volte in 6 versetti, dentro il breve vangelo di oggi, troviamo sulla bocca di Giovanni Battista l’affermazione: io non lo conoscevo (Gv 1,31 e 33).

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Ecco l’agnello di Dio, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, gennaio 2020

Impossibile però che Giovanni non sapesse nulla della sua parentela con Gesù, vista la relazione tra le loro madri iconizzata in un altro vangelo (Lc 1,39-45). Resta per noi la domanda: ci si può sentire inviati per conto di qualcuno che non si conosce? C’è una incongruenza significativa tra quanto Giovanni afferma qui e quanto abbiamo udito della sua predicazione alle folle. Qual è allora il senso dell’espressione ripetuta per due volte? Ricordo che anni fa, in missione presso una poverissima periferia di Lima (Perù), stavo ultimando la messa vespertina in una piccola cappella. Come si sa, al momento dell’elevazione del corpo eucaristico prima della comunione, il sacerdote pronuncia le stesse parole di Giovanni precedute dall’espressione “beati gli invitati alla cena del Signore”. Giunto a quel momento, ebbi una breve distrazione perché avevo davanti a me un bambino che mi fissava continuamente con gli occhi spalancati e poi sembrava con lo sguardo cercare qualcosa sull’altare. Al termine di quella celebrazione la mamma di quel bimbo mi chiese di andare a benedire la sua povera casa. Mentre ci eravamo incamminati insieme, il suo bambino mi disse: padre, posso farle una domanda? – “Ma certo” – gli risposi. E lui replicò: verso la fine della messa dice sempre “ecco l’agnello di Dio!”, e anche stasera lo ha detto. Ma dov’è questo agnello di Dio? Dove lo mette? Io non lo vedo mai…

A parte l’immediata ilarità suscitata, le parole di quel bimbo mi fecero pensare a quanto sia inafferrabile, anche per un sacerdote, il mistero di Dio. Noi, come Giovanni, annunciamo qualcuno di cui abbiamo fatto esperienza, ma guai a “brevettarla” come fosse qualcosa che ci garantisce la conoscenza di Dio. La “non conoscenza” è indispensabile alla fede autentica. Quest’ultima infatti si radica su pochissime certezze e si nutre di molte domande. Per questo Giovanni è un autentico testimone di fede. Fedele alla sua vocazione/missione, lo vediamo lasciarsi cambiare nella realtà più difficile da convertire nella nostra vita: l’immagine che abbiamo di Dio. Sulle rive del Giordano il suo sguardo viene a penetrare in profondità la persona di Gesù appunto perché gli lascia fare quello che non gli avrebbe mai permesso di fare (cfr. Mt 3,15). Ora Giovanni vede meglio chi è quell’uomo annunciato come veniente avanti a me perché era prima di me (Gv 1,30). Così anche noi. Se vogliamo veramente conoscere il Signore e non rimanere con la testa e il cuore fermi al catechismo ricevuto da bambini, se non vogliamo vivere di attese sbagliate, dobbiamo lasciargli fare qualcosa che non vorremmo mai lasciargli fare: prendere su di sé i nostri peccati.

Una traduzione più adeguata del verbo αρω al v. 29 è infatti: ecco l’Agnello di Dio che porta su sé stesso il peccato del mondo. Giovanni evangelista vede nella imprevista scoperta della vera identità del Messia il compimento della fede/missione di Giovanni Battista. Gesù viene dentro la storia umana per farsi carico del suo peccato e di ogni fallimento, non per eliminare il male spazzando via parte dell’umanità, ma salvandola nell’assorbirlo in sé. Un po’ più avanti nel vangelo di Giovanni leggiamo l’annuncio che fa a Nicodemo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannarlo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (Gv 3,16-17). Non c’è dunque una via più sicura, per conoscere il Signore, che quella di smetterla di continuare a tentare di rimuovere da soli il male della propria vita o di nascondere a sé stessi le proprie miserie. Non esiste psicologo, counselor, sociologo o altro guru di turno che possa risolvere il problema. Solo Dio può liberarci dal peccato. Come al solito, le parole tenerissime di Papa Francesco sono il miglior invito a fidarci del Signore mentre si immagina la renitenza di un fedele che non si fida di Dio perché non crede possa perdonargli tutti i suoi peccati: “Sei un grande peccatore? Meglio! Perché Lui è venuto proprio per noi peccatori, e quanto più gran peccatore tu sei, più il Signore è vicino a te, perché è venuto per te, il più grande peccatore, per me, il più grande peccatore, per tutti noi…Prendiamo l’abitudine di ripetere questa preghiera, sempre: “Signore, se Tu vuoi, puoi. Se vuoi, puoi”, con la fiducia che il Signore è vicino a noi e la sua compassione prenderà su di sé i nostri problemi, i nostri peccati, le nostre malattie interiori, tutto! (Papa Francesco, omelia a S.Marta, 16.01.2020)

 

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DEJALO QUE TOME TUS PECADOS

 

Juan aparece en la escena pública de Israel en el desierto de la Judea. Debe cumplir su misión: preparar interiormente al pueblo de la inminente llegada del Mesías administrando un bautizo de conversión (Mt 3,1). Para este ministerio elige las aguas del Jordán. Ante esas mismas aguas, Jesús hace su primera aparición pública yendo al encuentro de Juan. Hemos ya contemplado esta escena el domingo pasado, celebrando la fiesta de su Bautismo. De aquél encuentro, el evangelista Mateo evidencia la incomodidad que impactó al Bautista al ver a Jesús presentarse para hacerse bautizar por él como si fuera un pecador cualquiera (Mt 3,14); Juan evangelista en cambio, hace resaltar el testimonio de fe del profeta que acoge la absoluta novedad de la revelación de Cristo. Por 2 veces en 6 versículos, dentro del breve evangelio de hoy, encontramos en la boca de Juan Bautista la afirmación: yo no lo conocía (Jn 1,31 e 33).

Pero es imposible que Juan no supiera nada de su parentesco con Jesús, vista la relación entre sus madres encuadradas en otro evangelio (Lc 1,39-45). Se queda para nosotros la pregunta: ¿nos podemos sentir enviados en nombre de alguien que no se conoce? Hay una incongruencia significativa entre lo que Juan afirma aquí y lo que hemos oído de su predicación a la multitud. ¿Cuál es entonces el sentido de la expresión repetida por dos veces? Recuerdo que años atrás, en misión frente a una pobre periferia de Lima (Perú), estaba ultimando la misa vespertina en una pequeña capilla. Como se sabe, en el momento de la elevación del cuerpo eucarístico antes de la comunión, el sacerdote pronuncia las mismas palabras de Juan precedidas de la expresión “dichosos los invitados a la cena del Señor”. Llegados a aquél momento, tuve una breve distracción porque tenía delante de mí a un niño que me fijaba continuamente con los ojos bien abiertos y luego parecía que con su mirada buscara algo en el altar. Al terminar esa celebración la mamá de aquél niño me pidió que vaya a bendecir su pobre casa. Mientras estábamos caminando juntos, su niño me dijo: padre, ¿puedo preguntarle algo? –“seguramente” – le respondí. Y él replicó: casi al final de la misa dice siempre “¡he aquí el cordero de Dios!”, y también esta tarde lo ha dicho. Pero ¿dónde está ese cordero de Dios? ¿dónde lo pone? Yo nunca lo veo…

A parte la inmediata hilaridad suscitada, las palabras de aquél niño me hicieron pensar cuánto es escurridizo, también para un sacerdote, el misterio de Dios. Nosotros, como Juan, anunciamos a alguien del cual hemos hecho experiencia, pero ¡ay! en “patentarlo” como si fuera algo que nos garantiza el conocimiento de Dios. El “no conocimiento” es indispensable en la fe autentica. Esta última de hecho se radica en poquísimas certezas y se nutre de muchas preguntas. Por esto Juan es un auténtico testimonio de fe. Fiel a su vocación/misión, lo vemos dejarse cambiar en la realidad más difícil de convertir en nuestra vida: la imagen que tenemos de Dios. Sobre la orilla del Jordán su mirada penetra profundamente la persona de Jesús justamente porque le deja hacer lo que no le hubiera permitido hacer nunca (cfr. Mt 3,15). Ahora Juan ve mejor quién es aquél hombre anunciado como el que llega detrás de mí viene un hombre que ya está delante de mí  (Jn 1,30). Así también nosotros. Si queremos verdaderamente conocer al Señor y no quedarnos con la cabeza y el corazón detenidos en el catecismo recibido cuando éramos niños, si no queremos vivir de esperas equivocadas, debemos dejarle hacer algo que no quisiéramos dejarle hacer jamás: tomar sobre sí nuestros pecados.

La traducción más adecuada del verbo αἴρω en el v. 29 es de hecho: este es el Cordero de Dios el que carga con el pecado del mundo. Juan evangelista ve en la indicación del Bautista el cumplimiento de su fe/misión en el imprevisto descubrimiento de la verdadera identidad del Mesías. Este viene dentro de la historia humana para hacerse cargo de su pecado y de cada fracaso, no para eliminar el mal tirando una parte de la humanidad, sino salvándola absorbiéndola en sí mismo. Un poco más adelante en el evangelio de Juan leemos a Jesús anunciar a Nicodemo: Así amó Dios al mundo dando su Hijo Único… Dios no envió al Hijo al mundo para condenar al mundo, sino para que se salve el mundo gracias a Él (Jn 3,16-17). No hay entonces un camino más seguro, para conocer al Señor, que la de dejar de intentar remover solos el mal de la propia vida o de esconderla a sí mismos la propia miseria. No existe psicólogo, consejero, sociólogo u otro gurú de turno que pueda resolver el problema. Solo Dios puede liberarnos del pecado. Como de costumbre, las palabras tiernas de Papa Francisco es la mejor invitación a confiar del Señor mientras se imagina la evasión de un fiel que no se fía de Dios porque no cree que pueda perdonar todos sus pecados: “¿eres un grande pecador? ¡Mejor! Porque Él ha venido justamente por nosotros pecadores, y cuanto más gran pecador eres tú, más el Señor está cerca de ti, porque ha venido por ti, el más grande pecador, por mí, el más grande pecador, por todos nosotros… Tomemos la costumbre de repetir esta oración, siempre: “Señor, si Tú quieres, puedes. Si quieres, puedes”, con la confianza que el Señor está cerca de nosotros y su compasión tomará sobre sí nuestros problemas, nuestros pecados, nuestras enfermedades interiores, ¡todo!