SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DI N.S. GESÙ CRISTO
anno A (2020)
At 1,1-11; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
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Nella solennità dell’Ascensione, anche se nella 1a lettura leggiamo che, dopo aver parlato ai discepoli, Gesù fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi (At 1,9), noi non celebriamo la partenza di Gesù, bensì la sua diversa presenza nel mondo. L’epilogo del vangelo di Matteo è la dichiarazione solenne di questa verità: ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Dunque non esiste giorno in cui Egli sia assente. Ma che significa “una sua presenza diversa” nel mondo? In genere siamo abituati a parlare di presenza o di assenza di una persona in termini corporali. Cioè, diciamo che il tale è presente o assente a seconda che cada o meno sotto il raggio della mia capacità di vederne il corpo. Ma le cose, dopo la morte e resurrezione di Cristo, stanno proprio così?
Già nei racconti degli incontri con il Risorto notiamo che la sua presenza non è più come quella di prima. Gesù approccia ai suoi discepoli anche fisicamente, ma non c’è un immediato riconoscimento della sua persona; segno che l’evento della resurrezione esprime qualcosa di più che non la sola continuità storica con la persona del Signore. La resurrezione ha fatto “esplodere”, all’interno della storia, una nuova capacità di essere presente nelle relazioni umane. Pensate ad es. quando troviamo Gesù risorto in alcuni brani che passeggia e mangia ancora con i suoi amici, o come quando lo troviamo in carne e ossa capace di fare qualcosa che noi non possiamo fare: entrare a porte chiuse in una casa (Gv 20,19), oppure sparire improvvisamente da un banchetto amichevole (Lc 24,31).
La 1a lettura ci ricorda che anche gli apostoli si aspettavano un clamoroso ritorno del Signore e in un tempo imminente, per cui, mentre si congedavano da Lui, cercarono di carpirgli il momento esatto della sua venuta (At 1,6). Gesù smentisce questa attesa con parole che non lasciano adito ad alcuna pretesa di conoscenza di date, scadenze e decisioni storiche che Dio ha riservato alla sua decisione. No, non è di queste cose che si devono occupare i discepoli. Eppure nella storia della chiesa, come anche oggi, ci sono state e ci sono ancora frange ecclesiali, talvolta piuttosto numerose, che continuano ad agitarsi e ad agitare il popolo di Dio sul tema del suo ritorno. Basterebbe la lettura del solo testo degli Atti per recuperare un po’ di igiene mentale e rendersi conto che Gesù chiede solo ai suoi, mentre ascende al cielo, di assumere la sua missione: compito del discepolo è lasciarsi coinvolgere in una nuova tappa della storia della salvezza, dove il protagonista è lo Spirito Santo con la sua chiesa. Dio nella sua misteriosa bontà, vuol contare su di noi per salvare gli uomini.
Tiriamo le somme di queste considerazioni: la festa dell’Ascensione al cielo di Cristo, non è festeggiare il Signore in un altro posto che chiamiamo “cielo”. Il cielo nelle Scritture è simbolo della comunione con Dio. Celebriamo piuttosto la festa dell’unità tra cielo e terra, un’unità indistruttibile dopo che Dio, fattosi uomo, ha operato la salvezza dell’umanità attraversando/superando la nostra condizione mortale. Altra conclusione. Al momento di affidare la propria missione agli apostoli Gesù dice: mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,28). Questa espressione non sia fraintesa e non illuda il discepolo di oggi. Non significa che Gesù, costituito Signore del cielo e della terra, risolve i problemi umani con la bacchetta magica, né dona una bacchetta magica a coloro che devono proseguire la sua missione. Il potere di Gesù è uno solo: quello di amare fino alla fine per salvare l’uomo. Noi crediamo ancora poco a questo potere illimitato, il potere dell’amore. Ma è l’unico potere che Dio ha. Dunque la sua chiesa scenda per le strade impervie del mondo per agire e annunciare il vangelo con il potere di Cristo. Si faccia carico del peso storico che grava sugli uomini, sia sempre presente su ogni frontiera di dolore, laddove l’uomo ha bisogno di ritrovare speranza. Se la chiesa non è impegnata nella sua missione, vuol dire che sta buttando via la sua vocazione. Se il discepolo ha risposto alla chiamata di Cristo, è una persona lanciata verso i fratelli che fa leva sulla promessa di Gesù: voi avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni…(At 1,8).
Per questo Papa Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato, ci sta ricordando ripetutamente che la chiesa di Cristo è geneticamente missionaria. La chiesa che ha posto come centro sé stessa invece di Gesù, è invece una chiesa di-missionaria e autosufficiente, cerca qualcos’altro, come osserva mirabilmente questo passaggio del suo messaggio alle PPOOM uscito ieri: Gesù, prima di andar via, ha detto ai suoi che avrebbe mandato loro lo Spirito. E così ha consegnato allo Spirito anche l’opera apostolica della Chiesa, per tutta la storia, fino al suo ritorno. Il mistero dell’Ascensione, insieme all’effusione dello Spirito nella Pentecoste, imprime e trasmette per sempre alla missione della Chiesa il suo tratto genetico più intimo: quello di essere opera dello Spirito Santo e non conseguenza delle nostre riflessioni e intenzioni. È questo il tratto che può rendere feconda la missione e preservarla da ogni presunta autosufficienza, dalla tentazione di prendere in ostaggio la carne di Cristo – asceso al Cielo – per i propri progetti clericali di potere. Quando nella missione della Chiesa non si coglie e riconosce l’opera attuale ed efficace dello Spirito Santo, vuol dire che perfino le parole della missione – anche le più esatte, anche le più pensate – sono diventate “discorsi di umana sapienza”, usati per dar gloria a sé stessi o rimuovere e mascherare i propri deserti interiori (Papa Francesco, Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, Roma, presso S.Giovanni in Laterano, durante la solennità dell’Ascensione, 21.05.2020)
Papa Giovanni XXIII disse un giorno al suo segretario, poco prima di convocare il Concilio Vaticano II, che aveva compreso una cosa importante: la sua preghiera doveva cambiare. Ammise infatti che prima chiedeva sempre a Dio il suo Spirito perché facesse questo o quello e perché lo aiutasse nelle decisioni del suo delicato incarico. Ora invece pregava lo Spirito chiedendogli cosa Lui voleva fare, perché aveva capito di essere solo un suo aiutante. Pochi giorni dopo, ci fu l’annuncio di un nuovo Concilio Ecumenico della chiesa cattolica. Gesù è asceso al cielo, il suo Spirito scenderà a Pentecoste, affinché anche noi possiamo scendere in mezzo agli uomini per continuare la sua missione. Scendiamo dunque anche noi, perché solo così si ascende al cielo.
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EL ASCIENDE Y NOSOTROS DESCENDEMOS
En la solemnidad de la Ascensión, aunque si en la 1ra. lectura leemos, que, después de hablar a los discípulos, Jesús se elevó alto ante sus ojos y una nube lo sustrajo de sus miradas (Hch 1,9), nosotros no celebramos la partida de Jesús, sino su diferente presencia en el mundo. El epílogo del evangelio de Mateo es la declaración solemne de esta verdad: yo estoy con ustedes todos los días, hasta el fin del mundo (Mt 28,20). Por lo tanto, no hay día en que Él esté ausente. Pero ¿qué significa “una presencia diferente” en el mundo? Generalmente estamos acostumbrados a hablar sobre la presencia o ausencia de una persona en términos corporales. Es decir, digamos que el tal está presente o ausente dependiendo si cae o no bajo el radio de mi capacidad para ver su cuerpo. Pero ¿son, así las cosas, después de la muerte y resurrección de Cristo?
Ya en los relatos de los encuentros con el Resucitado notamos que su presencia ya no es como la de antes. Jesús se acerca a sus discípulos también físicamente, pero no hay un reconocimiento inmediato de su persona; una señal de que el acontecimiento de la resurrección expresa algo más que una sola continuidad histórica con la persona del Señor. La resurrección ha hecho “explotar”, dentro de la historia, una nueva capacidad de estar presente en las relaciones humanas. Piensen, por ejemplo. cuando encontramos a Jesús resucitado en algunos relatos que todavía camina y come con sus amigos, o como cuando lo encontramos en carne y huesos capaz de hacer algo que nosotros no podemos hacer: entrar a puerta cerrada en una casa (Jn 20,19), o desaparecer repentinamente de un banquete amistoso (Lc 24.31).
La primera lectura nos recuerda que incluso los apóstoles esperaban un regreso clamoroso del Señor y en un tiempo inminente, por lo cual, al despedirse de Él, trataron de entender el momento exacto de su venida (Hch 1,6). Jesús desmiente esta expectativa con palabras que no dan lugar a ninguna pretensión de conocimiento de fechas, plazos y decisiones históricas que Dios ha reservado para su decisión. No, no son de estas cosas en las que se deben ocupar los discípulos. Sin embargo, en la historia de la iglesia, así como hoy, ha habido y siguen existiendo franjas eclesiásticas, a veces bastante numerosas, que siguen agitándose y agitan al pueblo de Dios sobre el tema de su regreso. Bastaría con leer solo el texto de los Hechos para recuperar un poco de higiene mental y darse cuenta de que Jesús pide a los suyos, mientras asciende al cielo, solo de asumir su misión: la tarea del discípulo es involucrarse en una nueva etapa de la historia de la salvación, donde el protagonista es el Espíritu Santo con su iglesia. Dios en su misteriosa bondad, quiere contar con nosotros para salvar a los hombres.
Saquemos cuentas de estas consideraciones: la fiesta de la Ascensión al cielo de Cristo no es celebrar al Señor en otro lugar que llamamos “cielo”. El cielo en las Escrituras es símbolo de comunión con Dios. Más bien, celebramos la fiesta de la unidad entre el cielo y la tierra, una unidad indestructible después de que Dios, que se hizo hombre, ha obrado la salvación de la humanidad cruzando/superando nuestra condición mortal. Otra conclusión. Al momento de confiar su misión a los apóstoles, Jesús dijo: Se me ha dado todo el poder en el cielo y en la tierra (Mt 28, 28). Esta expresión no se malinterprete y no ilusione al discípulo de hoy. Esto no significa que Jesús, constituido Señor del cielo y de la tierra, resuelva los problemas humanos con la varita mágica, ni dona una varita mágica a los que deben continuar su misión. El poder de Jesús es uno solo: el de amar hasta el final para salvar al hombre. Nosotros creemos todavía muy poco en este poder ilimitado, el poder del amor. Pero es el único poder que Dios tiene. Así que su iglesia descienda por las calles inaccesibles del mundo para actuar y proclamar el Evangelio con el poder de Cristo. Se haga cargo del peso histórico que recae sobre los hombres, esté siempre presente en cada frontera del dolor, allí donde el hombre necesita volver a encontrar esperanza. Si la iglesia no está comprometida en su misión, significa que está desechando su vocación. Si el discípulo ha respondido a la llamada de Cristo, es una persona lanzada hacia sus hermanos y hermanas que se apoya en la promesa de Jesús: ustedes tendrán fuerza del Espíritu Santo que descenderá sobre ustedes y serán mis testigos. (Hch 1,8).
Por esto el Papa Francisco, desde el comienzo de su pontificado, nos está recordando repetidamente que la Iglesia de Cristo es genéticamente misionera. La iglesia que se ha colocado como centro en lugar de Jesús, es en cambio una iglesia no-misionera y autosuficiente, busca otra cosa, como observa admirablemente este pasaje de su mensaje al OMPP publicado ayer: Jesús, antes de irse, dijo a los suyos que les mandaría el Espíritu, el Consolador. Y así entregó también al Espíritu la obra apostólica de la Iglesia, durante toda la historia, hasta su venida. El misterio de la Ascensión, junto con la efusión del Espíritu en Pentecostés, imprime y confiere para siempre a la misión de la Iglesia su rasgo genético más íntimo: el de ser obra del Espíritu Santo y no consecuencia de nuestras reflexiones e intenciones. Y este es el rasgo que puede hacer fecunda la misión y preservarla de cualquier presunta autosuficiencia, de la tentación de tomar como rehén la carne de Cristo —que asciende al Cielo— para los propios proyectos clericales de poder. Cuando, en la misión de la Iglesia, no se acoge ni se reconoce la obra real y eficaz del Espíritu Santo, quiere decir que, hasta las palabras de la misión —incluso las más exactas y las más reflexionadas— se han convertido en una especie de “discursos de sabiduría humana”, usados para auto glorificarse o para quitar y ocultar los propios desiertos interiores. (Papa Francisco, Mensaje a las Obras Misioneras Pontificias, Roma, cerca de San Juan en Letrán, durante la solemnidad de la Ascensión, 21.05.2020)
El Papa Juan XXIII dijo un día a su secretario, justo antes de convocar el Concilio Vaticano II, que había comprendido algo importante: su oración tenía que cambiar. Admitió de hecho que antes siempre le pedía a Dios que su Espíritu hiciera esto o aquello y que lo ayudara en las decisiones de su delicado encargo. Ahora, en cambio, oraba al Espíritu preguntándole qué es lo que Él quería hacer, porque había entendido que sólo era su ayudante. Unos días más tarde, se hizo el anuncio de un nuevo Concilio Ecuménico de la Iglesia Católica. Jesús ha ascendido al cielo, su Espíritu descenderá en Pentecostés, para que nosotros también podamos descender para continuar su misión entre los hombres. Descendamos entonces también nosotros, porque solo así se asciende al cielo.