CREDERE È VINCERE

V DOMENICA DI PASQUA

anno A (2020)

At 6,1-7; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

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In quel enigmatico guazzabuglio che è il cuore umano c’è un’infinità di paure. La fede in Gesù è l’antidoto e il rimedio per ognuna di esse. La fede in Gesù è liberante. Il brano del vangelo di oggi comincia laddove Gesù ha appena terminato di annunciare la sua dipartita, dopo aver predetto il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e un generale fuggi-fuggi davanti allo scandalo della croce. Logico che davanti a questo parlare i discepoli fossero turbati: chi non lo sarebbe? Eppure il Signore invita a non lasciarsi trascinare dal turbamento e ad avere fede in Lui. Come se la fede, per essere veramente tale, dovesse necessariamente attraversare l’oscurità delle paure che ci abitano, come se dovesse sperimentare necessariamente tutta la propria debolezza (Gv 14,1). E, per aiutarci nella traversata, ecco la promessa: nella casa del Padre mio ci sono molti posti. Se no – vi avrei mai detto – “vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi (Gv 14,2-3).

GESU VIA VERITA E VITA
Io sono la via, la verità e la vita, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, maggio 2020

Credo che la paura della morte e di essere dimenticati nella morte, sia la madre di tutte le paure. Questo ci deve far riflettere ancora molto su quello che molti hanno sofferto in ospedale, prima di morire, con la tempesta Covid-19. Don Oreste Benzi la definiva così: la paura di non essere nel cuore di nessuno, un altro modo di dire la paura di essere dimenticati. In genere, quando celebro un funerale, se non ci sono richieste particolari dei familiari del defunto, prego e faccio pregare con il vangelo di questa domenica. Sapere che Gesù è Dio diventato uomo come noi. Sapere che è stato mortale come noi e poi è risorto. Sapere che è vivo per sempre, che la morte non ha più potere su di Lui (Ap 1,17-18). Sapere che è andato a prepararci un posto, che ora è in grado di raggiungere ogni uomo dentro quell’esperienza di solitudine assoluta che è la morte: tutto questo è sommamente consolante e incoraggiante. Tanto tempo fa mi capitò tra le mani questo piccolo racconto: il più grande si chiamava  Frank e aveva vent’anni. Il più giovane si chiamava Ted e ne aveva diciotto. Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari. Insieme decisero di arruolarsi nell’esercito. Partendo, promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l’uno dell’altro. Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione. Quel battaglione fu mandato in guerra. Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto. Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall’aviazione. Poi, una sera, giunse l’ordine di avanzare in territorio nemico. I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale. Al mattino, il battaglione si radunò in un villaggio. Ma Ted non c’era. Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti. Trovò il suo nome nell’elenco dei dispersi. Si presentò al comandante. “Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico”, disse. “E’ troppo pericoloso”, rispose il comandante – “e poi ho già perso il tuo amico. Perderei anche te. Là fuori stanno sparando”. Ma Frank partì ugualmente. Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente. Se lo caricò sulle spalle. Una scheggia lo colpì. Si trascinò ugualmente fino al campo con il suo amico addosso. “Frank! Valeva la pena morire per salvare un morto?”, gli gridò il comandante – “Sì capitano!”, – sussurrò, – “perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto…”

Continuo a pensare dal principio della mia conversione che conoscere e far conoscere Gesù sia la cosa più importante della vita. E mi meraviglio di come ancora oggi l’essere umano possa permettersi di saltare la questione. Le cose che ci dice, le promesse che ci fa, sono realtà così grandi e belle che non so proprio come si possano evitare o smentire. Blaise Pascal direbbe che non ci si può sottrarre alla scommessa. Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6): Gesù è il cammino per incontrare la verità e la vita cui il nostro cuore anela. Conoscere Gesù è conoscere quel Dio che da sempre l’uomo vorrebbe vedere e incontrare: Signore, mostraci il Padre e ci basta, gli dice Filippo (Gv 14,8). E Gesù gli risponde: da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9). Mentre meditavo questo brano pensavo a come si corra anche oggi il rischio di vivere a due passi dal Signore, magari anche deambulando nella sua chiesa, e non conoscerlo. Si rischia di non coltivare una relazione sincera con Lui. Si rischia di non pensare più a quel posto che sta preparando per amor mio, si rischia di vivere in un’angoscia senza fine perché in realtà o ci si rapporta con un fantasma che rafforza per lo più le nostre paure, oppure si maschera da cristiano il proprio ateismo pratico. Da quando sono diventato sacerdote, vi confesso che non pensavo di incontrare così tante persone nella chiesa andar dietro a un’immagine di Dio che certo non libera interiormente, né aiuta a guardare la realtà con fiducia e speranza. E in questo modo non ci si accorge di dare ragione alla menzogna del serpente antico che, sin dalle origini, volle far credere all’uomo che Dio non è un padre amorevole, ma un despota geloso del suo primato, tutto intento a dominarci (Gen 3,1ss.).

In questo primo ventennio del terzo millennio cristiano, gli sconvolgimenti epocali cui stiamo assistendo dopo il crollo di tutte le impalcature ideologiche che presumevano di reggere il mondo, sembrano mettere tutto in discussione, fino a propagare quello che Benedetto XVI ha chiamato culturalmente “una dittatura del relativismo”. Una cosa mi sembra certa nel non ancora definito cambiamento che percorre l’umanità, soprattutto oggi attraverso la pandemia globale che ci affligge: la paura cresce e minaccia di paralizzare gli uomini nel proprio egoismo. Certamente, tutti abbiamo tanti motivi per avere paura davanti alla pandemia e agli avvenimenti che si stanno susseguendo nel mondo. Ma la nostra speranza nasce dalla convinzione che l’amicizia con Gesù fa entrare nella vita vera, quella eterna. Il male del mondo, Lui lo ha già vinto: voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia. Io ho vinto il mondo! (Gv 16,33). La fede in Gesù Cristo, malgrado tutto, resta la più ragionevole strada per guardare al futuro con speranza. Dare fiducia a Gesù ogni giorno, è la sfida più affascinante della vita: pur nella fatica del cammino, si sperimenta come è bello attraversare le proprie paure con Lui che ci spiega, poco a poco, il senso profondo della nostra esistenza, comunicandoci la sua forza. Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4)

 “La fede è un intreccio di luce e di tenebra: possiede abbastanza splendore per ammettere, abbastanza oscurità per rifiutare, abbastanza ragioni per obiettare, abbastanza luce per sopportare il buio che c’è in essa, abbastanza speranza per contrastare la disperazione, abbastanza amore per tollerare la sua solitudine e le sue mortificazioni. Se non avete che luce, vi limitate all’evidenza; se non avete che oscurità, siete immersi nell’ignoto. Solo la fede fa avanzare”. (Louis Evely)

 

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CREER ES GANAR

 

En esa enigmática mezcla que es el corazón humano, hay un número infinito de temores. La fe en Jesús es el antídoto y remedio para cada uno de ellos. La fe en Jesús es liberadora. El pasaje del evangelio de hoy comienza donde Jesús acaba de terminar de anunciar su partida, después de haber predicho la traición de Judas, la negación de Pedro y un general estampido frente al escándalo de la cruz. Es lógico que frente a este discurso los discípulos estuvieran turbados: ¿quién no lo estaría? Sin embargo, el Señor nos invita a no dejarnos arrastrar por la turbación y a tener fe en él. Como si la fe, para ser verdaderamente tal, necesariamente tuviera que pasar por la oscuridad de los miedos que nos habitan, como si tuviera que experimentar necesariamente toda su propia debilidad (Jn 14,1). Y, para ayudarnos en la travesía, aquí está la promesa: en la casa de mi Padre hay muchos lugares. Sino – ¿les hubiera dicho – “voy a prepararles un lugar”? Cuando haya ido y les haya preparado un lugar, volveré y los llevaré conmigo, porque donde estoy tú también están ustedes (Jn 14,2-3).

Creo que el miedo de la muerte y de ser olvidados en la muerte es la madre de todos los miedos. Esto debe hacernos pensar mucho más en lo que muchos sufrieron en el hospital antes de morir, con la tormenta Covid-19. Don Oreste Benzi la definía de esta manera: el miedo de no estar en el corazón de nadie, otra forma de decir el miedo a ser olvidados. Por lo general, cuando celebro un funeral, si no hay solicitudes especiales de los miembros de la familia del difunto, rezo y oro con el Evangelio de este domingo. Saber que Jesús es Dios convertido en un hombre como nosotros. Saber que era tan mortal como nosotros y luego ha resucitado. Saber que está vivo para siempre, que la muerte ya no tiene poder sobre Él (Ap 1,17-18). Saber que ha ido a prepararnos un lugar, que ahora es capaz de llegar a cada hombre dentro de esa experiencia de absoluta soledad que es la muerte: todo esto es sumamente reconfortante y alentador. Hace mucho tiempo, me llegó a mis manos esta pequeña historia: el mayor era Frank y tenía veinte años. El más joven se llamaba Ted y tenía dieciocho años. Siempre estaban juntos, muy amigos desde la escuela primaria. Juntos decidieron unirse al ejército. Cuando se fueron, se prometieron a sí mismos y a sus padres que se cuidarían el uno al otro. Tuvieron suerte y terminaron en el mismo batallón. Ese batallón fue enviado a la guerra. Una terrible guerra en las ardientes arenas del desierto. Durante un tiempo Frank y Ted permanecieron en campamentos protegidos por la aviación. Luego, una noche, llegó la orden de avanzar hacia el territorio enemigo. Los soldados avanzaron toda la noche, bajo la amenaza del fuego infernal. Por la mañana, el batallón se reunió en un pueblo. Pero Ted no estaba allí. Frank buscó por todas partes, entre los heridos, entre los muertos. Encontró su nombre en la lista de los desaparecidos. Se presentó al comandante. “Pido permiso para ir a recoger a mi amigo”, dijo. “Es demasiado peligroso”, respondió el comandante – “y luego ya he perdido a tu amigo. Perdería también a ti. Están disparando ahí fuera.” Pero Frank se fue de todos modos. Después de unas horas, encontró a Ted mortalmente herido. Lo cargó sobre sus hombros. Una astilla lo golpeó. Se arrastró igualmente hasta el campamento con su amigo encima. “¡Frank! ¿Valió la pena morir por salvar a un hombre muerto?”, le gritó el comandante – “¡Sí, capitán!”, susurró, “porque antes de morir, Ted me dijo: Frank, sabía que vendrías…”

Sigo pensando desde el principio de mi conversión que conocer y dar a conocer a Jesús es lo más importante en la vida. Y me maravilla cómo incluso hoy en día el ser humano puede darse el lujo de saltarse el asunto. Las cosas que nos dice, las promesas que nos hace son realidades tan grandes y hermosas que no sé cómo se pueden evitar o refutar. Blaise Pascal diría que no puedes escapar de la apuesta. Yo soy el camino, la verdad y la vida. Nadie viene al Padre sino por mí (Jn 14,6): Jesús es el camino para encontrar la verdad y la vida a la que anhelan nuestros corazones. Conocer a Jesús es conocer a aquel Dios que desde siempre el hombre quisiera ver y encontrar: Señor, muéstranos al Padre y nos basta, le dice Felipe (Jn 14,8). Y Jesús le responde: ¿Llevo mucho tiempo con ustedes y no me conoces Felipe? Quien me ha visto ve al Padre (Jn 14,9). Al meditar este pasaje, pensé en cómo corremos aún hoy el riesgo de vivir a pocos pasos del Señor, tal vez incluso deambulando en su iglesia, y no conocerlo. Se arriesga de no cultivar una relación sincera con él. Se arriesga a no pensar más en ese lugar que está preparando por amor mío, Se arriesga de vivir en una angustia sin fin porque en realidad o estás tratando con un fantasma que en su mayoría fortalece nuestros miedos, o se hace pasar por cristiano el propio ateísmo práctico. Desde que me convertí en sacerdote, confieso que no pensé que conocería a tanta gente en la iglesia que vaya detrás de una imagen de Dios que ciertamente no libera interiormente, ni ayuda a mirar la realidad con confianza y esperanza. Y de esta manera no nos damos cuenta de dar razón a la mentira de la serpiente antigua que, desde el principio, quería hacer creer al hombre que Dios no es un padre amoroso, sino un déspota celoso de su primacía, todo decidido a dominarnos (Gén 3,1ss.).

En estos primeros veinte años del tercer milenio cristiano, las perturbaciones de época que estamos presenciando tras el colapso de todos los andamios ideológicos que presumían de sostener al mundo, parecen poner todo en discusión, hasta el punto de propagar lo que Benedicto XVI ha llamado culturalmente “una dictadura del relativismo”. Una cosa me parece segura en el todavía no definido cambio que atraviesa la humanidad, especialmente hoy a través de la pandemia global que nos aflige: el miedo crece y amenaza con paralizar a los hombres en su propio egoísmo. Por supuesto, todos tenemos muchas razones para tener miedo frente a la pandemia y los acontecimientos que están teniendo lugar en el mundo. Pero nuestra esperanza nace de la convicción de que la amistad con Jesús hace entrar a la vida verdadera, a la vida eterna. El mal del mundo, Él ya lo ha vencido: tendrán tribulaciones en el mundo, pero tengan confianza. ¡Yo he vencido al mundo!  (Jn 16.33). La fe en Jesucristo, a pesar de todo, sigue siendo la manera más razonable de mirar al futuro con esperanza. Dar confianza a Jesús todos los días es el desafío más fascinante de la vida: a pesar de la fatiga del camino, uno experimenta lo hermoso que es cruzar los temores con Él que nos explica gradualmente el significado profundo de nuestra existencia, comunicándonos su fuerza.  Esta es la victoria que derrotó al mundo: nuestra fe (1Jn 5.4)

“La fe es una tela de luz y oscuridad: posee suficiente esplendor para admitir, suficiente oscuridad para negarse, suficiente razón para objetar, suficiente luz para soportar la oscuridad que hay en ella, suficiente esperanza para contrarrestar la desesperación, suficiente amor para tolerar su soledad y sus mortificaciones. Si no tienen solo luz, se limitan a la evidencia; si no tienen sino solo oscuridad, están inmersos en lo desconocido. Sólo la fe hace avanzar.” (Louis Evely)