IV DOMENICA DEL T.O.
ANNO C (2019)
Ger 1,4-5.17-19; 1Cor 13,4-13; Lc 4,21-30
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
_____________________________
Il brano che leggiamo oggi nella liturgia della parola è la seconda parte del vangelo di domenica scorsa. Inizia precisamente dal versetto con cui si concludeva quello. Dunque si tratta del centro del testo. Guardiamo le reazioni dei concittadini di Gesù a queste sue semplici ma sorprendenti parole (Lc 4,21). Queste reazioni, come già anticipato nell’ultimo commento, sono inizialmente unanimi nella meraviglia e addirittura nella testimonianza che si accorda a Gesù per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca (Lc 4,22a). Insomma, i nazareni fin qui sembrano contenti di quanto stanno udendo. C’è però una domanda apparentemente innocua che si rivolgono l’un l’altro: non è costui il figlio di Giuseppe? (Lc 4,22b) La meraviglia c’è e la domanda è il suo volano. Non dimentichiamoci poi che siamo dentro la sinagoga.

Gesù riprende la parola rivolgendosi a loro. Da quel che dice, pare conoscere molto bene ciò che si stanno aspettando da lui: Egli è uno di loro, dunque se a Cafarnao ha predicato e compiuto prodigi tali da diffondere per tutta la Galilea la sua fama, quanto più allora farà lo stesso nella sua terra natale! (Lc 4,23) Suvvia, ammettiamolo. Se quel oggi di cui parla il Signore si compie ogni qualvolta gli permettiamo di attualizzare il vangelo, allora dobbiamo chiederci dove, anzi in chi possiamo e dobbiamo riconoscere compiersi oggi la Parola che abbiamo ascoltato. Perché Gesù enuncia una legge dello Spirito verificabilissima: nessun profeta è ben accetto in patria (Lc 4,24). Il che vuol dire che, normalmente, nessun vero profeta è accolto bene da chi gli vive accanto, nessun profeta è compreso dai vicini, da quelli di casa, nessun profeta è riconosciuto tale da chi dice di “conoscerlo” (ovvero da chi è convinto della sua conoscenza per qualche trascorso o anche solo per un legame familiare).
Per l’incomprensione che nella Curia fiorentina ebbero di lui, don Lorenzo Milani fu allontanato nella piccolissima frazione di Barbiana. Tutta Assisi, unita a Pietro di Bernardone, si rivoltò contro Francesco nei primordi della sua conversione. Padre Pio fu sospeso “a divinis” nel suo ministero ed era ritenuto dalla chiesa, tra le tante cose imputategli, un impostore che suggestionava i fedeli. La stessa sorte cadde su Natuzza Evolo, di cui, da qualche mese, è stato avviato un processo diocesano di canonizzazione: a causa delle sue manifestazioni mistiche screditate da alcuni religiosi “esperti”, fu addirittura internata in un manicomio. Papa Francesco è rifiutato oggi da una buona parte di cattolici credenti, per non dire attaccato quotidianamente. Penso possa bastare. E’ il destino dei profeti.

Soffermiamoci su quanto il Signore afferma che scatena l’ira di tutti nella sinagoga (Lc 4,28): lì possiamo rintracciare il motivo di questa reazione generale. Gesù fa riferimento a due episodi biblici al tempo dei profeti Elia ed Eliseo. In entrambi i fatti, nelle situazioni di sofferenza evocate (carestia e lebbra), è sottolineato il soccorso di Dio giunto non a qualcuno del suo popolo, ma a due persone che non vi appartengono. Insomma, due pagani: una vedova di Sarepta di Sidone e il generale assiro Naaman. Si tratta di 2 interventi di Dio riportati dalle Sacre Scritture, mica dagli Annales romani o da altri resoconti storici di parte. Come mai questa reazione così violenta? Abbozzo una risposta, sperando di non sollevare un polverone e ricorrendo come sempre anche all’attualità, ma cercando pure di evitare indebiti incroci.
Richiamando qualche motto politico oggi in voga, è come se i concittadini di Gesù reagissero in questo modo gridando: “prima i nazareni!” Oppure ancora: è come se un prete (ne ho conosciuti alcuni convinti) dicesse che il bene va fatto prima di tutto ai propri parrocchiani; poi, se ci sono tempo e risorse, ci si può dedicare agli altri che non sono della mia parrocchia. E, facendogli eco, è come quei fedeli laici che ogni tanto incontro i quali, scoprendo di avere davanti un prete che si reca per motivi di apostolato in America Latina, mi dicono sempre: “don Giacomo ma dove va ogni anno? Guardi che lei ancora non l’ha capito ma è qui la missione, è qui che c’è più bisogno del vangelo, non è giusto che lei vada in quei luoghi, sarebbe meglio spendersi qui…” Aggiungo: nella Bibbia c’è un libro molto curioso. Un profeta di nome Giona che viene inviato per predicare a Ninive, la grande città pagana. Giona rifiuta di andarci, ma poi, per delle vicende su cui sorvolo, accetta la sua missione e i Niniviti alla sua predicazione si convertono. La reazione di Giona è sorprendente: è deluso da Dio. Così, solo alla fine del libro, veniamo a sapere perché inizialmente aveva rifiutato e perché era scontento della conversione di quella città. Aveva parecchi problemi di relazione con il Dio che non fa preferenze di persone (cfr. At 10,34) perché guarda ogni uomo con amore e vuole raggiungere anche i lontani. Proprio come i nazareni e alcuni cattolici di oggi. Solo che, se si coccolano troppo questi problemi e non si riconoscono, si rischia di diventare omicidi a propria insaputa (Lc 4,28-29).
**********************
ECHEMOSLO AFUERA Y LANCEMOSLO ABAJO
El texto que leemos hoy en la liturgia de la palabra es la segunda parte del evangelio del domingo pasado. Comienza precisamente del versículo con el cual se concluía aquél. Entonces se trata del centro del texto. Miremos la reacción de los paisanos de Jesús a estas simples pero sorprendentes palabras (Lc 4,21). Estas reacciones, como ya anticipé en el último comentario, son inicialmente unánimes en la maravilla e incluso en el testimonio concuerdan con Jesús por las palabras de gracia que salían de su boca (Lc 4,22a). Es decir, los nazarenos hasta aquí parecen contentos de lo que están escuchando. Pero hay una pregunta aparentemente inofensiva que se transmiten los unos con los otros: ¿no es este el hijo de José? (Lc 4,22b) La maravilla está y la pregunta es su motor. No nos olvidemos pues que estamos dentro de la sinagoga.
Jesús retoma la palabra dirigiéndose a ellos. De lo que dice, parece conocer muy bien lo que se están esperando de él: Él es uno de ellos, entonces si en Cafarnaum ha predicado y cumplido prodigios al punto de difundir por toda la Galilea su fama, ¡cuánto más entonces hará lo mismo en su tierra natal! (Lc 4,23) Vamos, admitámoslo. Si aquél hoy del cual habla el Señor se cumple cada vez que le permitimos actualizar el evangelio, entonces debemos preguntarnos dónde, más bien en quién podemos y debemos reconocer que se cumple hoy la Palabra que hemos escuchado. Porque Jesús establece una ley del Espíritu verificable: ningún profeta es bien acogido en su patria (Lc 4,24). Lo que quiere decir, normalmente, ningún verdadero profeta es acogido bien por quienes viven cerca, ningún profeta es comprendido por los vecinos, de aquella casa, ningún profeta es reconocido tal de quien dice “conocerlo” (es decir de quien está convencido de su conocimiento por algún pasado o también solo por un vínculo familiar).
Por la incomprensión que en la Curia florentina hubieron de él, p. Lorenzo Milani fue alejado en la pequeñísima fracción de Barbiana. Toda Asís, unida a Pedro de Bernardone, se abalanzó contra Francisco en los inicios de su conversión. Padre Pio fue suspendido “a divinis” en su ministerio y era retenido por la iglesia, entre las tantas cosas imputadas a él, un impostor que sugestionaba a los fieles. La misma suerte cayó sobre Natuzza Evolo, de la cual, desde hace algunos meses, ha sido iniciado un proceso diocesano de canonización: a causa de sus manifestaciones místicas desacreditadas por algunos religiosos “expertos”, fue además internada en un manicomio. Papa Francisco es rechazado hoy de una buena parte de católicos creyentes, por no decir atacado cotidianamente. Pienso pueda bastar. Es el destino de los profetas.
Detengámonos sobre todo lo que el Señor afirma que desencadena la ira de todos en la sinagoga (Lc 4,28): allí podemos rastrear el motivo de esta reacción general. Jesús hace referencia a dos episodios bíblicos del tiempo de los profetas Elías y Eliseo. En los dos hechos, en las situaciones de sufrimiento evocados (carestía y lepra), es subrayada la ayuda de Dios alcanzado no a alguien del pueblo de Dios, sino a dos personas que no pertenecen a ella. Quiero decir, dos paganos: una viuda de Sarepta de Sidón y el general asirio Naamán. Se trata de 2 intervenciones de Dios notificadas por las Sagradas Escrituras, no de los Anuales romanos o de otros informes históricos de parte. ¿Cómo así esta reacción tan violenta? Esbozo una respuesta, esperando no levantar una polvareda y recurriendo como siempre también a la actualidad, pero intentando además evitar indebidos cruces.
Recordando algún lema político hoy de moda, es como si los compatriotas de Jesús reaccionaran gritando en este modo: “¡antes los nazarenos!” O también aún: es como si un sacerdote (he conocido a algunos convencidos) dijera que el bien va hecho antes de todo a los propios parroquianos; luego, si hay tiempo y recursos, se puede dedicar a los demás que no son de mi parroquia. Y, haciéndole eco, es como aquellos fieles laicos que de vez en cuando encuentro los cuales, descubriendo de tener delante a un sacerdote que va por motivos de apostolado en América Latina, me dicen siempre: “p. Giacomo ¿pero dónde va cada año? Mire que usted todavía no lo ha entendido pero es aquí la misión, es aquí que hay necesidad del evangelio, no es justo que usted vaya en aquellos lugares, sería mejor gastarse aquí…” Agrego: en la Biblia hay un libro muy curioso. Un profeta de nombre Jonás que viene enviado para predicar en Nínive, la grande ciudad pagana. Jonás rechaza ir, pero luego, por situaciones de las cuales sobrevuelo, acepta su misión y los Ninivitas se convierten con su predicación. La reacción de Jonás es sorprendente: está desilusionado por Dios. Así, solo al final del libro, venimos a saber por qué inicialmente había rechazado y por qué estaba descontento de la conversión de aquella ciudad. Tenía muchos problemas de relación con el Dios que no hace preferencia de personas (cfr. At 10,34) porque mira a cada hombre con amor y quiere alcanzar también a los lejanos. Justamente como los nazarenos y algunos católicos de hoy. Solo que, si se engríen demasiado estos problemas y no se reconocen, se arriesga de volverse homicidas sin saber (Lc 4,28-29).