IL PASTORE INSEGNA A VIVERE

XVI DOMENICA DEL T.O.

anno B (2021)

Ger 23,1-6; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

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Chi sono i pastori identificati da Geremia nella 1a lettura come quelli che disperdono, fanno perire, scacciano le pecore del Signore? (Ger 23,1-2) Sono coloro che prima di tutto, come afferma il profeta, non se ne preoccupano. Cioè non hanno a cuore la loro vita perché qualcos’altro gli sta più a cuore. E se c’è qualcos’altro che gli sta più a cuore, vuol dire che la loro vita sta perdendo quella capacità di attrarre a Dio, perché non stanno seguendo Dio come loro pastore. Infatti, l’unico pastore di tutti è il Signore stesso. Se i chiamati ad essere pastori nel popolo di Dio non coltivano la loro relazione con Lui per esserne guidati, prima o poi questo lo si toccherà con mano nella relazione che hanno con le pecore. Invece di portare queste alla fonte della loro vita, cioè al Signore, invece di unirle suscitando sempre maggior fiducia in Lui, le disperdono: ovvero, quando non giungono persino a scacciarle, ne abbassano le difese verso i pericoli che le attorniano. E così le pecore rischiano di perdere l’unico punto di riferimento indispensabile alla loro vita: Dio.

Generalmente questi fratelli trasmettono un’immagine falsa di Dio perché a loro volta la portano dentro di sé. Qui sta la radice del problema. Nelle relazioni sono sempre piuttosto calcolatori, guardinghi e permalosi, malgrado i sorrisi di circostanza. Anche se ortodossi nel parlare di cose di fede, nelle relazioni non se ne ha riscontro: non si avverte empatia, nel peggior dei casi c’è vera e propria anaffettività. Generano sgomento e angoscia nelle delicate situazioni umane da affrontare, invece di aiutare a scioglierle e umanizzarle. Si rifugiano facilmente nelle norme e nei riti. A messa un sacerdote sta leggendo il vangelo. Il chierichetto che gli sta accanto con la candela stramazza a terra. Il prete si ferma, lo guarda per qualche istante e poi prosegue la sua lettura. Siccome nel presbiterio nessuno soccorre il bimbo, lo fa un uomo presente nell’assemblea. Quell’uomo mi raccontò il fatto non indignato, ma arrabbiato. “Dimmi adesso: – mi chiese alla fine – quello è un prete?

Insegnava loro in parabole

Radunerò io stesso il resto delle mie pecore (Ger 23,3): meno male che il Signore ci mette sempre una pezza. Lui non è quel Dio che tanti pastori fanno immaginare che sia. Il salmo 22 riecheggia con dettagli la profezia di Geremia. Il Signore è l’unico vero pastore perché non fa paura alle pecore, ma le conduce a una vita piena. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dice: io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Gesù è quel germoglio di cui parla Geremia alla fine della sua profezia. Nella sua umanità vediamo risplendere cosa significhi che Dio è il pastore del suo popolo. Nel vangelo di oggi Marco va alle radici del suo essere. Gesù ascolta volentieri i suoi discepoli tornati dalla 1a missione. Gode del bene che essi hanno seminato in parole ed opere. Si prende cura anche della loro necessità di riposare. Attorno a loro vi era un gran movimento di gente, Gesù sceglie accuratamente il luogo desertico dove dirigersi insieme ai suoi. Ma molti vengono a saperlo e li precedono giungendo sul posto. Appena sceso dalla barca il Signore viene attraversato da un fremito preciso: egli vide una grande folla ed ebbe compassione di loro perché erano come pecore che non hanno pastore (Mc 6,34).

La compassione è il tratto distintivo del pastore secondo il cuore di Dio. Se manca questa capacità, manca tutto. L’amore porta per sua natura a farsi carico della sofferenza altrui, così come a condividerne la gioia. È interessante osservare la motivazione della compassione per la folla che gli sta davanti: non hanno pastore. Cioè non hanno il necessario punto di riferimento per scoprirsi e sentirsi amati nella bellezza della propria vita. Pensando a noi uomini smarriti di oggi che abbiamo demolito tutte le alleanze e perso ogni punto di riferimento, rimanendo prede di grande sfiducia e molteplici paure, è consolante sapere come ci guarda Gesù. Ha compassione dello smarrimento generale in cui viviamo, sa che abbiamo bisogno di Lui ma, come amore autentico chiede, non si impone, non colpevolizza gli uomini. Si offre ancora a noi per insegnarci molte cose sulla vita. Bisogna solo verificare se abbiamo ancora voglia che Dio ci insegni a vivere. Ci converrebbe, se non vogliamo continuare a impoverirci in umanità.

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EL PASTOR ENSEÑA A VIVIR

¿Quiénes son los pastores identificados por Jeremías en la lectura como aquellos que dispersan, hacen morir, aplastan a las ovejas del Señor? (Jer 23,1-2) Son aquellas que, antes que nada, como afirma el profeta, no se preocupan. O sea, no cuida sus vidas porque otras cosas son para ellos más importantes. Y si hay otra cosa que les importa, quiere decir que sus vidas están perdiendo la capacidad de atraer a Dios, porque no están siguiendo a Dios como su pastor. De hecho, el único pastor de todos es el Señor mismo. Si los llamados a ser pastores en el pueblo de Dios no cultivan su relación con Él para ser guiados, antes o después esto lo tocarán con las propias manos en la relación que tienen con las ovejas. En vez de llevarlas a la fuente de sus vidas, o sea al Señor, en cambio de unirlas suscitando siempre mayor confianza en Él, las dispersan: o, mejor dicho, cuando no llegan hasta aplastarlas, bajan las defensas hacia los peligros que están alrededor. Y así las ovejas arriesgan de perder el único punto de referencia indispensable de sus vidas: Dios.

Generalmente estos hermanos transmiten una imagen falsa de Dios porque a su vez la llevan dentro de sí. Aquí está la raíz del problema. En las relaciones son siempre más bien calculadores, cuidadosos e irritables, a pesar de las sonrisas de circunstancia. Aunque si ortodoxos en el hablar de cosas de fe, en las relaciones no se tiene nada en cambio: no se advierte empatía, en el peor de los casos hay verdadera y propia infectividad. Crean consternación y angustia en las delicadas situaciones humanas que hay que afrontar, en cambio de ayudar a disolver y humanizarlas. Se refugian fácilmente en las normas y en los ritos. En la misa un sacerdote está leyendo el evangelio. El monaguillo que está a su costado con la vela que se le chorreaba al piso. El sacerdote se detiene, lo mira por unos instantes y luego sigue su lectura. Como en el presbiterio nadie ayuda al niño, lo hace un hombre presente en la asamblea. Aquel hombre me contó el hecho no indignado, pero muy molesto. “Dime ahora: – me preguntó al final – ¿ese es un sacerdote?

Reuniré yo mismo al resto de mis ovejas (Ger 23,3): menos mal que el Señor nos pone siempre un parche. Él no es aquel Dios que tantos pastores hacen imaginar quién es. El salmo 22 resuena con detalles la profecía de Jeremías. El Señor es el único verdadero pastor porque no da miedo a las ovejas, sino que las conduce a una vida plena. En el evangelio de Juan, Jesús dice: yo he venido para que tengan vida y la tengan en abundancia (Jn 10,10). Jesús es aquel brote del cual habla Jeremías al final de su profecía. En su humanidad vemos resplandecer qué significa que Dios es el pastor de su pueblo. En el evangelio de hoy Marcos va a la raíz de su ser. Jesús escucha con mucho gusto a sus discípulos que regresan de la misión. Goza del bien que ellos han sembrado en palabras y obras. Cuida también de la necesidad de descansar. Alrededor de ellos había un gran movimiento de gente. Jesús elige con mucho cuidado el lugar desértico donde dirigirse junto a los suyos. Pero muchos llegan a saberlo y los preceden llegando al lugar. Apenas bajó de la barca el Señor viene atravesado de un estremecimiento preciso: él vio una multitud y tuvo compasión de ellos porque eran como ovejas sin pastor (Mc 6,34).

La compasión es el rasgo distintivo del pastor según el corazón de Dios. Si falta esta capacidad, falta todo. El amor lleva por su naturaleza a hacerse cargo del sufrimiento de los demás, así como a compartir el gozo. Es interesante observar la motivación de la compasión por la gente que le está delante: no tienen pastor. O sea, no tienen el necesario punto de referencia para descubrirse y sentirse amados en la belleza de la propia vida. Pensando en nosotros hombres perdidos de hoy que hemos demolido todas las alianzas y perdido cada punto de referencia, quedando presos de gran desconfianza y múltiples miedos, es consolante saber cómo nos mira Jesús. Tiene compasión de la perdición general en la cual vivimos, sabe que tenemos necesidad de Él, pero, como amor auténtico pregunta, no se impone, no culpa a los hombres. Se ofrece aún a nosotros para enseñarnos muchas cosas sobre la vida. Es necesario solo verificar si tenemos aún ganas de que Dios nos enseñe a vivir. Nos convendría, si no queremos continuar a empobrecernos en humanidad.