LASCIA FARE LE DOMANDE A DIO

XV DOMENICA DEL T.O.

anno C (2019)

Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37

Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

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Ascolto alle casse di un supermercato una cassiera sbuffare: ”Che caldo oggi!” –  Una cliente: ”È un maledetto caldo africano che questi maledetti migranti portano con loro” – la cassiera: ”sono proprio una disgrazia” – la cliente: ”li fermasse il mare!”. Io resto muto e mi chiedo: “la pietà è morta?”. Quel che avete letto è un “tweet” del 9 luglio scorso di P. Enzo Bianchi, comunità monastica di Bose. Non vi dico cosa ho letto in risposta da parte di una miriade di utenti del social network. C’è da rabbrividire al sentire le loro esternazioni. Voglio però chiarire subito che non ho aperto il commento al vangelo per avviare un dibattito sul tema migrazioni, lo sappia il mio lettore. Apro piuttosto in questo modo per dare la chiave che il vangelo di oggi offre (a chi gli apre ancora l’orecchio) per leggere la realtà che ci circonda e il tempo in cui siamo immersi, ben consapevole dei trabocchetti che si celano dietro tanta apparente solidarietà. Affidiamoci dunque alla parola di Dio, che il salmo definisce “lampada” per i nostri passi e “luce” sul nostro cammino (Sal 119,77). Cos’è che sostanzialmente chiede il dottore della legge a Gesù (con intenzioni non proprio pure), nella prima parte del brano? Dimmi qual è la strada per arrivare alla vita immortale, dimmi cosa si deve fare per ereditarla (Lc 10,25).

Il Signore lo incontra sul suo terreno (la Legge) e, quale autentico maestro che è, non si  preoccupa tanto di dare risposte convincenti, ma piuttosto di piantare le domande giuste. Risponde all’interlocutore con un altro interrogativo (Lc 10,26). Alla fine del vangelo troveremo un’altra domanda di Gesù al dottore. Ciò significa che l’operazione più importante per Dio non è dar risposte all’uomo a prezzo di saldi, ma guarire le sue domande. Perché le domande che uno fa, ti dicono che cosa cerca il suo cuore. Quando poi rispondi piazzando la domanda giusta, è come mettere un dito in un vespaio. La conclusione di P. Enzo nel suo “tweet” è una domanda che ha innescato una serie di reazioni a catena, per cui potremmo dire anche per essi, insieme a Luca evangelista: ma quelli, volendo giustificarsi dissero…(Lc 10,29a). Chi vive giustificandosi, pensa appunto di sapere sempre cosa è giusto e cosa non lo è. Come parla normalmente l’innumerevole folla che abita nei social. Ma il vangelo non ci educa a questo. Ricordate la parabola del fariseo e del pubblicano? (Lc 18,9-14)

Buon Samaritano 2
Gli si fece vicino, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2010

All’interrogativo di Gesù il dottore della legge risponde bene. Però, al suo invito a mettere in pratica quello che ha detto, pone un ulteriore interrogativo: e chi è il mio prossimo? (Lc 10,29b). Ecco la domanda da guarire. Leggendo il vangelo, ci si può accorgere che il Signore non ha risposto per concetti, non ha dato la risposta puntuale che il dottore si aspettava. Ha raccontato una piccola storia. Davanti ad essa si può lasciar perdere le proprie domande per lasciarsi interrogare dal Signore, oppure si può preferire accanirsi con Lui e gli altri aggrappandosi tenacemente ad esse. In quest’ultimo caso si nasconde a se stessi e agli altri quello che veramente si cerca, ma non ci si può nascondere a Gesù. Cosa ci ha voluto comunicare con questa celebre parabola? Non possiamo soffermarci su tutto, ma una cosa è certa: accogliere quello che dice cambia le nostre domande e ci converte dalle false immagini di Dio. Non accoglierlo invece, rivela le resistenze e i mille “però” che avanziamo al Signore per giustificarci nel cammino dell’amore.

Il racconto è costruito ad arte per portare il nostro cuore a focalizzare quello che conta per Dio nel nostro cammino di fede. L’anonimo uomo sanguinante che rimane mezzo morto per strada, passa inosservato da un sacerdote e un levita (Lc 10,30-32). Non potrebbe essere altrimenti. In realtà lo vedono, ma vanno oltre perché le esigenze di purità del culto li impedisce di toccare quell’uomo. Questi fratelli si attengono alla legge, il loro cuore abita nella legge, perché pensano che Dio sia sostanzialmente legge. Invece c’è un Samaritano in viaggio che vede e soffre con l’uomo abbandonato sulla strada (Lc 10,33), comportandosi di conseguenza. Perché se tu hai nel cuore compassione, non te ne starai mai fermo. Notate tutto quello che fa costui (Lc 10,34-35): nasce dalla sua compassione per lui. Il significato primo della parabola è indubitabile: dietro il Samaritano si cela Gesù, il Dio sceso dal Cielo per soccorrere l’umanità perduta facendosi uomo come noi, per comprendere e caricarsi della nostra vita ferita e mezza morta. Ma non è tutto.  

Torniamo indietro al versetto iniziale (Lc 10,25). C’è un grosso problema che si nasconde soprattutto tra “credenti”. Il problema di pensare che la vita eterna sia prima di tutto qualcosa da conquistare, qualcosa da raggiungere con il proprio “fare”. Ma se per bocca stessa del dottore della legge la vita eterna è un’eredità, allora ti viene data perché appartieni a una famiglia, perché sei figlio di qualcuno. Il problema è vivere da figli, è scoprire di essere amati da Dio come figli! E’ lo stesso problema dei 2 figli dell’altra celebre parabola (Lc 15,11-32): vivevano gomito a gomito con il padre ma senza conoscere il suo cuore! Queste 2 parabole, unite, non fanno che ribadirci una sola cosa: Dio non vuole nient’altro da noi che il nostro cuore! Per questo la domanda finale del vangelo potrebbe anche tradursi così: “chi di questi tre ti sembra si sia comportato come figlio che conosce il cuore di Dio suo padre?” (Lc 10,37a) Solo chi è convinto di essere ferito e sente sulla propria pelle l’amore premuroso di Dio, può credere in Gesù e può a sua volta diventare un Samaritano come Lui. Perché Dio non lo si conoscerà mai per concetti, ma nelle ferite del proprio e dell’altrui cuore.

A questo punto forse ti chiederai: cosa c’entra l’aneddoto iniziale sul “tweet” di Enzo Bianchi? Rientrando in te stesso, non lasciarti imbrogliare da nessuna voce che ti vuole convincere o che gli africani (o chicchessia) siano una disgrazia per la tua vita, o che tutti quelli che corrono a salvare le vite in mezzo al mare (o altrove) lo facciano sicuramente per compassione, cioè per amore. Infatti, imparando a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio, si può scoprire che qualsiasi voce che mi relativizza o addirittura sospende il comandamento dell’amore ad ogni uomo, certamente non viene da Dio, bensì dal nemico. Ma anche un agire che intervenisse a togliere dal pericolo vite umane senza costruire nessuna relazione con loro e senza proseguire nel prendersene cura, certamente non ci parla dell’amore compassionevole che il vangelo del samaritano ci insegna. E che ci invita ancora oggi a realizzare: va’, e anche tu fa così (Lc 10,37b).

 

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DEJA QUE DIOS HAGA LAS PREGUNTAS

 

Escucho lamentarse a una cajera en las cajas de un supermercado: “¡Qué calor hoy día!” – una señora cliente: “Es un maldito calor africano que estos malditos migrantes traen con ellos” – la cajera: “Son de hecho una desgracia” la cliente: “los detuviera el mar”. Yo me quedo mudo y me pregunto: “¿la piedad ha muerto?”. Lo que acaban de leer es un “tweet” del 9 de julio pasado de P. Enzo Bianchi, comunidad monástica de Bose. No les digo qué he leído en respuesta de parte de un montón de usuarios de las redes sociales. Es para temblar al sentir sus declaraciones. Pero quiero aclarar inmediatamente que no he abierto el comentario al evangelio para iniciar un debate sobre el tema migratorio, lo sepa mi lector. Abro más bien de esta manera para dar la llave que el evangelio de hoy ofrece (a quien le abre todavía el oído) para leer la realidad que nos circunda y el tiempo en el cual estamos inmersos, conocedores de los jueguitos que se sellan detrás de tanta aparente solidaridad. Confiémonos entonces a la Palabra de Dios, que el salmo define “lámpara” para nuestros pasos y “luz” en nuestro camino  (Sal 119,77). ¿Qué es lo que sustancialmente pide el doctor de la ley a Jesús (con intensiones no propiamente puras), en la primera parte del texto? Dime cuál es el camino para llegar a la vida inmortal, dime qué cosa se debe hacer para heredarla (Lc 10,25).

El Señor lo encuentra en su terreno (la ley) y, como auténtico maestro que es, no se preocupa tanto de dar respuesta convincente, sino más bien de plantar las preguntas justas. Responde al interlocutor con otra pregunta (Lc 10,26). Al final del evangelio encontraremos otra pregunta de Jesús al doctor. Esto significa que la operación más importante para Dios no es dar respuestas a los hombres a precio de saldos, sino de sanar sus preguntas. Porque las preguntas que uno hace, te dice lo que busca su corazón. Cuando luego respondes poniendo la pregunta justa, es como poner un dedo en un avispero. La conclusión de P. Enzo en su “tweet” es una pregunta que ha provocado una serie de reacciones en cadena, por lo cual podríamos decir también por ellos, junto a Lucas evangelista: pero ellos, queriendo justificarse dijeron… (Lc 10,29a). Quien vive justificándose, piensa justamente saber siempre qué cosa es justo y que cosa no lo es. Como habla normalmente la innumerable multitud que vive en las redes sociales. Pero el evangelio no nos educa a esto. ¿Recuerdan la parábola del fariseo y del publicano? (Lc 18,9-14)

A la interrogante de Jesús el doctor de la ley responde bien. Pero, a la invitación de poner en práctica lo que ha dicho, pone una ulterior pregunta: ¿y quién es mi prójimo? (Lc 10,29b). He aquí la pregunta para curar. Leyendo el evangelio, nos podemos dar cuenta que el Señor no ha respondido por conceptos, no ha dado la respuesta puntual que el doctor se esperaba. Ha relatado una pequeña historia. Delante de esto se puede dejar caer las propias preguntas para dejarse interrogar por el Señor, o quizás se puede preferir encolerizarse con Él y los demás aferrándose tenazmente a ellas. En este último caso se esconde a sí mismo y a los demás lo que verdaderamente se busca, pero no nos podemos esconder a Jesús. ¿Qué es lo que nos ha querido comunicar con esta célebre parábola? No podemos detenernos sobre todo, pero una cosa es cierta: acoger lo que dice cambia nuestras preguntas y nos convierte de las falsas imágenes de Dios. No acogerlo en cambio, revela las resistencias y los miles de “pero”  que adelantamos al Señor para justificarnos en el camino del amor.

El relato está construido artísticamente para llevar nuestro corazón a focalizar lo que cuenta para Dios en nuestro camino de fe. El anónimo hombre sangriento que se queda medio muerto por el camino, pasa inobservado por un sacerdote y un levita (Lc 10,30-32). No podría ser de otro modo. En realidad lo ven, pero van por otro lado porque las exigencias de pureza del culto les impiden tocar a aquél hombre. Estos hermanos se atienen a las leyes, su corazón habita en la ley, porque piensan que Dios sea sustancialmente ley. En cambio hay un Samaritano en viaje que ve y sufre con el hombre abandonado por el camino (Lc 10,33), comportándose de consecuencia. Porque si tú tienes en el corazón compasión, no te quedarás quieto. Noten todo lo que este hace (Lc 10,34-35): nace de su compasión por él. El primer significado de la parábola es indudable: detrás del Samaritano  se esconde Jesús, el Dios bajado del Cielo para socorrer a la humanidad perdida haciéndose hombre como nosotros, para comprender y cargarse de nuestra vida herida y media muerta. Pero no es todo.

Regresamos atrás al versículo inicial (Lc 10,25). Hay un grande problema que se esconde sobre todo entre “creyentes”. El problema de pensar que la vida eterna sea antes de todo algo para conquistar, algo para alcanzar con el propio “hacer”. Pero si por boca misma del doctor de la ley la vida eterna es una herencia, entonces te viene dada porque perteneces a una familia, porque eres hijo de alguien. ¡El problema es vivir como hijos, es descubrir ser amado por Dios como hijo! Es el mismo problema de los 2 hijos de la otra célebre parábola (Lc 15,11-32): ¡vivían codo a codo con el padre pero sin conocer su corazón! Estas 2 parábolas unidas no hacen que reafirmar una sola cosa: ¡Dios no quiere otra cosa de nosotros que nuestro corazón! Por esto la pregunta final del evangelio podría también traducirse así: “¿quién de estos tres te parece se haya comportado como hijo que conoce el corazón de Dios su padre?” (Lc 10,37a) Solo quien está convencido de estar herido y siente en su propia carne el amor premuroso de Dios puede creer en Jesús y puede a su vez volverse un Samaritano como Él. Porque a Dios no se le conocerá nunca por conceptos, sino en las heridas del propio y de los demás corazones.

A este punto quizás te preguntarás: ¿qué pinta la anécdota inicial sobre el tweet de Enzo Bianchi?  Entrando en ti mismo, no te dejes engañar por ninguna voz que te quiere convencer o que los africanos (o quien sea) sean una desgracia para tu vida, o que todos aquellos que corren a salvar las vidas en medio del mar (o en otro sitio) lo hagan seguramente por compasión, o sea por amor. De hecho, aprendiendo a dejarse guiar por el Espíritu de Dios, se puede descubrir que cualquier voz que relativiza o además suspende el amor a cualquier hombre, ciertamente no viene de Dios, sino del enemigo. Pero también un actuar que interviniera para quitar del peligro vidas humanas sin construir ninguna relación con ellos y sin proseguir a hacerse cargo, ciertamente no se habla del amor compasivo que el evangelio del samaritano nos enseña. Y que nos invita todavía hoy a realizar: ve, y también tú haz lo mismo (Lc 10,37b).