XI DOMENICA DEL T.O.
anno B (2021)
Ez 17,22-24; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34
Gesù diceva alla folla: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
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Il regno di Dio è di Dio. Non suoni alle vostre orecchie pleonastica questa affermazione. È qualcosa che si genera insieme a Dio. Se no, non è di Dio. Non c’è veramente il suo segno se l’uomo si crea religiosamente “il suo” regno e poi invoca Dio solo per far avallare i propri interessi, o per dare un certificato alle proprie opere. In giro (anche nella Chiesa) si fanno tante cose per Dio che dubito piacciano a Dio. Non a caso Gesù fa concentrare la nostra attenzione sulla relazione tra un uomo e un seme, tra la sua azione e la sua inazione, tra la sua conoscenza e la sua insipienza sul mistero della vita, tra la necessità dell’attesa e la sua meraviglia davanti ai frutti da cogliere a tempo debito (Mc 4,26-29). Il regno è di Dio quando si da il primato a Dio. E questo primo passo l’uomo lo fa quando davvero gli lascia la parola, principio di vita. Infatti, il seme di cui parla Gesù nel vangelo, è la Parola di Dio. La sinergia con Dio parte così o non parte affatto bene. La prima parabola ci aiuta a identificare bene dove nasce il regno di Dio e qual è il suo dinamismo.
Seconda parabola. Qui troviamo un’altra qualità del regno. La piccolezza è un distintivo divino. È veramente affascinante vedere come, per le sue opere, Dio scelga luoghi piccoli e irrilevanti; come Egli chiami, per avviare queste opere, persone piccole a cui nessuno darebbe alcun credito. Perciò il Signore compara il granellino di senape con gli altri semi che sono sul terreno (Mc 4,31). Sembra allora che qui il seme sia l’uomo stesso. Come negare questo stile divino? Gesù è venuto al mondo in un sobborgo chiamato Betlemme, di cui il profeta Michea decanta la piccolezza destinata a una fama (Mi 5,1). Ha scelto una piccola e sconosciuta giovane donna di Nazareth per incarnarsi. Andando ancor più indietro nel tempo, come non ricordare l’inizio di una nuova epoca del regno di Israele con la scelta di Davide, il più piccolo della casa di Iesse, che non era nemmeno stato presentato al profeta Samuele inviato da Dio. E potremmo andare avanti citando altri uomini biblici o santi nella storia della Chiesa: troveremmo sempre Dio portare avanti il suo regno fedele a sé stesso.
Il ramoscello del profeta Ezechiele nella 1a lettura diventa un albero grandioso, un cedro imponente alla cui ombra dimoreranno e riposeranno gli uccelli del cielo. È un’immagine di come cresca il regno di Dio che, nella parabola raccontata da Gesù, cede però il passo all’umiltà di un ortaggio. Perché? È cambiato qualcosa in Dio? Certamente no. Ma il Messia, secondo le profezie, non doveva convocare attorno a sé tutto Israele e dominare le nazioni? La profezia di Ezechiele non è da leggere così? La storia di Gesù è la storia di un Messia che non ha cercato rilevanza, non ha mirato al successo immediato attirato dal consenso pubblico e dalle masse. È la storia di un amore che si è coltivato in un gruppo di persone (che nessun leader avrebbe mai scelto) curandone pazientemente la identità. Il Signore porta avanti il suo regno in questo modo, perché la sua grandezza è sempre nell’amore. L’amore vero infatti, lo si tocca solo nelle relazioni che si stabiliscono. Ciò non toglie che l’amore manifestatosi in questa singola storia riguardi e abbracci l’intera umanità: fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. Sui grandi rami dell’albero della Croce, si offre accoglienza e riparo a ogni uomo che si volge verso Colui che vi è inchiodato.
Qualche osservazione sui versetti finali. Le parabole che Gesù racconta sono tante, ma l’intento comune è di rivelare la parola più difficile, senza la quale le Scritture rimangono un libro sigillato e incomprensibile. È la parola della Croce. Essendo necessario un cammino per avvicinarsi e prepararsi al suo scandalo, il Signore, attraverso le parabole, dona a ciascuno di cominciare ad entrare nel suo mistero, in modo da capire secondo la propria apertura, lasciando quel tanto di appetito per aprirsi in una conoscenza maggiore. Per questo si parla di una spiegazione “in privato” (Mc 4,34). Non perché le cose della fede sono un affare privato, ma perché la spiegazione che Gesù offre ai discepoli non può che avvenire in un clima di intimità delle relazioni. Il Signore è sempre pronto a spiegare quel che possiamo comprendere, se davvero lo vogliamo e ci giochiamo nella relazione con Lui.
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DE DIOS Y DE QUIEN SE HACE PEQUEÑO
El reino de Dios es de Dios. No se escuche a sus oídos pleonástica esta afirmación. Es algo que se crea junto a Dios. Si no, no es de Dios. No tiene verdaderamente su sello si el hombre se crea religiosamente “su” reino y luego invoca a Dios solo para avalar los propios intereses, o para dar un certificado a las propias obras. No por casualidad Jesús hace concentrar nuestra atención en la relación entre un hombre y una semilla, entre su acción y su inacción, entre su conocimiento y su ignorancia sobre el misterio de la vida, entre la necesidad de la espera y su maravilla delante de los frutos que recoge al debido momento (Mc 4,26-29). El reino es de Dios cuando se da la primacía a Dios. Y este primer paso el hombre lo hace cuando de verdad le deja la palabra, principio de vida. De hecho, la semilla de la cual habla Jesús en el evangelio es la Palabra de Dios. La sinergia con Dios parte así o no parte bien de hecho. La primera parábola nos ayuda a identificar bien donde nace el reino de Dios y cuál es su dinamismo.
Segunda parábola. Aquí encontramos otra cualidad del reino. La pequeñez es un distintivo divino. Es verdaderamente atrayente ver cómo, para sus obras, Dios elige lugares pequeños e irrelevantes; como Él llama, para iniciar estas obras, personas pequeñas a la cual nadie daría nada. Por lo cual el Señor compara al granito de mostaza con las otras semillas que están en el terreno (Mc 4,31). Parece entonces que aquí la semilla sea el hombre mismo. ¿Cómo negar este estilo divino? Jesús ha venido al mundo en un suburbio llamado Belén, del cual el profeta Miqueas proclama la pequeñez destinada a una fama (Mi 5,1). Ha elegido una pequeña y desconocida mujer joven de Nazareth para encarnarse. Yendo todavía más atrás en el tiempo, cómo no recordar el inicio de una nueva época del reino de Israel con la elección de David, el más pequeño de la casa de Iese, que no había sido ni siquiera presentado al profeta Samuel enviado por Dios. Y podríamos ir adelante citando otros hombres bíblicos o santos en la historia de la Iglesia: encontraremos siempre a Dios llevar adelante su reino fiel a sí mismo.
La ramita del profeta Ezequiel en la 1ra lectura se vuelve un árbol grandioso, un cedro imponente a la cual sombra vivirán y descansarán las aves del cielo. Es una imagen de cómo crezca el reino de Dios que, en la parábola contada por Jesús, cede el paso a la humildad de una hortaliza. ¿Por qué? ¿Ha cambiado algo en Dios? Ciertamente no. Pero el Mesías, según las profecías, ¿no debía convocar alrededor suyo a todo Israel y dominar las naciones? La profecía de Ezequiel ¿no es para leerla así? La historia de Jesús es la historia de un Mesías que no ha buscado relevancia, no ha buscado el éxito inmediato atraído por el apoyo público y de las masas. Es la historia de un amor que se ha cultivado en un grupo de personas (que ningún líder nunca hubiera elegido) cuidando pacientemente la identidad. El Señor lleva adelante su reino de esta manera, porque su grandeza está siempre en el amor. El amor verdadero de hecho se toca solo en las relaciones que se establecen. Esto no quita que el amor manifestado en esta singular historia no se refiera y abrace a la entera humanidad: echa ramas tan grandes que los pájaros pueden anidar a su sombra. Sobre grandes ramas del árbol de la Cruz, se ofrece acogida y refugio a cada hombre que se dirige hacia Aquél que han clavado.
Algunas observaciones sobre los versículos finales. Las parábolas que Jesús cuenta son muchas, pero el intento común es de revelar la palabra más difícil, sin la cual las Escrituras se quedan un libro sellado e incomprensible. Es la palabra de la Cruz. Siendo necesario un camino para acercarse y prepararse a su escándalo, el Señor, a través de las parábolas, dona a cada uno el comenzar y entrar en su misterio, de la cual entender según la propia apertura, dejando aquél tanto de apetito para abrirse en un conocimiento mayor. Por esto se habla de una explicación “en privado” (Mc 4,34). No porque las cosas de la fe son una cuestión privada, sino porque la explicación que Jesús ofrece a los discípulos no puede suceder que en un clima de intimidad de las relaciones. El Señor está siempre listo a explicar lo que podemos comprender, si de verdad lo queremos y nos jugamos en la relación con Él.