Pubblicato in: Commento alle Scritture, Predicazione, Servizio della Parola

C’È PREGHIERA E PREGHIERA E C’È GIUSTIZIA E GIUSTIZIA

XXX DOMENICA DEL T.O.

anno C (2025)

Sir 35,15-17.20-22; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

_______________

Una parabola detta da Gesù, quella di oggi, per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Ovvero per alcuni che avevano profonda convinzione di essere giusti, di essere “a posto così”, insomma una convinzione molto radicata. E che, nello stesso tempo, squalificavano gli altri. La congiunzione sembra suggerire che tra le due cose ci sia una correlazione diretta. Effettivamente l’esperienza lo conferma. Chi sottolinea la propria autosufficienza, chi si sente a posto e sempre in credito verso tutti, chi vive nella perenne preoccupazione di affermare o difendere la propria reputazione, chi è convinto di essere sempre dalla parte di Dio e di saper sempre esprimere la parte di Dio, generalmente costui giudica gli altri e cerca il controllo sugli altri, quando non li disprezza. Come non riconoscere nel profilo del fariseo della parabola una persona fatta così? Una persona “tutta d’un pezzo” come diremmo oggi, che sta in piedi, e che però il testo già smaschera in qualche modo nella introduzione della sua preghiera: pregava così tra sé. Come se la sua preghiera, al contrario di quella del povero della 1a lettura di oggi (che attraversa le nubi), nemmeno decollasse verso Dio, perché rimbalza su sé stessa.

Il fariseo, se ci pensate, non esprime semplicemente presunzione, ma il colmo della presunzione. Perché cominciando a parlare con Dio, inizia con quello che bisognerebbe sempre sentire ed esprimere verso Dio, cioè gratitudine. Il fariseo ringrazia, ma qual è il contenuto del suo ringraziamento? Due sono le motivazioni del suo ringraziamento: 1) Perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 2) Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Nella prima motivazione il fariseo ringrazia Dio perché non lo ha fatto come gli altri, perché si distingue dagli altri, perché in qualche modo il male che arriva a identificare gli altri non lo riguarda. La sua coscienza di superiorità giunge a inglobare persone generiche non presenti o presenti (il pubblicano che è lì con lui al tempio). Nella seconda motivazione egli sottolinea ciò per cui ogni fariseo si distingueva in seno al popolo di Israele: l’essere inappuntabile quanto alle opere prescritte dalla Legge, come il digiuno e il dare le decime di tutto ciò che si possedeva. In sintesi: il fariseo pensa di avere Dio interlocutore come fosse colui che coltiva e ha riguardo solo di alcuni uomini come lui, esenti dal male degli altri, perché il male lo fanno solo gli altri. Crede che Dio si conceda solo a chi, come lui, pratica certe cose dettate dalla Legge. Sembra proprio uno che conosce Dio come le proprie tasche…

Il profilo molto umano del pubblicano è facilmente individuabile. Intanto, è uomo di poche parole nella preghiera. E poi il testo ci dice che si ferma a distanza, che non osava nemmeno alzare gli occhi al Cielo ma si batteva il petto. Un comportamento che denota coscienza della propria povertà e piccolezza, coscienza di essere peccatore, coscienza di avere bisogno della misericordia divina, senza la sicurezza di conoscere bene il proprio interlocutore: oh Dio, abbi pietà di me peccatore! Il vangelo conclude dicendo che quest’uomo a differenza dell’altro tornò a casa giustificato, cioè torna a casa dalla sua preghiera reso giusto. L’insegnamento di Gesù allora è cristallino. Chi pensa di essere giusto per quello che fa, perché pensa di conoscere Dio, credendo che Dio sia e si comporti come il suo Io, torna a casa in una bolla di illusione, senza nemmeno incontrare Dio nella preghiera. Rimarrà da solo con la propria “giustizia” che non lo salva. Chi invece si avvicina a Dio a partire dalla propria realtà di peccato, senza nascondersela, e grida a Dio per ottenere misericordia, da Dio che è Misericordia riceverà la pietà che domanda. E sarà Dio che lo farà giusto, poiché in virtù delle opere della Legge nessun uomo è giustificato davanti a Lui, perché per mezzo della Legge si ha solo la conoscenza del peccato…noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato dalla fede in Gesù, indipendentemente dalle opere della Legge (Rm 3,20-28). Dunque la parabola ci mette difronte a una salutare diagnosi della nostra preghiera. Perché ci farà bene scoprire se in essa sto cercando di essere qualcuno davanti a Dio, di essere giusto difronte a Lui, oppure se sto cercando veramente Lui per il bisogno che ho di essere salvato dalla sua giustizia, che è misericordia per il mio peccato. 

******************

HAY ORACIÓN Y ORACIÓN ASI COMO HAY JUSTICIA Y JUSTICIA

Una parábola dicha por Jesús, la de hoy, para algunos que tenían la íntima presunción de ser justos y despreciaban a los demás. Es decir, para algunos que tenían profunda convicción de ser justos, de estar “bien así”, en definitiva una convicción muy arraigada. Y que, al mismo tiempo, descalificaban a los demás. La conjunción parece sugerir que entre las dos cosas hay una correlación directa. Efectivamente, la experiencia lo confirma. Quien enfatiza su propia autosuficiencia, quien se siente bien y siempre en crédito hacia todos, quien vive en la preocupación perenne de afirmar o defender su reputación, quien está convencido de estar siempre del lado de Dios y de saber expresar siempre la parte de Dios, Generalmente juzga a los demás y busca el control sobre los demás, cuando no los desprecia. ¿Cómo no reconocer en el perfil del fariseo de la parábola a una persona así hecha? Una persona “de una pieza” como diríamos hoy, que está en pie, y que sin embargo el texto ya desenmascara de alguna manera en la introducción de su oración: rezaba así entre sí. Como si su oración, al contrario de la del pobre de la 1a lectura de hoy (que atraviesa las nubes), ni siquiera despegara hacia Dios, porque rebota sobre sí misma.

El fariseo, si lo piensan, no expresa simplemente presunción, sino el colmo de la presunción. Porque al comenzar a hablar con Dios, comienza con lo que siempre se debería sentir y expresar hacia Dios, es decir gratitud. El fariseo agradece, pero ¿cuál es el contenido de su agradecimiento? Dos son las motivaciones de su agradecimiento: 1) Porque no son como los otros hombres, ladrones, injustos, adulteri, ni tampoco como este publicano. 2) Ayuno dos veces por semana y pago diezmos de todo lo que poseo. En la primera motivación el fariseo agradece a Dios porque no lo ha hecho como los demás, porque se distingue de los otros, porque de alguna manera el mal que llega a identificar a los demás no le concierne. Su conciencia de superioridad llega a englobar personas genéricas no presentes o presentes (el publicano que está allí con él en el templo). En la segunda motivación subraya aquello por lo que cada fariseo se distinguía en el seno del pueblo de Israel: ser irreprochable en cuanto a las obras prescritas por la Ley, como el ayuno y dar las diezmas de todo lo que se poseía. En síntesis: el fariseo piensa que tiene a Dios como interlocutor como si fuera aquel que cultiva y tiene cuidado solo de algunos hombres como él, exentos del mal de los demás, porque el mal lo hacen solo los otros. Cree que Dios se concede solo a quien, como él, practica ciertas cosas dictadas por la Ley. Parece precisamente uno que conoce a Dios como sus propios bolsillos…

El perfil muy humano del publicano es fácilmente identificable. Mientras tanto, es un hombre de pocas palabras en la oración. Y luego el texto nos dice que se detiene a distancia, que ni siquiera se atrevía a levantar los ojos al Cielo pero se golpeaba el pecho. Un comportamiento que denota conciencia de la propia pobreza y pequeñez, conciencia de ser pecador, conciencia de tener necesidad de la misericordia divina, sin la seguridad de conocer bien al propio interlocutor: ¡oh Dios, ten piedad de mí pecador! El evangelio concluye diciendo que este hombre a diferencia del otro volvió a casa justificado, es decir vuelve a casa por su oración hecho justo. La enseñanza de Jesús es entonces cristalina. Quien piensa que es justo por lo que hace, porque cree conocer a Dios, creyendo que Dios es y se comporta como su yo, vuelve a casa en una burbuja de ilusión, sin siquiera encontrarse con Dios en la oración. Se quedará solo con su propia “justicia” que no lo salva. En cambio quien se acerca a Dios desde su propia realidad de pecado, sin ocultarla, y clama a Dios para obtener misericordia, de Dios que es Misericordia recibirá la piedad que pide. Y será Dios quien lo hará justo, ya que en virtud de las obras de la Ley ningún hombre es justificado ante Él, porque por medio de la Ley solo se tiene el conocimiento del pecado… Creemos que el hombre está justificado por la fe en Jesús, independientemente de las obras de la ley (Rm 3,20-28). Por lo tanto, la parábola nos pone frente a un diagnóstico saludable de nuestra oración. Porque nos hará bien descubrir si en ella estoy tratando de ser alguien ante Dios, de ser justo frente a Él, o si lo estoy buscando verdaderamente para la necesidad que tengo de ser salvado por su justicia, que es misericordia por mi pecado.