QUELLA FEDE CHE VIENE DALL’ESTERO

XX DOMENICA DEL T.O.

Is 56,1.6-7; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15, 21-28

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

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La paura, come realtà non controllabile che ci abita, non impedisce l’avanzare della fede. Anzi, il vangelo di domenica scorsa ci suggerisce come essa possa mettersi al suo servizio. Ma per sé stessa, la paura è realtà che si oppone alla fede. Invece quest’ultima è antidoto e forza che muove la persona ad affrontarla e superarla. In tal senso, la mamma cananea del vangelo di oggi è una delle icone più belle.

Cananea 1
Il grido della cananea, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2011

Una donna di Canaan che vive nella regione di Tiro e Sidone (Mt 15,21-22a). Cos’era e cos’é oggi Canaan per gli ebrei? Gli abitanti di Canaan sono i nemici “tradizionali” di Israele; il popolo eletto li aveva scacciati dal loro territorio per ordine divino, i cananei erano dunque un popolo dal paganesimo crudele e selvaggio. La donna viene da un contesto culturale molto torbido. Di questa donna emerge solo una realtà: ha una figlia, anche se non è presente. Ella rivolge un appello secco a Gesù: pietà di me Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio (Mt 15,22b). Il Signore tira dritto senza rivolgerle una parola (Mt 15,23a). Già qui ci potremmo meravigliare: ha avuto compassione di ogni essere umano immerso nel dolore, perché di questa mamma non ha subito pietà? Da questo punto di osservazione il vangelo tace, ma vediamo che subito i suoi discepoli, avvicinandosi, si comportano come forse ci saremmo comportati anche noi. A Gesù noi cosa gli avremmo detto? Avremmo solamente espresso la nostra meraviglia per vederlo insensibile al grido di quella donna? Sta di fatto che i discepoli danno un consiglio al Signore: esaudiscila, perché ci viene dietro gridando (Mt 15,23b). Può darsi che gli dissero così per indurlo ad esaudirla. Ma devo dirvi che oggi, tra gli esegeti, al posto di esaudiscila circola una versione che pare sia più corretta: mandala via. Questa migliore traduzione è venuta incontro a una sensazione molto forte percepita mentre meditavo il testo. Mi sembra che i discepoli non si facciano intercessori per quella mamma. Semplicemente suggeriscono al Signore di togliere davanti a loro quella fastidiosa voce. Non vi vengono in mente episodi simili nel vangelo? Vi ricordate quando un’altra audace donna si avvicinò a Gesù in mezzo a una calca di gente, riuscendo a malapena a toccargli il lembo del mantello? Gesù cercava con lo sguardo chi lo avesse toccato, mentre i discepoli cercavano di scoraggiarlo facendogli osservare la quantità di persone che premevano su di lui. Oppure quell’uomo cieco al bordo della strada di Gerico: ricordate come questi gridava a Gesù mentre il suo seguito gliene diceva di tutti i colori per farlo tacere? Certo che noi discepoli di Cristo non sempre imbrocchiamo bene la via della fede, non c’è che dire. Per dirla con il vangelo di domenica scorsa, siamo uomini di poca fede.

Cananea 2
Si prostrò dinanzi a Lui, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2011

Gesù ribadisce il limite della sua missione (Mt 15,24) per la gioia dei discepoli presenti che l’ascoltarono e di tutti quegli altri che nella storia della chiesa (anche oggi!…) vorrebbero la chiesa come un recinto di giusti, quelli che vorrebbero un cattolicesimo a propria immagine e somiglianza, cioè con dei confini precisi, un’identità precisa, una storia precisa, un cattolicesimo che confisca il Signore al servizio delle proprie attese invece che presentarlo sulla lunghezza d’onda delle sue, come indica anche lo stesso termine greco καθολικός, da cui proviene il termine “cattolico”: universale, cioè per tutti, annunciato a tutti, offerto a tutti gli uomini che si aprono al vangelo. E allora perché Gesù ha avuto quella espressione? Metto da parte lo sfondo interpretativo più ampio che emerge alla luce del finale del vangelo di Matteo: cioè la delimitazione storica della missione che Gesù compie nei confini di Israele, per poi consegnarla e farla proseguire alla sua chiesa inviata a tutti i popoli. Mi concentro invece sulla esperienza molto umana di chi avverte il silenzio di Dio di fronte alle proprie richieste come una sorta di fredda distanza, di indifferenza o, peggio ancora, di ostilità. Quella mamma infatti non si scoraggia alla risposta di Gesù e si prostra davanti a Lui continuandolo a invocare (Mt 15,25). Ma Gesù a questo appello risponde con peggiore durezza: non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cagnolini (Mt 15,26). E’ la risposta più dura che si possa attendere un pagano. Gli ebrei infatti chiamavano “cani” i pagani.  

Cananea 3
Eppure i cagnolini, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2011

Gesù si comporta da perfetto ebreo ortodosso! Disprezzando (apparentemente) il suo vicino di territorio. Di fronte all’atteggiamento e alle parole di Gesù chiunque avrebbe vacillato. O, quanto meno, si sarebbe fortemente irritato per la mancata accoglienza. Invece questa mamma no. Ed ecco che allora scopriamo qualcosa di nuovo circa la dinamica della fede. Essa infatti è messa spesso alla prova da ripetute disfatte e delusioni, da porte chiuse in faccia e da apparente sordità divina. Le parole della donna hanno qualcosa di combattivo e di geniale (Mt 15,27). Perché se hai fede hai uno spirito combattivo e il genio proprio di chi ama. L’amore ti fa vedere oltre le parole, oltre i silenzi, oltre le resistenze che incontri, oltre ciò che ti appare. L’amore ti dona anche parole nuove, ti da una speranza e una marcia incrollabili. L’amore non ti fa arrendere mai! Quella donna di Canaan è una vera mamma! Una mamma così immedesimata con la sofferenza della figlia che non tiene più in conto quello che può succedere a lei. La vita della figlia è la sua stessa vita! Quante mamme ho incontrato sul mio cammino con un cuore così! La prima è proprio la mia mamma, 76 anni da qualche giorno, ma mi fermo subito altrimenti non la finisco più. Voglio ricordare invece una mamma incontrata in Sardegna anni fa. Il figlio adolescente chiuso, da quando aveva 5 anni, in una macchina di acciaio che l’aiuta a respirare per una malattia progressivamente paralizzante. Ve l’assicuro, guardare quella mamma era come contemplare il cielo: era una liturgia continua vedere come ogni suo movimento si sintonizzasse sul respiro del figlio immobilizzato dentro quell’apparecchio. Poi vorrei raccontarvi di un’altra cananea dei nostri giorni. Un fatto realmente accaduto durante un caldo giorno d’estate, in una località del sud della Florida (U.S.A): un bambino decise di andare a nuotare nella laguna dietro casa sua. Uscì dalla porta posteriore correndo e si gettò in acqua nuotando felice. Sua madre lo guardava dalla casa attraverso la finestra e vide con orrore che un alligatore si stava avvicinando alle spalle del bambino, senza che questi si accorgesse di nulla. Corse subito verso suo figlio gridando più forte che poteva. Sentendola, il bambino si allarmò e nuotò verso sua madre, ma era ormai troppo tardi. La mamma afferrò il bambino per le braccia, proprio quando l’alligatore gli afferrava le gambe. La donna tirava determinata, con tutta la forza del suo cuore. L’alligatore era forte, ma la mamma era molto più determinata… e nessuno dei due mollava la presa! Un uomo sentì le grida, si precipitò sul posto con una pistola e uccise l’alligatore. Il bimbo si salvò e, anche se le sue gambe erano ferite gravemente, poté di nuovo camminare. Durante il ricovero in ospedale, un giornalista domandò al bambino se voleva mostrargli le cicatrici sulle sue gambe. Il bimbo sollevò la coperta e, invece di mostrare le gambe, con grande orgoglio si rimboccò le maniche del pigiama: “quelle che devi vedere sono queste!”- gli disse – mostrando le cicatrici che le unghie della mamma gli avevano lasciato sulle sue braccine. E aggiunse: “queste ce le ho perché la mamma mi ha salvato”. 

Cananea 4
Sua figlia fu guarita, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2011

Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri (Mt 15,28) risponde subito Gesù al genio della cananea. Il Signore è venuto sulla terra per mostrare come la fede si manifesti e si manifesterà ancora in molti che verranno da oriente ed occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8,11). Ma, nello stesso tempo, la fede di questa donna immortalata dal vangelo, ci mostra come bisogna parlare al Signore, come bisogna pregare, come bisogna guardare ai suoi apparenti silenzi. Pietro domenica scorsa, non appena toglie gli occhi da Gesù comincia ad affondare. Questa donna non toglie mai gli occhi dal Signore e, convinta della sua bontà, lotta non per ottenere qualcosa per sé, ma per la figlia. Dobbiamo dunque ringraziare anche questa indomita donna straniera se oggi crediamo che Dio è padre e madre e che a Lui si può gridare, con Lui si può piangere e, perché no?…si può anche lottare, a meno che non gli si voglia imporre i nostri orari, i nostri criteri di bene, le nostre pretese infantili.

Non ti arrendere mai,

 neanche quando la fatica si fa sentire,

 neanche quando il tuo piede inciampa,

 neanche quando i tuoi occhi bruciano,

 neanche quando i tuoi sforzi sono ignorati,

 neanche quando la delusione ti avvilisce,

 neanche quando l’errore ti scoraggia,

 neanche quando il tradimento ti ferisce,

 neanche quando il successo ti abbandona,

 neanche quando l’ingratitudine ti sgomenta,

 neanche quando l’incomprensione ti circonda,

 neanche quando la noia ti atterra,

 neanche quando tutto ha l’aria del niente,

 apri le tue mani, sorridi e…ricomincia!

 Io sono con Te

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El miedo, como realidad no controlable que nos habita, no impide el avance de la fe. Más bien, el evangelio del domingo pasado nos sugiere cómo ella puede ponerse al servicio de la fe. Pero por ella misma, el miedo es realidad que se opone a la fe. En cambio esta última es antídoto y fuerza que mueve a la persona a afrontar y superar cada miedo. La mamá cananea del evangelio de hoy es una de los iconos más lindos en tal sentido.

Una mujer de Canaán que vive en la región de Tiro y Sidón (Mt 15,21-22a). ¿Qué era y qué cosa es hoy Canaán para los hebreos? Los habitantes de Canaán son los enemigos “tradicionales” de Israel; el pueblo elegido los había botado de su territorio por orden divino, los cananeos eran entonces un pueblo de paganismo cruel y salvaje. La mujer viene entonces de un contexto cultural muy turbio. De esta mujer emerge solo una realidad: tiene una hija, aunque si no está presente. La mujer dirige una llamada seca a Jesús: piedad de mí Señor, hijo de David! Mi hija está muy atormentada por un demonio (Mt 15,22b).  El Señor sigue adelante sin dirigirle una palabra  (Mt 15,23a). Ya aquí nos podríamos maravillar: ha tenido compasión de cada ser humano sumergido en el dolor, ¿por qué de esta mamá no ha sentido piedad?  De este punto de vista el Evangelio calla, pero vemos que inmediatamente sus discípulos, acercándose, se comportan como quizás nos hubiéramos comportado también nosotros. Está de hecho que los discípulos dan un consejo al Señor: atiéndela, porque nos persigue con sus gritos  (Mt 15,23b). Puede ser que le dijeron así para obligarlo a atenderla. Pero debo decir que hoy, entre los exégetas, en lugar de atenderla circula una versión que parece sea más correcta: dile que se vaya. Esta mejor traducción ha venido al encuentro a una sensación muy fuerte percibida mientras meditaba el texto. Me parece que los discípulos no se hacen intercesores por esa mamá. Simplemente sugieren al Señor de sacársela de delante aquella fastidiosa voz. ¿No les viene a la mente otros episodios similares en el evangelio? ¿Se acuerdan cuando otra audaz mujer se acercó a Jesús en medio a una muchedumbre logrando a las justas a tocarle el borde de la túnica? Jesús buscaba con la mirada quién lo hubiera tocado, mientras los discípulos intentaban desanimarlo haciéndole observar la cantidad de personas que se apiñaban sobre él. O también aquél hombre ciego al borde del camino de Jericó: se acuerdan cómo este gritaba a Jesús mientras sus seguidores le decían de todo para hacerlo callar? Cierto que nosotros discípulos de Jesús no siempre dirigimos bien el camino de la fe, no hay duda. Para decirlo con el evangelio del domingo pasado, somos hombres de poca fe

Jesús reitera el límite de su misión (Mt 15,24) por el gozo de los discípulos presentes que lo escucharon y de todos aquellos otros que en la historia de la iglesia (¡también hoy!…) quisieran a la iglesia como recinto de los justos, aquellos que quisieran un catolicismo a la propia imagen y semejanza, o sea con confines precisos, una identidad precisa, una historia precisa, un catolicismo que confisque al Señor al servicio de las propias esperas en cambio de presentarlo sobre la longitud de las suyas, como indica también el mismo término griego καθολικός, del cual proviene el término “católico”: universal, o sea para todos, anunciado a todos, ofrecido a todos los hombres que se abren al evangelio. Y entonces ¿por qué Jesús ha tenido aquella expresión? Pongo a parte el fondo interpretativo más amplio que emerge a la luz del final del evangelio de Mateo: o sea la delimitación histórica de la misión que Jesús cumple en los confines de Israel, para luego entregarla y hacerla proseguir a su iglesia enviada a todos los pueblos. Me concentro en cambio sobre la experiencia muy humana de quien advierte el silencio de Dios delante a la hostilidad. Aquella mamá de hecho no se desanima a la respuesta de Jesús y se postra delante de Él continuándolo a invocar (Mt 15,25). Pero Jesús a este llamado responde con peor dureza: No está bien tomar el pan de los hijos, para tirárselo a los perros (Mt 15,26). Es la respuesta más dura que se pueda esperar un pagano. Los hebreos de hecho llamaban “perros” a los paganos.

¡Jesús se comporta como perfecto hebreo ortodoxo! Despreciando (aparentemente) a su vecino de territorio. Delante de la actitud y a las palabras de Jesús cualquiera hubiera vacilado. O, al menos, se hubiera irritado tanto por la falta de acogida. En cambio esta mamá no. He aquí que entonces descubrimos algo de nuevo acerca de la dinámica de la fe. Esta de hecho es puesta muchas veces a la prueba por repetidos fracasos y desilusiones, por puertas cerradas en la cara y de aparente sordera divina. Las palabras de la mujer tienen algo de combatiente y de genial (Mt 15,27). Porque si tienes fe tienes el espíritu combativo y el genio justo de quien ama. El amor te hace ver más allá de las palabras, más allá de los silencios, más allá de las resistencias que encuentras, más allá de lo que se te aparece. El amor te da palabras nuevas, te da una esperanza y una marcha inquebrantable. El amor no te hace rendirte nunca. ¡Aquella mujer de Canaán es una verdadera mamá!  Una mamá así ensimismada con el sufrimiento de la hija que no tiene más en cuenta aquello que puede pasarle a ella. ¡La vida de la hija es su misma vida! ¡Cuántas mamás he encontrado en mi camino con un corazón así! La primera es justamente mi mamá, 76 años desde hace pocos días, pero me detengo inmediatamente sino no acabo más. Deseo recordar en cambio a una mamá encontrada en Cerdeña años atrás. El hijo adolescente cerrado, desde cuando tenía 5 años, en una máquina de acero que lo ayuda a respirar por una enfermedad progresivamente paralizante. Les aseguro, mirar a aquella mamá era como contemplar el cielo: era una liturgia continúa ver como cada movimiento suyo se sintonizara con la respiración del hijo inmovilizado dentro del aparato. Luego quisiera contarles de otra cananea de nuestros días. Un hecho realmente sucedido durante un día caluroso de verano, en una localidad del sur de Florida (U.S.A): un niño decidió ir a nadar en la laguna detrás de su casa. Salió corriendo por la puerta trasera, se tiró en el agua y nadaba feliz. No se daba cuenta de que un cocodrilo se le acercaba Su mama desde la casa miraba por la ventana, y vio con horror lo que sucedía.  Enseguida corrió hacia su hijo gritándole lo más fuerte que podía. Oyéndole, el niño se alarmo y miro nadando hacia su mamá. Pero fue demasiado tarde. Desde el muelle la mamá agarró al niño por sus brazos justo cuando el caimán le agarraba sus piernitas. La mujer jalaba determinada, con toda la fuerza de su corazón. El cocodrilo era más fuerte, pero la mamá era mucho más apasionada y su amor no la abandonaba. Un señor que escuchó los gritos se apresuró hacia el lugar con una pistola y mato al cocodrilo. El niño sobrevivió y, aunque sus piernas sufrieron bastante, aún pudo llegar a caminar. Cuando salió del trauma, un periodista le pregunto al niño si le quería enseñar las cicatrices de sus pies. El niño levantó la colcha y se las mostró. Pero entonces, con gran orgullo se remango las mangas y señalando hacía, las cicatrices en sus brazos le dijo: “Pero las que usted debe ver son estas”. Eran las marcas de las uñas de su mama que habían presionado con fuerza. “Las tengo porque mamá no me soltó y me salvo la vida”. 

Mujer, ¡qué grande es tu fe! Que se cumpla tu deseo (Mt 15,28) responde inmediatamente Jesús al genio de la cananea. El Señor ha venido a la tierra para mostrar como la fe se manifiesta y se manifestará todavía en muchos que vendrán muchos del oriente y del occidente para sentarse a la mesa con Abrahán, Isaac y Jacob en el reino de los cielos (Mt 8,11). Pero, al mismo tiempo, la fe de esta mujer inmortalizada por el evangelio, nos muestra cómo hace falta hablar al Señor, como hace falta rezar, como hace falta mirar sus aparentes silencios. El domingo pasado Pedro, apenas quita la mirada de Jesús comienza a hundirse. Esta mujer no quita nunca los ojos del Señor y, convencida de su bondad, lucha no para obtener para sí misma, sino para la hija. Debemos entonces agradecer también a esta indómita mujer extranjera si hoy creemos que Dios es padre y madre y que a Él se puede gritar, con Él se puede llorar y, ¿por qué no?… se puede también luchar, a menos que no se le quiera imponer nuestros horarios, nuestros criterios de bien, nuestras pretensiones infantiles.

No te rindas nunca,

tampoco cuando la fatiga se hace sentir,

tampoco cuando tu pie tropieza,

tampoco cuando tus ojos queman,

tampoco cuando tus esfuerzos son ignorados,

tampoco cuando la desilusión te deprime,

tampoco cuando el error te desanima,

tampoco cuando la traición te hiere,

tampoco cuando el suceso te abandona,

tampoco cuando el suceso te abandona,

tampoco cuando la ingratitud te duele,

tampoco cuando la incomprensión te circunda,

tampoco cuando el tedio de aterra,

tampoco cuando todo tiene el aire del nada,

abre tus manos, sonríe y… ¡vuelve a comenzar!

Yo estoy contigo