XXVIII DOMENICA DEL T.O.
anno C (2025)
2Re 5,14-17; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
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Il servizio gratuito a Dio, così come chiesto da Gesù nel vangelo di domenica scorsa, è indizio di fede autentica e di una relazione fiduciosa di amore. Il mondo della fede, che è il mondo dell’impossibile, si apre solo a chi si colloca davanti a Dio con questa postura spirituale. Diversamente, l’uomo può ricevere tanto nella sua vita, ma rischia di non accorgersi della bontà divina o addirittura di pensare di avere diritto a quello che si aspetta da essa. Forse il problema di nove tra i dieci lebbrosi era proprio questo. Ma guardiamo il testo con ordine. Gesù cammina verso Gerusalemme, attraversa la Samaria e la Galilea, e si imbatte in un piccolo gruppo di lebbrosi che si fermano correttamente a distanza (come prevedevano le disposizioni della Legge in Israele) per gridare al Signore: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Alla loro vista Gesù risponde subito a quella richiesta ordinando di presentarsi ai sacerdoti. Una risposta che bypassa l’ordine della Legge, perché i lebbrosi, per poter essere reintegrati nella comunità umana, dovevano essere prima sanati e solo successivamente recarsi dai sacerdoti che dovevano verificare l’avvenuta guarigione. Ma quegli uomini obbediscono e, ancora prima di giungere a destinazione, furono purificati. Principio di guarigione è obbedire a Gesù, cioè alla parola di Dio, come avvenne pure per Naaman il Siro (1a lettura) che pure tergiversava ad obbedire. Cosa dobbiamo pensare? Che solo uno si accorse di essere guarito?
Evidentemente il racconto vuole comunicarci qualcosa di più profondo, perché il miracolo di una guarigione è già per sé una grande cosa, ma nel mondo della fede c’è qualcosa di più importante di un miracolo. Ed è proprio il centro del vangelo di oggi, così come ce lo presenta Luca. Non possiamo pensare che nove lebbrosi non si resero conto di essere stati esauditi nella propria preghiera. Solo uno però, ci dice il vangelo, tornò indietro lodando Dio a gran voce. Cioè solo uno riconduce a Gesù e alla sua parola l’origine della meraviglia di essere stato guarito e quindi lo vuole vedere, rientra, lo raggiunge e si prostra davanti a Lui. Soltanto uno sente il bisogno di ringraziarlo, di guardarlo negli occhi, di stabilire una relazione personale con Gesù. È come se silenziosamente il testo ci volesse rivelare, per contrasto, un’infermità spirituale presente negli altri nove peggiore della lebbra che prima li affliggeva. Pensare di essere con Dio perché si è in buona salute. Pensare di essere salvi perché si è riconquistata la salute. Pensare davvero che “la prima cosa è la salute”. Pensare che ci possa essere qualcosa di più importante nella vita di rendere gloria al Signore con la propria vita. Pensare di essere entrati nel mondo della fede solo perché si è visto un miracolo o perché si appartiene “ufficialmente” al popolo della fede.
Il testo ci rivela che nove su dieci uomini rendono vani i miracoli o le tante grazie che Dio dona per salvarci. Percentuale davvero scoraggiante. E sembra che generalmente questa realtà diventi più palese quando ci si presenti un estraneo, uno straniero, qui rappresentato dal samaritano, che si manifesta invece felice e grato per quello che ha ricevuto. Ancora una volta quest’anno, recandoci in missione, abbiamo portato doni in mezzo a gente che non ci potrà mai ricambiare. In mezzo a gente che nemmeno frequenta la chiesa. Eppure al ricevere quello che abbiamo potuto donare (che non era tanto), più volte li abbiamo uditi lodare e ringraziare Dio a gran voce per i benefici ricevuti. Una vera e propria lezione di fede da chi apparentemente la fede non la coltiva più di tanto. La parola finale di Gesù è dunque di capitale importanza: alzati e va, la tua fede ti ha salvato! Guariti in dieci, ma in salvo solo uno. La finalità del miracolo è raggiunta soltanto da uno di essi. Il che significa che nella vita si può ricevere un miracolo senza entrare nel mondo della fede e addirittura non salvarsi! Non inquieta un po’quanto ci dice il vangelo? E ricordate quel vangelo che dice molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Il vangelo abbonda di pagine inquietanti, ma benedetta l’inquietudine che ci genera per riavvicinarci alla salvezza. Riassumo in conclusione: salute non è sinonimo di salvezza. La salvezza non coincide necessariamente con la guarigione, anzi, è vero che per molti la malferma salute è stata occasione di conversione e conoscenza di Dio. Quello che converte davvero l’uomo non sono i miracoli, per quanto spettacolari, ma l’esperienza di sentirsi amati. Amore e fede vera si trovano spesso altrove. Il lebbroso samaritano ha capito cosa significava la sua guarigione, si è convertito (tornato indietro) e ha incontrato perciò Dio. E lo ha glorificato, perché la Gloria di Dio è manifestare il suo amore in questo mondo.
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¿PARA QUÉ SIRVE LA SALUD?
El servicio gratuito a Dios, tal como lo pide Jesús en el evangelio del domingo pasado, es indicio de fe auténtica y de una relación confiada de amor. El mundo de la fe, que es el mundo de lo imposible, se abre solo a quien se sitúa ante Dios con esta postura espiritual. De otra manera, el hombre puede recibir mucho en su vida, pero corre el riesgo de no darse cuenta de la bondad divina o incluso pensar que tiene derecho a lo que espera de ella. Quizás el problema de nueve de los diez leprosos era precisamente esto. Pero miremos el texto en orden. Jesús camina hacia Jerusalén, atraviesa Samaria y Galilea, y se encuentra con un pequeño grupo de leprosos que se detienen correctamente a distancia (como lo preveían las disposiciones de la Ley en Israel) para clamar al Señor: ¡Jesús, maestro, ten piedad de nosotros! A su vista Jesús responde inmediatamente a esa petición ordenando presentarse a los sacerdotes. Una respuesta que pasa por alto el orden de la Ley, porque los leprosos, para poder ser reintegrados en la comunidad humana, debían ser sanados primero y solo después acudir a los sacerdotes que tenían que verificar la curación. Pero esos hombres obedecen e, incluso antes de llegar a su destino, fueron purificados. Principio de sanación es obedecer a Jesús, es decir a la Palabra de Dios, como sucedió también para Naamán el Sirio (1a lectura) que también vacilaba en obedecer. ¿Qué debemos pensar? ¿Que solo uno se dio cuenta de que estaba curado?
Evidentemente el relato quiere comunicarnos algo más profundo, porque el milagro de una curación es ya en sí mismo una gran cosa, pero en el mundo de la fe hay algo más importante que un milagro. Y es precisamente el centro del evangelio de hoy, tal como nos lo presenta Lucas. No podemos pensar que nueve leprosos no se dieron cuenta de haber sido escuchados en su oración. Pero solo uno, nos dice el evangelio, volvió alabando a Dios en voz alta. Es decir, solo uno conduce a Jesús y a su palabra el origen de la maravilla de haber sido curado y luego quiere verlo, regresa, lo alcanza y se postra ante él. Solo uno siente la necesidad de agradecerle, de mirarle a los ojos, de establecer una relación personal con Jesús. Es como si silenciosamente el texto nos quisiera revelar, por contraste, una enfermedad espiritual presente en los otros nueve peores que la lepra que les afligía antes. Pensar que estás con Dios porque estás en buena salud. Pensar que estás a salvo porque has recuperado la salud. Pensar realmente que “lo primero es la salud”. Pensar que puede haber algo más importante en la vida que dar gloria al Señor con la propia vida. Pensar que has entrado en el mundo de la fe solo porque has visto un milagro o porque perteneces “oficialmente” al pueblo de la fe.
El texto nos revela que nueve de diez hombres vuelven vanos los milagros, las muchas gracias que Dios da para salvarnos. Porcentaje realmente desalentador. Y parece que generalmente esta realidad se hace más evidente cuando se nos presenta un extraño, un extranjero, aquí representado por el samaritano, que se manifiesta en cambio feliz y agradecido por lo que ha recibido. Una vez más este año, al ir a la misión, hemos llevado regalos en medio de la gente, personas que nunca podrán intercambiar el regalo. En medio de gente que ni siquiera va a la iglesia. Sin embargo, al recibir lo que podíamos dar (que no era tanto), muchas veces les oímos alabar y agradecer a Dios en voz alta por los beneficios recibidos. Una verdadera lección de fe por quien aparentemente no la cultiva mucho. La palabra final de Jesús es, pues, de capital importancia: ¡levántate y ve, tu fe te ha salvado! Sanados en diez, pero en salvo solo uno. La finalidad del milagro es alcanzada solo por uno de ellos. Lo que significa que en la vida se puede recibir un milagro sin entrar en el mundo de la fe e incluso no salvarse! ¿No nos inquieta un poco lo que nos dice el evangelio? Acuérdate del evangelio que dice que muchos me dirán en aquel día: Señor, Señor, ¿no profetizamos en tu nombre y expulsamos demonios en tu nombre y realizamos muchas maravillas en tu nombre? Pero yo les declararé: Nunca los he conocido; apártense de mí, ustedes que obran en iniquidad. El evangelio abunda en páginas inquietantes, pero bendita es la inquietud que nos genera para acercarnos de nuevo a la salvación. En resumen: la salud no es sinónimo de salvación. La salvación no coincide necesariamente con la curación, es más, es cierto que para muchos la mala salud ha sido ocasión de conversión y conocimiento de Dios. Lo que realmente convierte al hombre no son los milagros, por espectaculares que sean, sino la experiencia de sentirse amado. El amor y la fe verdadera se encuentran a menudo en otra parte. El leproso samaritano comprendió lo que significaba su curación, se convirtió (regresó) y encontró a Dios. Y lo glorificó, porque la Gloria de Dios es manifestar su amor en este mundo.
