XVIII DOMENICA DEL T.O.
anno C (2019)
Qo 1,2.2,21-23; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21
Uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
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Quest’anno in Terra Santa abbiamo avuto un incontro a sorpresa. Abbiamo potuto scambiare due chiacchiere con Mons. Pierbattista Pizzaballa, arcivescovo e patriarca latino di Gerusalemme. Un uomo davvero semplice, figlio di S. Francesco in tanti sensi. A chi gli ha domandato circa le complesse problematiche delle relazioni tra ebrei, arabi e cristiani, ha risposto sempre con coscienziosa penetrazione della realtà. Ma quanto al modo di vivere di costoro a Gerusalemme vecchia, ha tolto dalla nostra testa stereotipi abbastanza diffusi. “Non è che qui le cose fra loro siano molto diverse da altri luoghi della terra” – ci ha detto. “Tutto sommato, anche qui c’è sempre una grande, ingiusta disparità tra ricchi e poveri da rilevare, ebrei, arabi o cristiani che siano…” E ha aggiunto: “non dimentichiamoci che, per coloro che possiedono molto, i beni non saranno mai abbastanza”. Quest’ultima affermazione è la cornice più adeguata a spiegare il ragionamento dell’uomo stolto nella parabola. E smaschera l’inganno pericoloso che si cela dietro l’amore smodato dei beni terreni.

A parte il fatto che, leggendo combinatamente Qoèlet e S.Paolo (rispettivamente nella 1 e 2 lettura), riceviamo subito l’invito a non fermare il nostro sguardo sulle cose della terra, ma a considerarle per quello che sono; la parabola viene raccontata da Gesù quale salutare ammonimento mosso dalla domanda di uno della folla, il quale vorrebbe che si schierasse a sua difesa comandando al fratello la spartizione dell’eredità (Lc 12,13). Il Signore però si sottrae subito a una simile istanza: con la sua secca risposta, chiarisce che in litigi e divisioni per questioni di eredità umane Lui non avrà mai parte! (Lc 12,14) La richiesta gli dà tuttavia l’occasione per avvertire tutti: fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia (Lc 12,15). Ed è a questo punto che Gesù, ancora una volta, racconta una semplice parabola per stanare lo “sragionamento” nascosto nei pensieri dell’uomo che ama le ricchezze più di Dio e i fratelli.
L’avvio è dato da un’eccezionale annata della propria campagna (Lc 12,16). In questa scarna apertura, c’è già contenuto tutto il prosieguo della breve parabola: quell’uomo sembra non conoscere affatto l’amore del Padre. Se lo avesse conosciuto, si sarebbe sentita un’altra musica. Per quell’abbondanza avrebbe prima di tutto ringraziato Dio. E se fosse fiorita la gratitudine, avrebbe sentito subito il bisogno di condividere tale eccesso di risorse. Invece niente. Tutto quanto egli dice, nel suo pensare tra sé, indica che non ha come centro e riferimento il Padre. Al centro c’è solo lui con i suoi bisogni. Il suo progettare parte da lì e finisce lì. Notate nel ragionamento la presenza dell’aggettivo possessivo “miei” che diventa poi “mia” quando invita l’anima a godere di quanto ha accumulato. L’esito del pensiero sul proprio futuro, del progetto con tutti i suoi calcoli, è segnato: non ha rivolto la sua domanda “che farò?” al Padre, ha pensato un futuro senza di Lui, dunque costui è l’uomo stolto che non costruisce la sua casa sulla roccia, ma sulla sabbia (cfr. Mt 7,26).
Non può che essere così. Chi vive dimenticandosi di Dio o, peggio ancora, come se Dio non esistesse, finisce prima o poi per dimenticarsi della vita degli altri, finisce per non accorgersi nemmeno di chi gli vive accanto soffrendo. Luca “dipingerà” ancor meglio i tratti di uno uomo così nella celebre parabola del ricco Epulone (Lc 16,19-31). La cosa tristissima è che, alla fine, proprio quella realtà augurata nei verbi della esortazione finale, riposati, mangia, bevi, divertiti, (Lc 12,19) viene meno in chi ha progettato la vita sul proprio egoismo, anche prima della morte! Conosco delle persone ricche che sanno ancora condividere, ma ne conosco molte di più, chiuse nel loro mondo, che cercano spasmodicamente di allungare i propri anni, senza preoccuparsi minimamente di soccorrere, con le loro immense ricchezze, le sofferenze dei poveri. Alla lunga, costoro non possono riposare veramente, né godere in serenità di quanto si ritrovano tra le loro mani: la brama di avere di più li domina, perché per loro i beni non saranno mai abbastanza. Avere di più è un cibo che non sazia mai e non ti fa dormire!
Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio (Lc 12,21). Cioè, per chi vive accumulando, avviene un brusco risveglio all’avvicinarsi della morte. Pensava di poter decidere non solo dei propri beni, ma anche del tempo a disposizione: hai a disposizione molti beni per molti anni (Lc 12,19). Ma le nostre ore sono contate da un orologio che noi non possiamo affatto regolare! Il giudizio di Dio è limpido (Lc 12,20): chi vive così è uno stolto, uno che ha perso l’intelligenza per l’insaziabile brama di possesso, propria di chi pone la sua sicurezza nelle ricchezze. Come afferma perentoriamente anche il salmo: l’uomo nella prosperità non capisce, è come gli animali che periscono (Sal 49,13). C’è invece un modo di vivere da credente che esclude il verbo “accumulare” e fa arricchire davanti a Dio. Accumulare infatti, non è un verbo divino. Dare, donare, amare, condividere, sì. Dio è dispensatore di doni. Chi crede in Lui, cerca di vivere da figlio suo, facendosi erogatore di quanto riceve in dono. Qui trova la sua vera ricchezza, l’unica eredità per la quale non verrà mai a contesa con i fratelli. Ma lo vedremo meglio nel vangelo di domenica prossima, pagina in cui il Signore proseguirà questo insegnamento.
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¿ACUMULADORES O PROVEEDORES DE BIENES?
Este año en la Tierra Santa hemos tenido un encuentro sorpresa. Hemos podido intercambiar dos palabras con Mons. Pierbattista Pizzaballa, arzobispo y patriarca latino de Jerusalén. Un hombre de verdad sencillo, hijo de S. Francisco en tantos sentidos. A respondido siempre con concienzuda profundidad de la realidad a quien le ha preguntado acerca de los complejos problemas de las relaciones entre hebreros, árabes y cristianos. Pero en cuanto al modo de vivir de ellos en la vieja Jerusalén, ha quitado de nuestra cabeza estereotipos bastante difundidos. “No es que aquí las cosas entre ellos sea muy diferente de otros lugares de la tierra” – nos ha dicho. “Al final, hay que reconocer que también aquí hay siempre una grande, injusta desigualdad entre ricos y pobres, ya sean hebreos, árabes o cristianos…” Y agregó: “no nos olvidemos que, para aquellos que poseen mucho, los bienes no serán nunca suficiente”. Esta última afirmación es el cuadro más adecuado para explicar el razonamiento del hombre insensato en la parábola. Y desenmascara el engaño peligroso que se encierra detrás del amor desmesurado de los bienes terrenos.
A parte del hecho que, leyendo en combinación a Qoelet y S. Pablo (respectivamente en la 1 y 2 lectura), recibimos inmediatamente la invitación a no detener nuestra mirada en las cosas de la tierra, sino en considerarlas por lo que son; la parábola viene narrada por Jesús como saludable amonestación movida por la pregunta de uno de la gente, el cual quisiera que se ponga en defensa suya ordenando al hermano la división de la herencia (Lc 12,13). Pero el Señor se sustrae inmediatamente a una similar instancia: con su respuesta seca, aclara que en litigios y división por cuestiones de herencias humanas ¡Él no tendrá nunca posición! (Lc 12,14) El pedido le da además la ocasión para advertir a todos: Miren: guárdense de toda clase de codicia (Lc 12,15). Y es a este punto que Jesús, una vez más, narra una sencilla parábola para descubrir el “no razonamiento” escondido en el pensamiento del hombre que ama las riquezas más que a Dios y a los hermanos.
El inicio está dado por una excepcional cosecha del propio campo (Lc 12,16). En esta corta apertura, contiene todo el procedimiento de la breve parábola: aquél hombre parece no conocer de hecho el amor del Padre. Si lo hubiera conocido, se hubiera escuchado otra música. Por aquella abundancia hubiera antes de todo agradecido a Dios. Y si hubiera florecido la gratitud, hubiera escuchado inmediatamente la necesidad de compartir tal exceso de recursos. En cambio nada. Todo cuanto él dice, en su pensar entre sí, indica que no tiene como centro y referencia al Padre. Al centro está solo él con sus necesidades. El proyectarse parte desde allí y termina allí. Noten en el razonamiento la presencia del adjetivo posesivo “mis” que se vuelve luego “mío” cuando invita a su alma a gozar de todo lo acumulado. El éxito del pensamiento sobre el propio futuro, del proyecto con todos sus cálculos, está marcado: no ha dirigido su pregunta “¿qué haré?” al Padre, ha pensado un futuro sin Él, entonces este es el hombre insensato que no construye su casa sobre la roca, sino sobre la arena (cfr. Mt 7,26).
No puede ser de otra manera. Quien vive olvidándose de Dios o, peor todavía, como si Dios no existiera, termina antes o después por olvidarse de la vida de los demás, termina por no darse cuenta ni siquiera de quien está sufriendo a su lado. Lucas “pintará” todavía mejor los rasgos de un hombre así en la célebre parábola del rico Epulón (Lc 16,19-31). Lo más triste es que, al final, justamente esa realidad deseada en los verbos de la exhortación final, descansa, come, toma, diviértete, (Lc 12,19) falta en quien ha proyectado su vida en el propio egoísmo, ¡también antes de la muerte! Conozco a personas ricas que saben todavía compartir, pero conozco muchas más, encerradas en su mundo, que buscan espasmódicamente en alargar los propios años, sin preocuparse mínimamente en socorrer, con sus inmensas riquezas, los sufrimientos de los pobres. A la larga, estos no pueden descansar verdaderamente, ni gozar con serenidad de cuanto tienen entre sus manos: el ansia de tener más los domina, porque para ellos los bienes nunca son suficientes. ¡Tener más es un alimento que no sacia nunca y no te hace dormir!
Así es de quien acumula tesoros para sí y no se enriquece delante de Dios (Lc 12,21). O sea, para quien vive acumulando, sucede un brusco despertar al acercarse la muerte. Pensaba poder decidir no solo de los propios bienes, sino también del tiempo a su disposición: tienes a disposición muchos bienes por muchos años (Lc 12,19). ¡Pero nuestras horas están contadas por un reloj que nosotros no podemos de hecho regular! El juicio de Dios es límpido (Lc 12,20): quien vive así es un insensato, uno que ha perdido la inteligencia por la insaciable ansia de poseso justamente de quien pone su seguridad en las riquezas. Como afirma perentoriamente también el salmo: el hombre en la prosperidad no entiende, es como los animales que perecen (Sal 49,13). Hay en cambio un modo de vivir como creyente, que excluye el verbo “acumular” y hace enriquecer delante de Dios. Acumular de hecho, no es un verbo divino. Dar, donar, amar, compartir, sí. Dios es dispensador de dones. Quien cree en Él, busca vivir como hijo suyo, haciéndose regulador de lo que recibe como don. Aquí encuentra su verdadera riqueza, la única herencia por la cual no llegará nunca en contienda con los hermanos. Pero lo veremos mejor en el evangelio del próximo domingo, página en la cual el Señor continuará con esta enseñanza.