Pubblicato in: Commento alle Scritture, Predicazione, Servizio della Parola

DIGNITÀ E IDENTITÀ DEL DISCEPOLO

XIII DOMENICA DEL T.O.

anno A (2023)

2Re 4,8-11.14-16a; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42

Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

_________________________

Dopo aver ascoltato domenica scorsa gli ordini (non optionals) di Gesù ai suoi primi discepoli, ci ritroviamo oggi al cuore di tutto il discorso che si estende nei capitoli 10-12 del vangelo di Matteo. Tutte le istruzioni di Gesù si possono comprendere solo se l’amore per Lui viene prima di ogni altro amore. La questione del discepolato sta tutta qui. O Gesù è colui al quale si dà il primato nell’amore, oppure non è il Dio in cui dico di credere. Credere e amare non sono verbi separabili. Se mia madre, mio padre, mio figlio o altra persona catalizza maggiormente il mio amore, sono un idolatra come altri: cioè, il mio Dio sarà mio padre, mia madre, mio figlio o un’altra persona. Che ne dite? Non è forse così? Come è facile essere idolatri! A chi si deve, nella vita, il primato su tutto e tutti? Non è degno di me è un ritornello che ricorre ben 3 volte in un solo versetto (Mt 10,37). Non che uno possa essere degno del Signore per sé stesso, ovvero per il fatto che voglia amare Gesù sopra tutto e tutti. Allora, chi è il suo vero discepolo? È uno che il Signore stesso rende degno di Lui. È uno che prende la propria croce e lo segue (Mt 10,38). Si tratta di qualcuno che il male della sua vita non lo scarica sugli altri, ma sta imparando a portarlo, anche perché riconosce di esserne un artefice. Nell’espressione la propria croce possiamo racchiudere l’esperienza del male ricevuto o fatto in prima persona. La cosa non cambia, perché il male lo si porta, mai lo si ricambia. Siamo tutti in qualche modo complici del male che c’è nel mondo. Si impara a prendere la propria croce se si segue Gesù, non se si vuole far di Lui un “follower”. Lui è il Maestro che ci insegna a vincere il male portandolo su di sé. Ma non costringe nessuno a seguirlo.

Indurì il suo volto

Infatti, che tipo di Maestro è il Signore Gesù? Cosa impariamo da Lui sulla nostra vita? Che essa non va trattenuta, la vita che abbiamo ricevuto in dono non la si deve conservare, ma regalare. Se uno vuol salvare a tutti i costi (soprattutto facendola pagare agli altri! …) la propria vita, non ha capito un bel niente di essa, è ancora preda di quel grande imbroglione che è il diavolo. È schiavo della paura di perderla, mentre è proprio perdendola a causa di Gesù che uno la trova! (Mt 10,39) Una possibile chiave di volta sta in questa considerazione: o Gesù è un impostore in quel che dice, o lo è satana, il principe di questo mondo. Non si può rimanere neutrali davanti alla parola del Signore. Chi non vuol decidere ha comunque deciso. Il discepolo è colui che ha preso la sua decisione e si gioca la sua vita sulla parola di Gesù. Dunque chi vive per sé stesso sembra un vincente, invece è un perdente. Chi vive per Gesù risulterà un perdente in questo mondo, in realtà è un vincente. Il mistero della vita si dipana tra qualcosa che passa e muore e qualcosa che invece non passa perché risorge: se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2Cor 5,17). Queste parole di Paolo rivelano l’unità “ontologica” che si stabilisce tra discepolo e Maestro. Al punto da far chiarire al Maestro che accogliere i suoi discepoli significa accogliere Lui. E qualunque gesto di accoglienza (anche solo un bicchiere d’acqua) riservato a uno di questi piccoli perché è un discepolo avrà sempre una conseguenza, ovvero una ricompensa (Mt 10,40-42). Il discepolo sarà riconosciuto, nell’accoglienza, per alcune qualità della sua persona: perché è profeta, perché lo si crede giusto, ma soprattutto perché è piccolo. Insomma alla lunga, chi comincia ad assomigliare a Gesù lo si può riconoscere. Se lo si accoglie come tale, si fa esperienza della fedeltà delle promesse del Maestro. Parafrasando un altro celebre passo della Bibbia potremmo dire: “chi trova un discepolo del Signore, trova un tesoro”.

*****************

DIGNIDAD E IDENTIDAD DEL DISCIPULO

Después de haber escuchado el domingo pasado las órdenes (no opcionales) de Jesús a sus primeros discípulos, nos encontramos hoy en el corazón de todo el discurso que se extiende en los capítulos 10-12 del evangelio de Mateo. Todas las instrucciones de Jesús se pueden comprender solo si el amor por Él viene antes de cada otro amor. La cuestión del discipulado está todo aquí.  O Jesús es aquél al cual se le da el primado en el amor, o no es el Dios en el que digo que creo. Creer y amar no son verbos separables. Si mi madre, mi padre, mi hijo u otra persona cataliza mayormente mi amor, soy un idolatra como otros: o sea, mi Dios será mi padre, mi madre, mi hijo u otra persona. ¿Qué dicen? ¿Acaso no es así? ¡Cómo es fácil ser idolatras! ¿A quién se debe, en la vida, el primado sobre todo y todos? No es digno de mí es un corito che se repite 3 veces en un solo versículo (Mt 10,37). No que uno pueda ser digno del Señor por sí mismo, o por el hecho que quiera amar a Jesús sobre todo y todos. Entonces,  ¿Quién es su verdadero discípulo? Es uno que el Señor mismo rinde digno de Él. Es uno que toma la propria cruz y lo sigue (Mt 10,38). Se trata de alguien que el mal de la propria vida no lo descarga sobre los demás, pero está aprendiendo a llevarlo, también porque reconoce ser un artífice. En la expresión la propia  cruz podemos encerrar la experiencia del mal recibido o hecho en primera persona. La cosa no cambia, porque el mal se lleva, nunca se devuelve. Somos todos de alguna manera cómplices del mal que hay en el mundo. Se aprende a tomar la propia cruz si se sigue a Jesús,  no si se quiere hacer de Él un “follower”. Él es el Maestro que nos enseña a vencer el mal llevandolo sobre sí. Pero no obliga a nadie a seguirlo.

De hecho, ¿qué tipo de Maestro es el Señor Jesús? ¿Qué aprendemos de Él en nuestras vidas? Que esta no va retenida, la vida que hemos recibido como don no se deve conservar, sino regalar.  Si uno quiere salvar a toda costa (¡sobretodo haciéndola pagar a los demás!…) la propria vida, no ha entendido nada de ella, es aún presa de ese gran mentiroso que es el diablo.  Es esclavo del miedo de perderla, mientras es justamente ¡perdiendola a causa de Jesús que uno la encuentra! (Mt 10,39) Una posible clave de tiempo está en esta consideración: o Jesús es un impostor en lo que dice, o lo es satanás,  el príncipe de este mundo. No se puede ser neutrales frente a la palabra del Señor.  Quien no quiere decidirse ha decidido de todos modos. El discípulo es aquél que ha tomado su decisión y pone en juego su vida en la Palabra de Jesús. Así que quien vive para sí mismo parece un ganador,  en cambio es un perdedor.  Quien vive para Jesús resultará un perdedor en este mundo, en realidad es un ganador. El misterio de la vida se desarrolla entre algo que pasa y muere y algo que en cambio no pasa porque resurge: por tanto, el que está en Cristo,  es una nueva creación; pasólo viejo, todo es nuevo (2Cor 5,17). Estas palabras de Pablo revelan la unidad “ontológica” que se establece entre discípulo y Maestro.  Al punto de hacer que el Maestro aclare, que acoger a sus discípulos significa acoger a Él.  Y cualquier gesto de acogida (también solo un vaso de agua) reservado a uno de estos pequeños porque es un discípulo  tendrá siempre una consecuencia, o una recompensa (Mt 10,40-42). El discípulo será reconocido, en la acogida, por algunas cualidades de su persona: porque es profeta, porque se le cree justo, pero sobretodo porque es pequeño.  Quiero decir a la larga, quien comienza a parecerse a Jesús se le puede reconocer. Si se le acoge como tal, se hace experiencia de la fidelidad de las promesas del Maestro. Parafraseando otro célebre texto de la Biblia podemos decir: “quien encuentra a un discípulo del Señor,  encuentra un tesoro”.