3a DOMENICA DI AVVENTO
anno B (2020)
Is 61,1-2.10-11; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
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La terza domenica d’Avvento invita alla gioia, poiché si avvicina il grande giorno: la Luce del mondo si presenta nella carne di un inerme bambino. Giovanni Battista e la sua testimonianza sono necessari per non travisare il senso di questa gioia. Il suo ministero dovette creare un particolare clima di attesa che destò non poca preoccupazione a Gerusalemme. Per questo inviarono emissari qualificati ad interrogarlo (Gv 1,19). Una cosa molto curiosa: l’evangelista Giovanni annota che il Battista confessò e non negò (Gv 1,20). Eppure, davanti alle 3 interrogazioni sulla propria identità, la sua confessione si traduce in una triplice negazione. Come se il vangelo ci suggerisse che testimone autentico non è colui che si presenta da sé, ma è l’uomo che, prima di tutto, sa bene chi non è.
A questo proposito, un breve cenno su uno dei primi testimoni della fede che ha toccato la mia vita: p.Emiliano Tardif. Personaggio pubblico conosciutissimo a causa del carisma di guarigione che accompagnava il suo ministero sacerdotale, alle ripetute interrogazioni di ecclesiastici, laici e giornalisti, p.Emiliano non si sottraeva mai. E mai gli si riusciva a strappare dalla bocca che i prodigi avvenuti durante le sue predicazioni li avesse in qualche modo realizzati lui. “Non sono io che opero, è Gesù che continua a passare e guarire in mezzo al suo popolo” – ripeteva sempre, aggiungendo poi spesso: “io sono solo l’asinello che porta Gesù dove vuole”. Un’immagine che non ho più dimenticato e che spiritualmente mi ha portato a coltivare lo stesso desiderio.
Giovanni nega di essere il tanto atteso Messia, nega di essere Elia che, secondo il comune senso religioso di Israele, sarebbe dovuto ritornare in vita prima del suo arrivo; nega addirittura di essere profeta, quando un popolo intero accorreva da lui nel deserto perché convinto che lo fosse. Ecco cosa ci indica sulla gioia la testimonianza del Battista. Non si entra nella gioia vera se si è preoccupati della propria immagine, se si cerca consenso tra gli uomini, se si cerca e si promuove la propria carriera, se si cerca di costruire il proprio progetto; in una parola, se si cerca e si mette al centro sé stessi. Paradossale verità: chi cammina così finisce nella vita per non sapere più chi sia. La propria identità, uno non se la può né dare, né dire da sé stesso.
Che cosa dici di te stesso? (Gv 1,22). Comunque Giovanni dà la sua risposta. Egli è rivelazione di Chi dona la vera identità all’uomo. La sua risposta all’incalzante domanda degli emissari di Gerusalemme rimanda sempre a Dio e alla vocazione/missione donatagli. E questo manifesta che unica occupazione di Giovanni fosse solo di essere quello per cui era venuto al mondo. Cioè uomo concentrato a vivere quella missione che sentiva bruciargli nel cuore: essere voce di una parola non sua, essere disponibile a un progetto più grande del suo, essere al servizio di un popolo da preparare per accogliere Qualcuno più grande di lui (Gv 1,27). Qualcuno già presente, ma che voi non conoscete (Gv 1,26). Il cammino per giungere alla gioia non può essere che quello di accogliere Dio nella storia che sta scrivendo con e in me. Come ricorda Papa Francesco nella prima esortazione apostolica sulla gioia: la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere, se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n.273)
In conclusione: vuoi entrare nella gioia di Dio, la gioia vera, quella che non delude? Occupati e prenditi cura della tua vocazione/missione. Alla lunga, il ritrovarsi amati e al servizio di un disegno più grande di noi stessi, farà entrare nella gioia stessa di Dio, nel mistero stesso della vita. Giovanni comprese che la gioia si compie nello scoprire di essere presenti e preziosi in tale disegno, ma anche nella prontezza a farsi da parte. Per questo poté dire, come ultima testimonianza: chi possiede la sposa è lo Sposo; ma l’amico dello Sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello Sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire (Gv 3,29-30). Solo l’esperienza dell’amore di Dio e la nostra risposta a questo amore può farci dire chi siamo, qual è la nostra vera identità.
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ESTAR EN EL GOZO=SER UNO MISMO
El tercer domingo de Adviento invita al gozo, porque se acerca el gran día: la Luz del mundo se presenta en la carne de un inerme niño. Juan Bautista y su testimonio son necesarios para no tergiversar el sentido de esta alegría. Su ministerio debió crear un particular clima de espera que suscitó no poca preocupación a Jerusalén. Por esto enviaron emisarios calificados para interrogarlo (Jn 1,19). Una cosa muy curiosa: el evangelista Juan anota que el Bautista confesó y no negó (Jn 1,20). Y, sin embargo, delante de las 3 interrogaciones sobre la propia identidad, su confesión se traduce en una triple negación. Como si el evangelio nos sugiriera que el testigo auténtico no es aquél que se presenta por sí solo, sino es el hombre que, antes que nada, sabe bien quién no es.
A este propósito, un breve gesto sobre uno de los primeros testigos de la fe que ha tocado mi vida: p. Emiliano Tardif. Personaje público conocidísimo por causa del carisma de sanación que acompañaba su ministerio sacerdotal, a las repetidas preguntas de eclesiásticos, laicos y periodistas, p. Emiliano no se sustraía nunca. Y nunca se lograba a sacarle de la boca otra cosa que no sea los prodigios ocurridos durante sus predicaciones las hubiera de alguna manera realizadas él. “No soy yo que obro, es Jesús que continúa a pasar y sanar en medio de su pueblo” – repetía siempre, agregando luego muchas veces: “yo soy solo el burro que lleva a Jesús donde quiere”. Una imagen que nunca más lo he olvidado y que espiritualmente me ha llevado a cultivar el mismo deseo.
Juan niega ser el tan esperado Mesías, niega ser Elías que, según el común sentido religioso de Israel, hubiera debido regresar en vida antes de su llegada; niega además ser profeta, cuando un pueblo entero acudía donde él en el desierto porque estaba convencido que lo fuera. He aquí entonces lo que nos indica sobre el gozo el testimonio del Bautista. No se entra en el gozo verdadero si se está preocupados de la propia imagen, si se busca consentimientos entre los hombres, si se busca y se promueve la propia carrera, si se busca construir el propio proyecto; en una palabra, si se busca y se pone al centro a uno mismo. Paradojal verdad: quien camina así termina en la vida por no saber más quién es. La propia identidad, uno no se la puede dar, ni decir por sí mismo.
¿Qué dices de ti mismo? (Jn 1,22). Sin embargo, Juan da su respuesta. Él es revelación de Quien dona la verdadera identidad al hombre. Su respuesta a la insistente pregunta de los emisarios de Jerusalén remite siempre a Dios y a la vocación/misión que le fue donada. Y esto manifiesta que la única ocupación de Juan era solo ser aquello por el cual había venido al mundo. O sea, hombre concentrado a vivir aquella misión que sentía quemarle en el corazón: ser voz de una palabra no suya, estar disponible a un proyecto más grande del suyo, estar al servicio de un pueblo al cual preparar para acoger a Alguien más grande que él (Jn 1,27). Alguien ya presente, pero que ustedes no conocen (Jn 1, 26). El camino para alcanzar el gozo no puede ser otro que acoger a Dios en la historia que está escribiendo con y en mí. Como recuerda el Papa Francisco en la primera exhortación apostólica sobre la alegría: la misión al corazón del pueblo no es una parte de mi vida, o un adorno que me puedo quitar, no es un apéndice, o un momento entre los tantos de la existencia. Es algo que no puedo erradicar de mi ser, si no quiero destruirme. Yo soy una misión sobre esta tierra, y por esto me encuentro en este mundo (Papa Francisco, Evangelii Gaudium, n273)
En conclusión: ¿quieres entrar en la alegría de Dios, el gozo verdadero, aquella que no decepciona? ocúpate y tomate cura de tu vocación/misión. A la larga, el encontrarnos amados y al servicio de un proyecto más grande de nosotros mismos, hará entrar en el gozo mismo de Dios, en el misterio mismo de la vida. Juan comprendió que el gozo se cumple en el descubrir de estar presentes y ser importantes en tal proyecto, pero también en la prontitud a ponerse en desparte. Por esto pudo decir, como último testimonio: El que tiene a la novia es el novio; pero el amigo del novio, el que asiste y le oye, se alegra mucho con la voz del novio. Esta es, pues, mi alegría, que ha alcanzado su plenitud. Es preciso que él crezca y que yo disminuya (Jn 3,29-30). Solo la experiencia del amor de Dios y nuestra respuesta a este amor puede hacernos decir quiénes somos, cuál es nuestra verdadera identidad.