Pubblicato in: Commento alle Scritture, Predicazione, Servizio della Parola

IL CORAGGIO DI AVERE PAURA

XII DOMENICA DEL T.O.

anno B (2024)

Gb 38,1.8-11; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41

 

In quello stesso giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

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Secondo Marco evangelista, il giorno stesso in cui diede una lezione parabolica sul Regno dei Cieli in terra, lezione che serviva a istruire i discepoli su parecchie cose della fede, Gesù ordina di passare all’altra riva (Mc 4,35). Dunque da questo comando veniamo a sapere che Egli si trovava con i suoi e con la folla in riva al mare di Galilea. Dopo aver letto per l’ennesima volta il celebre episodio della tempesta che si scatena sul lago di Tiberiade, e rammentando le parole di Gesù di domenica scorsa, mi verrebbe subito da aggiungere il famoso detto quale glossa all’intero episodio: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Cioè: il Signore ci spiega le parabole per farci comprendere le cose del suo Regno e a livello intellettivo questo può essere abbastanza facile se Egli ci trova aperti nel cuore. Ma quando arrivano imprevisti che ci fanno toccare da vicino il limite, la nostra radicale insicurezza, l’oscurità delle forze della natura, la solitudine esistenziale, la prossimità della morte, cosa si solleva nel profondo del nostro cuore? La fede in Dio o il mistero della paura che ci abita?

Gesù dorme discepoli nella paura

Io amo il mare per tanti motivi. Uno su tutti: ho vissuto quasi sempre in località marine o molto vicine al mare. Eppure il mare nella Bibbia simboleggia spesso la morte. Basti pensare solamente all’evento principale che fonda la salvezza degli israeliti: un popolo in esodo che viene ad attraversare miracolosamente il mare, quello stesso mare in cui gli inseguitori egiziani invece trovano la morte. Mi sembra che il testo del vangelo ha due estremi che fanno per così dire “da cornice” all’intero episodio. Individuare la cornice appropriata per un’opera d’arte è importante per poter coglierne la bellezza e il messaggio. Il primo estremo è al v.36 quando si dice: e congedata la folla lo presero con sé così com’era nella barca. L’altro estremo è alla fine del vangelo, al v.41: …e si domandavano l’un l’altro “chi è dunque costui, che anche il vento e il mare obbediscono?”. In mezzo c’è la nota, spaventosa vicenda della tempesta che mette i discepoli in uno stato di angoscia tale da gridare verso il Maestro la loro imminente perdizione mentre, clamorosamente, Egli dorme a poppa tranquillo e sereno come se nulla stesse accadendo (Mc 4,37-38). Poi il Signore viene svegliato dalle grida dei suoi, e sempre come se fosse la cosa più semplice e facile di questo mondo cosa fa? Sgrida il vento e ordina al mare di darsi una calmata. E il bello è che tutti e due obbediscono all’istante (Mc 4,39), come due cagnolini addomesticati alla perfezione.

Gesù prende allora la parola e dice loro (e a noi lettori che tante volte possiamo incorrere in vicende simili a questa): perché avete paura? Non avete ancora fede? (Mc 4,40). E qui dobbiamo davvero sostare. Dovremmo anche farlo a lungo su queste interrogazioni retoriche, ma papa Francesco giustamente mi ha detto di rimanere entro gli 8 minuti di commento. Già, perché abbiamo paura? Quanti motivi abbiamo per avere paura? Da dove viene la paura? Chi l’ha insediata nel nostro cuore? Tutti potremmo dare le nostre risposte, ma il vangelo ce ne dà una che le riassume tutte, se davvero consideriamo attentamente i versetti che fanno da cornice al testo. Quel lo presero con sé, così com’era suggerisce il fatto che nella nostra vita i discepoli e noi accogliamo in barca Gesù così come ci sembra di conoscerlo. Ma il versetto finale che vede i discepoli domandarsi l’un l’altro chi è dunque costui? – suggerisce l’esatto contrario, cioè che dalle tempeste che ci capitano scopriamo di non conoscere ancora affatto chi portiamo nella nostra barca. Che significa?

La radice di tutte le paure o la madre di tutte le paure, se così mi posso esprimere, è l’eredità di Adamo ed Eva. La paura ci abita perché il nemico, con il peccato, ci ha fatto smarrire il vero volto di Dio. Il serpente antico ha inoculato nel nostro cuore un’immagine errata, cioè una identità falsa di Dio. Come prodotto di questa alterazione originaria della nostra relazione con il Signore, nasce la paura. E vivere nella paura non è un bel vivere. Ma appunto per questo il Signore ci rivolge questa domanda e ne aggiunge un’altra per far capire che si può vivere diversamente: non avete ancora fede? Gesù è il vero volto di Dio che è venuto ad accendere il fuoco della fede, vero ed unico antidoto alla paura antica e alle paure nuove. Con Gesù noi possiamo ristabilire con Dio una relazione nuova, basata sulla fiducia. Egli che domina sulle forze della natura, comanda anche la morte. Ma per sperimentare e scoprire che davvero Gesù è il Dio che ci salva dalla morte e da tutte le nostre angosce, dobbiamo avere il coraggio di scendere nel mondo delle nostre paure più profonde. Sì, bisogna trovare il coraggio di avere paura. Solo così avvertiamo il bisogno di salvezza e facciamo la cosa più importante per imparare a vivere di fede: gridare al Signore. Allora e solo allora, come i discepoli della prima ora, iniziamo a scoprire che Gesù è veramente il Dio con noi.

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EL CORAJE DE TENER MIEDO

Según Marcos evangelista, el mismo día en que dio una lección parabólica sobre el reino de los cielos en la tierra, lección que servía para instruir a los discípulos sobre muchas cosas de la fe, Jesús ordena pasar a la otra orilla (Mc 4,35). Por lo tanto, de este mandato sabemos que Él estaba con los suyos y con la multitud en las orillas del mar de Galilea. Después de leer por enésima vez el célebre episodio de la tormenta que se desata en el lago de Tiberias, y recordando las palabras de Jesús del domingo pasado, me viene enseguida ganas de añadir el famoso dicho como glossa a todo el episodio: entre el dicho y el hecho, está en medio el mar. Es decir: el Señor nos explica las parábolas para hacernos comprender las cosas de su Reino y a nivel intelectual esto puede ser bastante fácil si Él nos encuentra abiertos en el corazón. Pero cuando llegan imprevistos que nos hacen tocar de cerca el límite, nuestra inseguridad radical, la oscuridad de las fuerzas de la naturaleza, la soledad existencial, la proximidad de la muerte, ¿qué se levanta en lo profundo de nuestro corazón? ¿La fe en Dios o el misterio del miedo que nos habita?

Yo amo el mar por muchas razones. Una de todas: he vivido casi siempre en lugares marinos o muy cerca del mar. Sin embargo, el mar en la Biblia a menudo simboliza la muerte. Basta pensar solo en el acontecimiento principal que funda la salvación de los israelitas: un pueblo en éxodo que viene a cruzar milagrosamente el mar, el mismo mar en el que los perseguidores egipcios encuentran la muerte. Me parece que el texto del evangelio tiene dos extremos que hacen por así decir “de marco” a todo el episodio. Identificar el marco adecuado para una obra de arte es importante para comprender su belleza y mensaje. El primer extremo está en v.36 cuando se dice: y despidiendo a la muchedumbre lo llevaron a la barca tal como estaba. El otro extremo está al final del evangelio, v.41: … y se preguntaban el uno al otro “¿quién es éste, pues, que también el viento y el mar obedecen?“. En medio está la nota, espantosa historia de la tempestad que pone a los discípulos en un estado de angustia tal que gritan hacia el Maestro su inminente perdición mientras, clamorosamente, él duerme a popa tranquilo y sereno como si nada estuviera sucediendo (Mc 4,37-38). Entonces el Señor es despertado por los gritos de los suyos, y siempre como si fuera lo más simple y fácil de este mundo ¿qué hace? Grita al viento y ordena al mar que se calme. Y lo bello es que ambos obedecen al instante (Mc 4,39), como dos perritos domesticados a la perfección.

Jesús toma entonces la palabra y les dice (y a nosotros, los lectores, que muchas veces podemos incurrir en acontecimientos similares a esta): ¿por qué tienen miedo? ¿Todavía no tienen fe? (Mc 4,40). Y aquí tenemos que parar realmente. También deberíamos hacerlo durante mucho tiempo sobre estas preguntas retóricas, pero el Papa Francisco me dijo con razón que me quedara dentro de los 8 minutos de comentario. Sí, ¿por qué tenemos miedo? ¿Cuántas razones tenemos para tener miedo? ¿De dónde viene el miedo? ¿Quién la ha instalado en nuestro corazón? Todos podemos dar nuestras respuestas, pero el evangelio nos da una que las resume todas, si realmente consideramos cuidadosamente los versículos que enmarcan el texto. Ellos lo llevaron consigo, así como era sugiere el hecho de que en nuestra vida los discípulos y nosotros acojamos en barca a Jesús como nos parece conocerlo. Pero el versículo final que ve a los discípulos preguntándose unos a otros ¿quién es éste? – sugiere exactamente lo contrario, es decir, que a partir de las tormentas que nos suceden, descubrimos que todavía no conocemos en absoluto a quién llevamos en nuestro barco. ¿Qué significa?

La raíz de todos los miedos o la madre de todos los miedos, si así puedo expresarme, es la herencia de Adán y Eva. El miedo nos habita porque el enemigo, con el pecado, nos ha hecho perder el verdadero rostro de Dios. La serpiente antigua ha inoculado en nuestro corazón una imagen errónea, es decir, una identidad falsa de Dios. Como producto de esta alteración originaria de nuestra relación con el Señor, nace el miedo. Y vivir con el miedo no es un hermoso vivir. Pero precisamente por esto el Señor nos dirige esta pregunta y añade otra para hacer comprender que se puede vivir de otra manera: ¿todavía no tienen fe? Jesús es el verdadero rostro de Dios que vino a encender el fuego de la fe, verdadero y único antídoto al miedo antiguo y a los miedos nuevos. Con Jesús podemos restablecer con Dios una relación nueva, basada en la confianza. Él que domina sobre las fuerzas de la naturaleza, manda también la muerte. Pero para experimentar y descubrir que realmente Jesús es el Dios que nos salva de la muerte y de todas nuestras angustias, debemos tener el valor de bajar al mundo de nuestros miedos más profundos. Sì, hay que encontrar en si mismos el coraje de tener miedo. Solo así advertimos la necesidad de salvación y hacemos lo más importante para aprender a vivir de fe: gritar al Señor. Entonces y solo entonces, como los discípulos de la primera hora, comenzamos a descubrir que Jesús es verdaderamente el Dios con nosotros.