XXI DOMENICA DEL T.O.
anno C (2019)
Is 66,18-21; Eb 12,5-7.12-13; Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
_________________________________
Credo che a nessuno piaccia non essere riconosciuto, non appartenere a qualcuno o qualcosa. Nella propria famiglia, nel proprio paese, tra i propri amici, nel posto dove si lavora, nel luogo dove si è stranieri. Ogni essere umano porta con sé un bisogno di appartenenza. Questo bisogno nel cuore dell’uomo mi ha fatto sempre pensare molto. Giunto a 52 anni, mi pare di capire che non essere nel cuore di qualcuno è la peggiore delle solitudini. Da questa prospettiva il vangelo di oggi, a una prima lettura, potrebbe aggiungere paura su paura. Forse la stessa domanda del tale che ferma Gesù in cammino tradisce la paura di poter essere dimenticati: sono pochi quelli che si salvano? (Lc 13,23).

La risposta di Gesù sembra avvalorare la percezione di quel tale. Al Regno dei cieli si accede per una porta stretta, ci sono tanti che cercano di entrarci ma non ci riescono; poi c’è il padrone di casa che si alza e va a chiudere quella piccola porta mentre costoro bussano chiedendo invano di aprirgli (Lc 13,24-25). C’è n’è già abbastanza per tremare e scoraggiarsi, tuttavia, come se non bastasse, a quella richiesta il padrone risponde seccamente: non so di dove siete (Lc 13,26). Allora essi mettono davanti al padrone una grande obiezione: ma come? Non hai riconosciuto che noi siamo quelli che hanno frequentato la tua mensa e hanno presenziato ai tuoi insegnamenti? Cioè, non hai riconosciuto che ti siamo familiari? (Lc 13,26) Il padrone rincara la dose: voi non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori di ingiustizia (Lc 13,27) Dunque, questi astanti si sono clamorosamente sbagliati su Dio e il suo Regno.
Mi permetto, con un fremito di timore, di declinare questa parola: non so di dove siete. Non vi conosco. La vostra storia non fa parte della storia che io ho scritto tra e con gli uomini. La vostra è una storia che non ha costruito il mio regno nel tempo concessogli, ma gli si è opposta. Avanzate una pretesa di familiarità verso me, in realtà mi siete estranei. Pensavate che diventare miei amici e familiari fosse solo una questione di presenza alle messe, di osservanza di tradizioni e di semplice ammirazione dei miei insegnamenti. Eppure vi ho spiegato come si diventa miei amici. Non mi avete creduto, avete preferito fino alla fine credere al dio plasmato dalla vostra mente, secondo le vostre esigenze. Adesso voi che vorreste entrare non potete. Adesso sapete sulla vostra pelle cosa ha vissuto sulla propria quella innumerevole folla di persone che non è mai potuta entrare in una vita veramente umana. L’umanità dei diseredati di tutto a causa dell’ingiustizia degli uomini, quella che non ha potuto mangiare e studiare come voi, non ha potuto curare la loro salute come voi, non ha potuto inseguire una speranza di vita migliore perché si è trovata sempre una porta chiusa!

Là sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori (Lc 13,28): la loro infelicità si manifesterà quando vedranno prima di tutto i profeti di cui si sono fatti beffe risplendenti in Dio e loro fuori. Ma soprattutto, quando vedranno con chiarezza l’immensa e anonima (ma non per Dio!) moltitudine di uomini che hanno sofferto le umane ingiustizie, restituiti alla loro vera dignità (Lc 13,29): essi sono la moltitudine di quelli che Gesù ha dichiarato felici nelle sue Beatitudini. Per il vangelo la vita è dunque una storia da scrivere per dichiarare da che parte si vuole stare, ovvero a chi si vuole appartenere: a Dio che sulla Croce rovescia i regni di questo mondo per portare avanti il suo tra gli umili e i poveri, oppure ai suoi dominatori che fanno dell’ingiustizia il pane dei loro affari. Dio non gode di questa separazione che alla fine della storia comunque avverrà. Il suo instancabile lavoro sarà sempre quello di cercare di portare quelli che sono primi nel mondo tra gli ultimi, perché sono essi la loro sempre possibile salvezza. Chi infatti fa entrare nella propria vita gli ultimi di questo mondo, si fa loro familiare e ha assicurata la familiarità con Dio (Lc 13,30).
********************
Creo que a nadie le guste no ser reconocido, no pertenecer a alguien o a algo. En la propria familia, en el propio pueblo, entre los propios amigos, en el lugar donde se trabaja, en el lugar donde se es extranjero. Cada ser humano lleva consigo una necesidad de pertenencia. Esta necesidad en el corazón del hombre me ha hecho siempre pensar mucho. Llegado a los 52 años, me parece entender que no estar en el corazón de alguien es la peor soledad. De esta perspectiva el evangelio de hoy, en una primera lectura, podría agregar miedo y más miedo. Quizás la misma pregunta del tal que detiene a Jesús en el camino traiciona el miedo de poder ser olvidado: ¿son pocos aquellos que se salvan? (Lc 13, 23).
La respuesta de Jesús parece valorar la percepción de aquel tal. Al Reino de los cielos se accede por una puerta estrecha, hay tantos que intentan entrar pero no logran; luego está el patrón de la casa que se levanta y va a cerrar esa pequeña puerta mientras ellos tocan pidiendo inutilmente que les abran (Lc 13,24-25). Hay ya suficiente motivo para temblar y desanimarse sin embargo, como si no bastara, a aquél pedido el patrón responde secamente: no sé de dónde son ustedes(Lc 13,26). Entonces ellos ponen delante del patrón una gran objeción: ¿pero cómo? ¿No has reconocido que nosotros somos aquellos que han frecuentado tu mesa y han presenciado tus enseñanzas? O sea, ¿no has reconocido que te somos familiares? (Lc 13,26) El patrón aumenta la dosis: no se de dónde son ustedes. Alejense de mi todos ustedes operadores de injusticia (Lc 13,27) Entonces, estos expectadores se han clamorosamente equivocado sobre Dios y su Reino.
Me permito, con un estremecimiento de temor, en declinar esta palabra: no sé de dónde son ustedes. No los conozco. La historia de ustedes no hace parte de la historia que yo he escrito entre los hombres. La de ustedes es una historia que no ha construido mi reino en el tiempo concedido, sino que se ha opuesto. Presentan una pretensión de familiaridad hacia mí, en realidad me son extraños. Pensaban que volverse mis amigos y familiares fuera solo una cuestión de presencia en las misas, de cumplir y observar tradiciones y de simple admiración de mis enseñanzas. Y aún así les he explicado como se vuelven mis amigos. No me han creído, han preferido hasta el final creer al Dios plasmado de su mente, según sus exigencias. Ahora que ustedes quieren entrar no pueden. Ahora saben en su propia piel qué cosa han vivido en su propia piel aquella innumerable multitud de personas que nunca ha podido entrar en una vida verdaderamente humana. La humanidad de los desposeídos de todo por causa de la injusticia de los hombres, aquella que no ha podido comer y estudiar como ustedes, no ha podido cuidar su salud como ustedes, no ha podido seguir una esperanza de vida mejor porque se ha encontrado siempre una ¡puerta cerrada!
Allí será llanto y estridor de dientes cuando verán Abraham, Isaac y Jacob y todos los profetas en el reino de Dios y ustedes enviados afuera (Lc 13,28): la infelicidad de ellos se manifestará cuando verán antes de nadaa los profetas de los cuales se burlaron resplandecientes en Dios y ellos afuera. Pero sobretodo, cuando verán con claridad la inmensa y anónima (¡pero no para Dios!) multitudes de hombres que han sufrido las injusticias humanas restituidos a la verdadera dignidad (Lc 13,29): ellos son la multitud de aquellos que Jesús ha declarado felices en sus bienaventuranzas. Para el evangelio la vida entonces es una historia para escribir para declarar de qué parte se quiere estar, es decir a quién se quiere pertenecer: a Dios que sobre la Cruz derrama los reinos de este mundo para llevar adelante el suyo entre los humildes y los pobres, o a sus dominadores que hacen de la injusticia el pan de sus negocios. Dios no se alegra de esta separación que al final de la historia de todas maneras sucederá. Su incansable trabajo será siempre de intentar llevar a aquellos que son los primeros en el mundo entre los últimos, porque son ellos su siempre posible salvación. Quien de hecho hace entrar en la propia vida a los últimos de este mundo, se hace familiar de ellos y tiene asegurada la familiaridad con Dios (Lc 13,30).