V DOMENICA DI QUARESIMA
anno C (2025)
Is 43,16-21; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
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Nella 2a lettura di questa domenica, S. Paolo afferma di aver lasciato perdere tutto per la conoscenza del Signore Gesù, fino a considerare questo “tutto” come “spazzatura”. Un modo per dire che tutto il sapere di questo mondo, tutta la cultura accumulata, tutto ciò che viene dal suo cammino di fariseo inappuntabile in tema di fede, non vale questa conoscenza, non c’è proprio confronto. Il vangelo poi ci indica con assoluta precisione dove nasce questa conoscenza. Più vado avanti e più sentendo, come Paolo, ancora lontana la meta, più mi convinco che c’è da ripartire daccapo con l’evangelizzazione dell’uomo contemporaneo, ma anche di un certo cristiano già battezzato, smarritosi dietro mille rivoli di verità dottrinali senza alcun aggancio con il centro della fede cristiana. E questo centro lo abbiamo visto raccontare da Gesù domenica scorsa in forma di parabola. Mentre il vangelo odierno ce lo offre nel ricordo di un drammatico ma indimenticabile incontro.
Gesù si trova nel Tempio di buon mattino, per insegnare a tutto il popolo che andava da lui. Ma non poteva quasi mai farlo senza ricevere la solita visita di scribi, farisei e dottori della legge, sempre pronti a cercare di screditare la sua parola e il suo operato. Quel giorno costruirono ad arte la loro trappola, nel ricorrente tentativo di metterlo alla prova e poterlo finalmente accusare di qualcosa di grave. Colta una donna in flagrante adulterio, la posero nel mezzo davanti a lui e a tutti gli astanti, sottoponendogli una domanda-tranello: che facciamo ora con questa donna scoperta in flagrante, visto che Mosè ordina di lapidarla? Come sappiamo dal testo, il Signore inizialmente non risponde all’interrogativo. O meglio, la prima risposta è il suo silenzio accompagnato dallo scrivere per terra. Su questa strana azione di Gesù gli antichi padri della chiesa e i più recenti esegeti hanno scritto fiumi di inchiostro. Al sottoscritto piace pensare che con tale condotta Gesù forse voleva cercare di raffreddare quella insana voglia umana di giustizia sommaria o quella più insana inclinazione a identificare il peccatore con il suo peccato che ci portiamo tutti nel cuore.
Tuttavia, siccome insistevano nell’interrogarlo, si alzò e diede quella celebre risposta che fu come l’abbattersi di uno tsunami d’acqua su un incendio propagatosi pericolosamente. Poi si abbassò di nuovo riprendendo a scrivere per terra, mentre molti degli uditori lasciarono cadere le loro pietre: se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Il vangelo in greco significa “buona notizia”. Peccato che nessuno rimase a vedere quale fosse la buona notizia in quel caso, che era anche per loro. Come mai a nessuno venne questa curiosità? Come mai nessuno, dopo aver ricevuto quella parola disarmante, desiderò vedere come andava a finire? Il racconto di Giovanni è chiaro: lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Pensiamo a quella donna già abbondantemente disonorata per il suo grave peccato. Era stata buttata in pasto alla folla da uomini religiosi qualificati, inferociti dalla voglia di svergognarla, per poter così svergognare il Maestro. In psicologia si direbbe “manipolata” nel suo grave peccato per raggiungere il loro obiettivo. Pensiamo a quel peccato inconfessabile che ciascuno conosce di sé improvvisamente reso pubblico, sotto gli occhi di tutti. Come ci sentiremmo? Avremmo retto all’onta di una tale azione?
Eppure, proprio in quella solitudine, in quell’essere stata abbandonata da tutti al suo grave peccato, proprio in quel deserto interiore di chi non si può più appigliare a niente e non ha più nessuno che può difenderla; proprio in questa verità innegabile che tocca la sua anima, quella donna diventa capace di mostrare al mondo il volto di Dio, perché inizia a conoscere chi è Gesù. E notate bene, non parte da lei tale iniziativa. La parola partita dalla bocca del Signore le fa scoprire, mentre è probabilmente ancora ripiegata fisicamente su sé stessa, che attorno a sé non c’è più nessuno che la condanni. Allora il Maestro, dopo aver ricevuto risposta, può guardarla negli occhi, può rivolgerle la parola che salva rivelando la propria identità, restituendo così la donna alla sua vera identità: neanche io ti condanno. Va e d’ora in poi non peccare più. Cos’è la conoscenza di lui di cui parla S. Paolo nella 2a lettura? È la conoscenza di un amore più grande che lo ha raggiunto nel proprio peccato, come per questa donna. Non lo dimentichiamo: Paolo inizia a conoscere chi è Gesù mentre andava verso Damasco a far deportare altri cristiani, dopo essere stato già responsabile dell’omicidio di alcuni tra essi. Non esiste un principio di conoscenza di Dio che si possa affrancare dall’esperienza della sua misericordia. Chi non conosce di essere perdonato non ha ancora conosciuto il Signore, anche se dovesse proclamare il contrario.
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COMO CONOCER AL SEÑOR JESUS
En la segunda lectura de este domingo, S. Pablo afirma que ha dejado todo por el conocimiento del Señor Jesús, hasta considerar este “todo” como “basura”. Una manera de decir que todo el saber de este mundo, toda la cultura acumulada, todo lo que viene de su camino de fariseo intachable en materia de fe, no vale este conocimiento, no hay comparación. El evangelio nos indica con absoluta precisión dónde nace este conocimiento. Cuanto más avanzo y sintiendo más, como Pablo, aún lejos la meta, más me convenzo de que hay que recomenzar de nuevo con la evangelización del hombre contemporáneo, pero también de un cierto cristiano ya bautizado, descarriados detrás de mil corrientes de verdades doctrinales sin ningún vínculo con el centro de la fe cristiana. Y este centro lo hemos visto narrado por Jesús el domingo pasado en forma de parábola. Mientras que el evangelio de hoy nos lo ofrece en el recuerdo de un dramático pero inolvidable encuentro.
Jesús se encuentra en el templo temprano por la mañana, para enseñar a todo el pueblo que iba a él. Pero casi nunca podía hacerlo sin recibir la habitual visita de escribas, fariseos y doctores de la ley, siempre dispuestos a tratar de desacreditar su palabra y su obra. Ese día construyeron su trampa con arte, en un intento recurrente de ponerlo a prueba y poder finalmente acusarlo de algo grave. Tomando a una mujer en flagrante adulterio, la pusieron en el medio delante de él y de todos los presentes, sometiéndole una pregunta engañosa: ¿qué hacemos ahora con esta mujer descubierta en flagrante delito, ya que Moisés ordena lapidarla? Como sabemos por el texto, el Señor inicialmente no responde a la pregunta. Mejor dicho, la primera respuesta es su silencio acompañado de escribir en el suelo. Sobre esta extraña acción de Jesús los antiguos padres de la iglesia y los más recientes exegetas han escrito ríos de tinta. A mí me gusta pensar que tal vez con esta conducta Jesús quería enfriar la insana voluntad humana de justicia sumaria o la más insana inclinación a identificar al pecador con su pecado que todos llevamos en el corazón.
Sin embargo, como insistían en interrogarle, se levantó y dio esa célebre respuesta que fue como el golpe de un tsunami de agua sobre un incendio peligrosamente propagado. Luego se agachó de nuevo, volviendo a escribir en el suelo, mientras que muchos de los oyentes dejaron caer sus piedras: se fueron uno por uno, comenzando por los más ancianos. El evangelio en griego significa “buena noticia”. Lástima que nadie se quedó a ver cuál era la buena noticia en ese caso, que también era para ellos. ¿Cómo es que a nadie le vino esta curiosidad? ¿Por qué nadie, después de haber recibido esa palabra desarmante, deseó ver cómo terminaba? La historia de Juan es clara: lo dejaron solo, y la mujer estaba allí en el medio. Pensemos en esa mujer ya deshonrada por su grave pecado. Había sido arrojada a la multitud por hombres religiosos calificados, enfurecidos por avergonzarla, para poder así avergonzar al Maestro. En psicología se diría “manipulada” en su grave pecado para alcanzar su objetivo. Pensemos en ese pecado inconfesable que cada uno conoce de sí mismo repentinamente hecho público, a la vista de todos. ¿Cómo nos sentiríamos? ¿Habríamos soportado la vergüenza de tal acción?
Sin embargo, precisamente en esa soledad, en el haber sido abandonada por todos a su grave pecado, precisamente en ese desierto interior de quien ya no puede aferrarse a nada y no tiene a nadie que pueda defenderla; precisamente en esta verdad innegable que toca su alma, esa mujer es capaz de mostrar al mundo el rostro de Dios, porque comienza a conocer quién es Jesús. Y fíjense bien, no es ella quien ha tomado la iniciativa. La palabra que sale de la boca del Señor le hace descubrir, mientras está probablemente aún replegada también físicamente sobre sí misma, que a su alrededor ya no hay nadie que la condene. Entonces el Maestro, después de haber recibido respuesta, puede mirarla a los ojos, puede dirigirle la palabra que salva revelando su identidad, devolviendo a la mujer a su verdadera identidad: tampoco yo te condeno. Ve y de ahora en adelante no peques más. ¿Qué es el conocimiento de él del que habla S. Pablo en la segunda lectura? Es el conocimiento de un amor más grande que lo ha alcanzado en su propio pecado, como para esta mujer. No lo olvidemos: Pablo iba a hacer deportar a otros cristianos después de haber sido responsable del asesinato de algunos de ellos. No existe un principio de conocimiento de Dios que pueda librarse de la experiencia de su misericordia. El que no sabe que ha sido perdonado, aún no conoce al Señor, aunque proclame lo contrario.
