Pubblicato in: Commento alle Scritture, Predicazione, Servizio della Parola

VIVERE È RESISTERE

XXXIII DOMENICA DEL T.O.

anno C (2023)

Ml 3,19-20; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

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Il vangelo di oggi parte da un’osservazione sul tempio di Gerusalemme. Se ci pensate, anche noi domenica scorsa abbiamo parlato di un tempio. Abbiamo celebrato la festa di un simbolo della cristianità quale è la Basilica Lateranense. E abbiamo parlato anche di pietre, ma non come quelle che adornavano il tempio di Gerusalemme insieme ai doni votivi. Abbiamo parlato di noi stessi, impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale (1Pt 2,5) che è la chiesa di Dio, fondata sulla pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d’angolo (Sal 118,22-23), Gesù Cristo nostro Signore. È una delle metafore bibliche più belle della chiesa, che ci chiede di saper guardare sempre oltre il suo rivestimento storico. La chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia, non deve mai fermare lo sguardo su sé stessa, ma tenerlo sempre fisso in alto, finché si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo, come diciamo nell’embolismo di ogni eucaristia. I nostri fratelli ebrei che si soffermano ad ammirare il loro tempio costruito dopo più di 46 anni, simboleggiano l’ammirazione per l’opera umana realizzata per Dio, più che per l’opera di Dio per gli uomini. Gesù annuncia profeticamente la sua distruzione che avverrà realmente nel 70 d.C. per poi prendere le mosse, per il suo discorso escatologico, proprio dalla domanda di chi ha ascoltato il suo annuncio.

La curiosità di sapere data e luogo precisi di eventi simili con relativi segni è stata sempre innata negli uomini. Basta andare a spulciare anche nella storia di altre civiltà. Ma Gesù invita a non fondare la nostra fede sulla conoscenza di queste curiosità, anzi, prepara i suoi ad evitare discorsi di questo tipo con tutti quelli che si presenteranno, a nome del Signore, proprio a speculare su di esse. Dunque badate di non lasciarvi ingannare. È facilissimo lasciarsi ingannare se non si meditano a dovere pagine di vangelo come questa. Quanti cristiani entrano in agitazione a contatto con uomini e donne cristiani particolari, ovvero con carismi o presunte visioni profetiche che affermano che siamo ormai vicini alla fine del mondo. Ne conosco molti. Ci sono fratelli e sorelle che hanno addirittura compromesso relazioni familiari o equilibrio psicologico personale, per andar dietro al tale o alla tale che è accreditato/a solo perché, ad esempio, frequenta Medjugorije o parla con i veggenti. E vi sta parlando uno che frequenta Medjugorije. Il punto capitale da comprendere nelle parole di Gesù è che davanti a costoro e alle molteplici guerre e rivoluzioni incombenti, Egli ci dice che non dobbiamo terrorizzarci e che tutto ciò non è subito la fine. Eppure le parole del Signore sembrano rincararci la dose di paura (cfr. vv.10-11)

In realtà Gesù ci educa a misurarci sempre con la realtà, anche se drammatica. Anzi, ci ricorda che lo sarà sempre con le sue proprie tribolazioni, in ogni epoca. Non ci toglie dalle dolorose vicende presenti nella nostra storia, perché alla fine, con gli opportuni “distinguo”, è molto simile alla sua. Piuttosto, in altre pagine di vangelo, ci invita a saper leggere, dentro questi fatti, le orme della sua fedele presenza che mai ci abbandona. Per questo gli sta a cuore ricordarci, anche qui profeticamente, che il nostro destino è il suo destino. Gli preme ricordarci che il suo Nome, dolce al nostro udito, è però causa di persecuzione ed odio nei confronti di tutti quelli che davvero si giocano la vita per seguire Lui. E in un certo senso, le sofferenze da attraversare, sono anche la migliore certificazione di autenticità della nostra fede in Lui. La posta in gioco è troppo alta, e la troviamo in fondo al vangelo di oggi. L’orizzonte di questa realtà drammatica non è la sofferenza, ma la salvezza: con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Non c’è salvezza senza la Croce, ma noi, “sotto-sotto”, vorremmo evitarcela, oppure vorremmo che fosse già qui trionfante, ma nel senso mondano del termine. Certo, ascoltando Gesù sulle sofferenze (vv.12-17) che toccheranno ai suoi discepoli si può rimanere perplessi, e umanamente è comprensibile. Ma se il mio sguardo rimane fisso sull’orizzonte e non sulle sofferenze transitorie, la Croce si riempie di senso, così come la resistenza che mi è chiesta. Se non colloco qui, in questa vita terrena, l’orizzonte finale della mia esistenza, mi fido delle parole del Signore. E allora chiedo la grazia di perseverare in questa fede, fino alla fine della mia storia, sapendo in Chi ho riposto la mia fiducia. Dio che la ama e la salva fino all’ultimo capello del mio capo (v.18). 

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VIVIR ES RESISTIR

El evangelio de hoy comienza con una observación sobre el templo de Jerusalén. Si piensan en ello, también el domingo pasado hablamos de un templo. Hemos celebrado la fiesta de un símbolo de la cristiandad que es la Basílica de Letrán. Y hemos hablado también de piedras, pero no como las que adornaban el templo de Jerusalén junto con los dones votivos. Hemos hablado de nosotros mismos, empleados como piedras vivas para la construcción de un edificio espiritual (1Pe 2,5) que es la iglesia de Dios, fundada sobre la piedra desechada por los constructores que se convirtió en piedra angular (Sal 118,22-23), Jesucristo nuestro Señor. Es una de las metáforas bíblicas más bellas de la iglesia, que nos pide saber mirar siempre más allá de su revestimiento histórico. La iglesia, pueblo de Dios en camino a través de la historia, nunca debe detenerse en sí misma, sino mantenerla siempre fija en lo alto, hasta que se cumpla la bendita esperanza y venga nuestro Salvador Jesucristo, como decimos en el embolismo de cada eucaristía. Nuestros hermanos judíos que se detienen a admirar su templo construido después de más de 46 años, simbolizan la admiración por la obra humana realizada para Dios, más que por la obra de Dios para los hombres. Jesús anuncia proféticamente su destrucción que tendrá lugar realmente en el año 70 d.C. para luego tomar las medidas, por su discurso escatológico, precisamente de la pregunta de quien ha escuchado su anuncio.

La curiosidad por saber la fecha y el lugar exactos de eventos similares con sus correspondientes signos siempre ha sido innata en los hombres. Basta con echar un vistazo a la historia de otras civilizaciones. Pero Jesús invita a no fundar nuestra fe en el conocimiento de estas curiosidades, más bien, prepara a los suyos para evitar discursos de este tipo con todos aquellos que se presenten, en nombre del Señor, precisamente para especular sobre ellos. Así que cuidado de no dejarse engañar. Es muy fácil dejarse engañar si no se meditan debidamente páginas de evangelio como ésta. Cuántos cristianos entran en agitación en contacto con hombres y mujeres cristianos particulares, o bien con carismas o supuestas visiones proféticas que afirman que estamos ya cerca del fin del mundo. Conozco a muchos. Hay hermanos y hermanas que incluso han comprometido relaciones familiares o equilibrio psicológico personal, para ir tras tal o cual quien es acreditado/a solo porque, por ejemplo, asiste a Medjugorije o habla con los videntes. Y les habla uno que frecuenta Medjugorije. El punto capital a comprender en las palabras de Jesús es que frente a ellos y a las múltiples guerras y revoluciones que se avecinan, Él nos dice que no debemos aterrorizarnos y que todo esto no es el fin inmediato. Sin embargo, las palabras del Señor parecen aumentar la dosis de miedo (cf. vv.10-11)

En realidad Jesús nos educa para medirnos siempre con la realidad, aunque sea dramática. Más aún, nos recuerda que siempre lo será con sus propias tribulaciones, en todos los tiempos. No nos quita de las dolorosas vicisitudes presentes en nuestra historia, porque al final, con los oportunos “distingo”, es muy similar a la suya. Más bien, en otras páginas del evangelio, nos invita a saber leer, dentro de estos hechos, las huellas de su fiel presencia que nunca nos abandona. Por eso le interesa recordarnos, también aquí proféticamente, que nuestro destino es su destino. Le preocupa recordarnos que su Nombre, dulce a nuestro oído, es sin embargo causa de persecución y odio contra todos aquellos que realmente arriesgan la vida para seguirlo. Y en cierto sentido, los sufrimientos que hay que atravesar, son también la mejor certificación de autenticidad de nuestra fe en Él. La apuesta es demasiado alta, y la encontramos al fondo del evangelio de hoy. El horizonte de esta realidad dramática no es el sufrimiento, sino la salvación: con la perseverancia salvarán su vida. No hay salvación sin la Cruz, pero nosotros, “en fondo-en fondo”, quisiéramos evitarla, o desearíamos que ya estuviera aquí triunfante, pero en el sentido mundano del término. Ciertamente, escuchando a Jesús sobre los sufrimientos (vv.12-17) que tocarán a sus discípulos se puede quedar perplejo, y humanamente es comprensible. Pero si mi mirada permanece fija sobre el horizonte y no sobre los sufrimientos transitorios, la Cruz se llena de sentido, así como la resistencia que se me pide. Si no coloco aquí, en esta vida terrenal, el horizonte final de mi existencia, me fío de las palabras del Señor. Y entonces pido la gracia de perseverar en esta fe, hasta el final de mi historia, sabiendo en Quien he puesto mi confianza. Dios que la ama y la salva hasta el último cabello de mi cabeza (v.18).