IV DOMENICA DI QUARESIMA
anno A (2020)
1Sam 16,1-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
Passando, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
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Non c’è che dire, Gv 9 (come tutto il vangelo) è capolavoro letterario di avvincente ironia. In questi primi giorni di trincea ho sostato a lungo davanti a questo testo. Condivido il frutto della sua meditazione. Questa volta però, seguendone passo dopo passo la strutturazione; poi tirerò le somme, soprattutto sull’apertura e la chiusura (vv.1-7 e 35-41).

(vv.1-7) Gesù passa nella vita del cieco che non si aspetta affatto il suo passaggio. Gesù lo vede, egli in principio non sa di essere visto. La vita dell’uomo che non sa di essere guardata con infinito amore da Dio, può essere una vita bella? È vita questa? Come è bello scoprire nell’avvio del vangelo gli occhi di Gesù che cercano un uomo che nessuno cercherebbe: un mendicante cieco. L’uomo che non sa ancora di essere visto così, non sa nemmeno qual è il suo statuto esistenziale: un cieco che mendica amore e vita. Gesù è la luce vera che illumina ogni uomo, luce che dona amore e vita (Gv 1,9). Il vangelo, nella vita concreta, comincia sempre così: con l’iniziativa che parte da Dio. Non dimentichiamolo. Poi ci sono i discepoli che fanno la solita “magra” figura. La domanda che rivolgono al maestro tradisce dove abita ancora il loro cuore: in questioni di “caccia al colpevole”. Gesù spezza l’assurdo collegamento tra lo status di infermità di una persona e il peccato, anzi, chiarisce che le opere di Dio avvengono proprio in ciò che non funziona nella nostra vita. Procede operando sul cieco dei gesti particolari e poi lo invita a fare una cosa precisa. Il cieco obbedisce e guarisce. Per il momento, tenetevi a mente le parole “fango” e “piscina di Siloe” (Inviato), le riprenderemo dopo.

(vv.8-12) Chi viveva vicino o più lontano dal cieco nato si accorge che qualcosa di straordinario è avvenuto, qualcosa è cambiato: è lui o non è lui? Questo il dilemma. È in gioco la sua identità. Ma ecco che interviene l’interessato. Qual è la sua reale identità? Che è lui, ma non è lui. Rassicura tutti di essere lo stesso mendicante che era cieco rispondendo alla domanda dei presenti: come è possibile che la stessa persona prima cieca ora è lì davanti, come un vedente che cammina e parla come loro? Egli si limita a ricordare il protocollo di guarigione a cui è stato sottoposto, il cui principio è stato quell’uomo chiamato Gesù. Cosa si può dire fin qui? Che chi incontra davvero Gesù, inizialmente ripete agli altri, con stupore, la novità che lo ha investito e gli ha cambiato la vita. Il suo raccontare suscita una nuova domanda: ma dov’è questo Gesù? E qui veniamo a sapere che il Signore, dopo aver operato, se ne è andato. Perché? Nella sincera risposta dell’ex-cieco possiamo intuirlo: c’è di mezzo la pedagogia divina per farci avvicinare a Lui. Dio infatti, dopo averci cercato e beneficato, vuole che liberamente lo cerchiamo. Comunque nella sua risposta, si esprime un’incognita: non lo so. Non è che quando incontri il Signore sai già bene cosa ti sta accadendo e chi è colui che hai incontrato.

(vv.13-23) I presenti ne fanno un caso da sottoporre all’autorità religiosa. Comincia un nuovo interrogatorio e il mendicante ricomincia il suo racconto. Sembra di assistere, per chi può ricordarlo, a quella celebre scena del film Così parlò Bellavista di L. De Crescenzo, dove un tizio del popolo si trova sempre a dover raccontare daccapo quello che gli è accaduto ad ogni nuovo passante che, avvicinandosi alla folla, chiede: “cosa è successo?” (puoi vedere qui la esilarante scena: https://youtu.be/H2dCB7OqI8Q). Anche tra i farisei non c’è accordo davanti alla sua testimonianza. Cresce il dissenso fra loro ma, paradossalmente, cresce anche l’illuminazione conoscitiva nell’uomo guarito. Ogni autentica testimonianza, parte sempre dall’ammissione di non saper bene chi è Gesù. Così anche il testimone per eccellenza, Giovanni il Battista, che lo dichiara apertamente agli inviati di Gerusalemme (Gv 1,33). Solo chi sa di non sapere può accogliere in dono un sapere nuovo: la verità che viene da Dio, non dall’uomo. E cresce pure l’irrigidimento religioso davanti all’illuminazione dell’ex-cieco: i farisei coinvolgono i suoi genitori per trovare un appiglio che giustifichi il loro rifiuto. Oramai è iniziato un vero e proprio processo al povero ex-cieco. Ma anche questo tentativo cade a vuoto.
(vv.24-34) L’interrogatorio delle autorità religiose si fa incalzante. La domanda è sempre la stessa, l’ex-cieco non può non far risaltare ironicamente il loro vero problema: sono persone che non ascoltano. Nulla di nuovo sotto il sole, la storia è sempre la stessa, dappertutto e in tutte le istituzioni. Quando si nega l’evidenza della verità senza riuscire a darne prova, a corto di argomenti, si cerca sempre di imporre il peso dell’autorità, invocandola proprio perché si manca di autorevolezza. È la logica di chi ha fatto del proprio credo uno strumento di potere, chiuso in una cassaforte di orgogliosi schemi. Perciò, mentre l’ironia è l’unica “arma” sulla bocca del mendicante, l’arroganza è sempre sulla bocca del potente: si ricorre all’insulto e al bando dalla comunità quale necessità di allontanare chi è dalla verità. Per l’uomo guarito, l’ostilità e gli ostacoli sono come le doglie di un parto che lo daranno ancor più alla luce, pronto per un incontro sempre più intimo con Colui che è la Luce. I farisei invece saranno sempre più immersi nelle tenebre: davanti a Gesù sempre si opera uno svelamento di ciò che abita nei cuori degli uomini (cfr. Lc 2,34-35). Da notare il crescendo del “noi sappiamo” dei farisei davanti al “io so solo” professato dall’ex-cieco.
(vv.35-41) Ma anche Dio sa cosa succede, ha udito il processo. E, fedelmente, cerca e si pone subito a fianco di chi è stato espulso dalla comunità umana. Ancora una volta è Lui che prende l’iniziativa. Non può essere che così. Chi viene liberato dalla verità (Gv 8,32) viene bandito da chi è nelle tenebre. Ma proprio perché vive la vicenda stessa di Gesù, può ora vederlo con gioia, faccia a faccia. Gesù gli chiede se crede nel Figlio dell’uomo. E l’ex-cieco risponde: chi è? Siamo giunti al cuore del vangelo. La guarigione della vista ricevuta è stata solo un segno della bontà di Dio. Il suo significato è un dono ancora più grande: l’uomo può ora professare la sua fede vedendo Colui che si fa vedere solo nella fede. E il suo nome è: colui che parla con te. Solo chi ascolta la Parola può guarire dalla sua innata cecità. Principio del vedere è udire una parola creatrice che non è mia, ma che mi rende capace di vedere l’Invisibile. Principio di cecità è invece il rifiuto di questa parola. La fine del vangelo ci riporta dunque al suo inizio. Possiamo ora tirare qualche conclusione.
Per mezzo del racconto della guarigione del cieco nato, Gesù offre di guarire dalla colpa più pericolosa, capace di accecare il nostro spirito: quella di pensare di sapere, e quindi di “vedere” chi è Dio e chi è l’uomo, senza riconoscere prima la propria cecità. Solo chi ascolta e si fida della sua parola, può guarire e finalmente vedere (conoscere) chi è Dio e chi è l’uomo. La Parola di Dio prima deve cambiare, cioè guarire, il nostro modo di pensare Dio e l’uomo. Con che cosa Gesù ha fatto il fango poi applicato sugli occhi del cieco? Con la sua saliva. In questi tempi siamo più consapevoli, per i divieti e i limiti impostici, di come le nostre parole siano veicolate dalla saliva. Tu parli e il più delle volte, senza accorgertene, butti fuori saliva. Il fango fatto da Gesù è elemento di fortissima carica simbolica: se la sua parola giunge al mio cuore, si avvia un processo inesorabile che mi porterà a vedere chi è Dio e chi sono io. Io sono fango e produco fango. Ma Dio, dopo avermi tratto dalla polvere, in Gesù è venuto nel mio fango, lo ha fatto suo, e ne ha fatto il luogo della sua rivelazione. Cercarlo altrove è molto rischioso. Lui è l’Inviato nella cui piscina, la sua Misericordia, io divento una meravigliosa opera di Dio: come direbbe S.Paolo, una nuova creatura (2Cor 5,17).
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YO SOY OBRA DE DIOS
No hay nada que decir, Jn 9 (como todo el evangelio) es una obra maestra literaria de una ironía convincente. En estos primeros días de trinchera me he detenido por mucho tiempo delante de este texto. Comparto el fruto de su meditación. Pero esta vez, siguiendo paso a paso la estructura; luego daré los resultados, sobre todo sobre la apertura y el cierre (vv.1-7 y 35-41).
(vv.1-7) Jesús pasa en la vida del ciego quien no se espera en absoluto su paso. Jesús lo ve, él no sabe al principio que está siendo visto. la vida del hombre que no sabe que Dios lo mira con amor infinito ¿Puede ser una vida bonita? ¿Es vida esto? Qué hermoso es descubrir al principio del Evangelio los ojos de Jesús que buscan a un hombre que nadie buscaría: un mendigo ciego. El hombre que aún no sabe que es visto así, ni siquiera sabe cuál es su estatus existencial: un ciego que mendiga amor y vida. Jesús es la verdadera luz que ilumina a todo hombre, luz que da amor y vida (Jn 1.9). El Evangelio, en la vida concreta, siempre comienza así: con la iniciativa que parte de Dios. No lo olvidemos. Luego están los discípulos que hacen la misma “pobre” figura. La pregunta que hacen al maestro traiciona donde aún está su corazón: en asuntos de “cazar al culpable”. Jesús corta la absurda conexión entre el estatus de enfermedad de una persona y el pecado, más bien, aclara que las obras de Dios suceden justamente en lo que no funciona en nuestra vida. Procede trabajando en el ciego con gestos particulares y luego le invita a hacer una cosa precisa. El ciego obedece y sana. Por el momento, tenga en cuenta las palabras “barro” y “piscina de Siloé” (Enviado), las retomaremos después.
(vv.8-12) Quien vivía cerca o más lejos de la persona nacido ciego se da cuenta de que algo extraordinario ha sucedido, algo ha cambiado: ¿es él o no es él? Ese es el dilema. Su identidad está en juego. Pero he aquí que interviene el interesado. ¿Cuál es su verdadera identidad? Es él, pero no es él. Asegura a todos que él es el mismo mendigo que estaba ciego, respondiendo a todas las preguntas de los presentes: ¿cómo es posible que la misma persona primero ciego ahora esté allí delante, como un vidente que camina y habla como ellos? Él se limita a recordar el protocolo de sanación al que fue sometido, cuyo principio ha sido aquel hombre llamado Jesús. ¿Qué se puede decir hasta ahora? Que quien encuentra de verdad a Jesús, inicialmente repite a los demás, con asombro, la novedad que le ha afectado y cambiado la vida. Su recuento plantea una nueva pregunta: pero ¿dónde está este Jesús? Y aquí llegamos a saber que el Señor, después de haber trabajado, se ha ido. ¿Por qué? En la respuesta sincera del ex ciego podemos intuirlo: está de por medio la pedagogía divina para acercarnos a Él. Dios, de hecho, después de buscarnos y beneficiarnos, quiere que lo busquemos libremente. Sin embargo, en su respuesta, se expresa una incógnita: no lo sé. No es que cuando encuentras al Señor ya sabes lo que te está pasando y quién es el que has encontrado.
(vv.13-23) Los presentes hacen de ello un caso que debe presentarse a la autoridad religiosa. Un nuevo interrogatorio comienza y el mendigo comienza su historia de nuevo. Parece ser testigo, para aquellos que pueden recordarlo, esa famosa escena de la película Así habló Bellavista de L. De Crescenzo, donde un tipo de la gente siempre tiene que contar de nuevo lo que le pasó a cada nuevo transeúnte que, acercándose a la multitud, pregunta: “¿Qué pasó?” (puedes ver aquí la divertida escena: https://youtu.be/H2dCB7OqI8Q). No hay acuerdo entre los fariseos antes de su testimonio. La disidencia entre ellos está creciendo, pero paradójicamente, la iluminación cognitiva en el hombre curado también está creciendo. Todo testimonio auténtico siempre parte de la admisión de que no sabemos bien quién es Jesús. Así también el testigo por excelencia, Juan el Bautista, que lo declara abiertamente a los enviados de Jerusalén (Jn 1.33). Sólo quien saben que no sabe puede acoger como don un nuevo conocimiento: la verdad que viene de Dios, no del hombre. Y la rigidez religiosa crece frente a la iluminación de los ex ciegos: los fariseos involucran a sus padres para encontrar un punto de apoyo que justifique su rechazo. Ahora ha comenzado un verdadero juicio al pobre ex ciegos. Pero incluso este intento se desmorona.
(vv.24-34) El interrogatorio de las autoridades religiosas es apremiante. La pregunta es siempre la misma, el ex ciego no puede dejar de resaltar irónicamente el verdadero problema: son personas que no escuchan. Nada nuevo bajo el sol, la historia es siempre la misma, en todas partes y en todas las instituciones. Cuando se niega la evidencia de la verdad sin poder probarla, a falta de argumentos, siempre se intenta imponer el peso de la autoridad, invocándola precisamente porque carece de autoridad. Es la lógica de aquellos que han hecho de su propio credo un instrumento de poder, encerrado en una caja fuerte de esquemas orgullosos. Por lo tanto, mientras la ironía es la única “arma” en la boca del mendigo, la arrogancia siempre está en la boca del poderoso: se recurre al insulto y a la convocatoria de la comunidad como una necesidad para distanciar a los que están con la verdad. Para el hombre curado, la hostilidad y obstáculos son como los dolores de un parto que le dará aún más a la luz, listo para un encuentro cada vez más íntimo con Aquel que es la Luz. Los fariseos, por otra parte, estarán cada vez más inmersos en las tinieblas: ante Jesús siempre hay una revelación de lo que vive en el corazón de los hombres (cf. Lc 2.34-35). Fíjense en el creciendo del “nosotros sabemos” de los fariseos frente al “yo sólo sé” profesado por el ex ciego.
(vv.35-41) Pero incluso Dios sabe lo que está pasando, escuchó el proceso. Y, fielmente, busca y se pone inmediatamente a lado de quien ha sido expulsado de la comunidad humana. Una vez más es El quien toma la iniciativa. No puede ser de otra manera. Quien es liberado de la verdad (Jn 8.32) es desterrado por quien está en la oscuridad. Pero precisamente porque vive la historia misma de Jesús, ahora puede verla con alegría, cara a cara. Jesús le pregunta si cree en el Hijo del Hombre. Y el ex ciego responde: ¿quién es? Hemos llegado al corazón del Evangelio. La curación de la vista recibida era sólo un signo de la bondad de Dios. Su significado es un don aún mayor: el hombre ahora puede profesar su fe al ver a Aquel que sólo se hace ver en la fe. Y su nombre es: el que te habla. Sólo aquellos que oyen la Palabra pueden sanar de su ceguera innata. El principio de ver es escuchar una palabra creativa que no es mía, pero que me hace ser capaz de ver lo Invisible. El principio de la ceguera es en cambio el rechazo de esta palabra. Por lo tanto, el fin del Evangelio nos lleva de vuelta a su comienzo. Ahora podemos sacar algunas conclusiones.
A través del relato de la curación del ciego nacido, Jesús ofrece sanar de la culpa más peligrosa, capaz de cegar nuestro espíritu: el de pensar en el saber, y por lo tanto de “ver” quién es Dios y quién es el hombre, sin reconocer primero la primera ceguera. Sólo aquellos que escuchan y confían en su palabra pueden sanar y finalmente ver (conocer) quién es Dios y quién es el hombre. La Palabra de Dios primero debe cambiar, es decir, sanar, nuestra forma de pensar a Dios y al hombre. ¿Con qué hizo Jesús el barro luego aplicado a los ojos del ciego? Con su saliva. En estos tiempos somos más conscientes, por las prohibiciones y limitaciones que se nos imponen, de cómo nuestras palabras son transmitidas por la saliva. Hablas y la mayoría de las veces, sin darte cuenta, echas saliva. El barro hecho por Jesús es un elemento de carga simbólica muy fuerte: si su palabra llega a mi corazón, comienza un proceso inexorable que me llevará a ver quién es Dios y quién soy yo. Soy barro y produzco barro. Pero Dios, después de haberme sacado del polvo, en Jesús ha venido a mi barro, lo hizo suyo, y lo convirtió en el lugar de su revelación. Buscarlo en otro lugar es muy arriesgado. Él es el Enviado en cuya piscina, su Misericordia, yo me convierto en una maravillosa obra de Dios: como diría San Pablo, una nueva criatura (2Cor 5.17).