IL MIO BELLO E BUON MATRIMONIO DIVINUMANO

II DOMENICA DEL T.O.

ANNO C (2019)

Is 62,1-5; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

 

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

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Il vangelo di oggi appartiene alla categoria dei racconti ad alta densità simbolica. Si sa, quello di Giovanni è il più “teologico-simbolico” dei vangeli, nessuna sorpresa. Giovanni colloca questo episodio della vita di Gesù al principio di quella sezione del suo vangelo, normalmente denominata “il libro dei segni”: è il primo di una serie di segni che compie (ne racconterà 7 in tutto), dunque è di capitale importanza comprenderlo bene per l’interpretazione dei segni successivi, come pure della stessa storia di Gesù.

C’è una festa di nozze a Cana di Galilea e Giovanni subito annota che era presente anche Maria, la madre del Signore, ed erano stati invitati Gesù con i suoi discepoli (Gv 2,1-2). Non dice a che punto della festa siamo, ma solo che viene a mancare il vino e che la stessa Maria, rivolgendosi al figlio, sottolinea questa mancanza (Gv 2,3). Ora, pressoché in ogni cultura, se viene a mancare il vino in una festa di nozze, è come se nella finale dei mondiali di calcio venisse a mancare il pallone per continuare la partita. Non a caso vedremo più avanti che c’è una vera e propria gestione del vino nell’arco di tutto l’evento. Ma procediamo con calma. Gesù sembra rispondere in modo alquanto burbero ed enigmatico alla mamma. Poi aggiunge: non è ancora giunta la mia ora (Gv 2,4). E sua madre, come se niente fosse, dice ai servitori di fare qualsiasi cosa suo figlio comandi (Gv 2,5). E’ evidente, sin da queste prime battute, che l’intento dell’evangelista è di trasferirci dalla memoria semplicemente storica di quell’evento a un piano superiore di significato. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, da una semplice constatazione (è venuto a mancare il vino), si venga a parlare di un’ora che non è giunta e di un invito a fare qualsiasi cosa dica Gesù: non c’è logica. Come sempre, partiamo dalle domande che il testo può generare in superficie per cercare di cogliere il succo del vangelo.  

Per esempio: come mai il vino si è esaurito? Non si era provveduto alla sua giusta quantità? C’è stato un improvviso e non previsto “surplus” di persone? Perché Maria si rivolge inizialmente a Gesù, se poi è in grado di dar ordini ai servitori? Non poteva far notare prima a loro questa mancanza, oppure allo sposo? Se Giovanni fa questa operazione, vuol dirci che ciò che accade in quelle nozze rivela qualcosa che ha a che fare con la vita del Signore e la nostra vita. Non dimentichiamo che non poche volte nella Bibbia troviamo che Dio ispira profeti e altri uomini a parlare della relazione con il suo popolo come di una relazione sponsale. Dunque quella festa di nozze è icona di un altro matrimonio.

Parte un ordine da Gesù: bisogna riempire d’acqua le 6 anfore di pietra (le idrie) per le abluzioni rituali dei Giudei. I servitori eseguono l’ordine (Gv 2,6-7). Un altro ordine: ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto (Gv 2,8). I servi obbediscono nuovamente. Fermiamoci un po’, prima di tirare le somme con i versetti conclusivi. Se questo è un testo altamente simbolico, ogni dettaglio, ogni parola finora letta, non si trova lì per caso. I 6 recipienti di pietra per la purificazione richiamano il dono della Legge scritta sulle tavole di pietra, ma anche la sua pesantezza (ciascuna con volume tra gli 80 e i 120 litri) e incompiutezza (6 come i 6 giorni della creazione senza il settimo). Dunque il silenzioso miracolo che avviene, cioè quel buon vino che non appare dal nulla, bensì dall’acqua di cui erano prima vuote le giare (Gv 2,9), è segno del compimento di una storia e nello stesso tempo della novità inaudita che contiene. Infatti Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a darle pieno compimento (Mt 5,17). Però il modo con cui questo avviene, porta all’umanità il sigillo divino di una nuova alleanza che supera il fallimento della prima. Perché l’osservanza della Legge (ma qualcuno ci è riuscito?) con i suoi 613 precetti non è in grado di rallegrare la vita dell’uomo: ricordate il figlio maggiore della parabola lucana? Mancava ancora qualcosa, anzi Qualcuno, che è quel solo “di più” che può dare gioia al cuore umano.

Stiamo entrando lentamente dentro il senso profondo dell’evento nuziale posto all’inizio del vangelo come principio dei segni (Gv 2,11). In Gesù, Dio compie definitivamente le sue nozze con la nostra l’umanità, venendo incontro gratis ad ogni nostra attesa, ad ogni nostro desiderio di pienezza e felicità. Senza il vino, simbolo biblico dell’amore che da senso all’esistenza, cioè senza di Lui, ogni amore umano viene meno e la stessa Legge di Dio è lettera che non da vita. Giovanni vuol subito mettere in chiaro che nella storia di Gesù che ci racconterà, vedremo un Dio scandalosamente diverso da quello che ci immaginiamo: il primo segno del Figlio di Dio sta nel provvedere a più di 600 litri di vino per inebriare una festa di nozze! Gesù è la buona e gioiosa notizia di un Dio capace di cambiare il corso di una festa in procinto di spegnersi per mancanza di vino, icona di una vita umana avviata alla tristezza e votata al fallimento.

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Le nozze di Cana, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, gennaio 2019

Mi viene in mente una delle commedie cinematografiche più simpatiche degli ultimi decenni: il mio grosso grasso matrimonio greco. La storia di una giovane donna appartenente a una numerosa famiglia greca emigrata negli USA che sembra segnata dal destino imposto dalle rigorose tradizioni del suo popolo. Tutto si svolge inizialmente nella meticolosa descrizione di come proceda la vita all’interno del ristorante di famiglia dove la ragazza si sente imprigionata. Quella vita non le da gioia, non ha sapore. Cerca di uscire da essa attraverso un nuovo lavoro presso l’agenzia di viaggi della zia. Un piccolo cambiamento, una speranza. Ma l’evento che da svolta alla sua esistenza avviene con l’arrivo di un uomo che la nota dentro il negozio. Si accende la scintilla dell’attrazione reciproca. Quell’uomo però non è greco, e questo è un problema per suo padre. Allora costui invita una serie di uomini greci a cena, nella speranza di far cambiare il cuore di sua figlia. Ma il volto di lei si annoia e intristisce. La festa di nozze giunge al termine del faticoso cambiamento del padre che accetta la diversità del futuro genero. Solo l’imprevedibilità dell’amore può allietare il cuore. I progetti umani alla lunga non reggono.

La memoria di questo film mi aiuta a chiudere commentando il finale del vangelo. Il maestro di tavola appare sulla scena invitato da Gesù ad assaggiare il contenuto delle giare; subito dopo, chiama lo sposo per fargli notare che per tradizione a tavola si beve subito il vino più buono per poi lasciar spazio, quando si è già bevuto abbastanza, a quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora (Gv 2,10). Colui che dirige il banchetto rappresenta i maestri di Israele. Il vino nuovo è offerto anche a loro, eppure da come si esprime questo maestro di tavola, non sembra esserci gioia, ma un ché di disappunto, se non un lamento. Le cose in quelle nozze non sono andate per il verso giusto, cioè secondo tradizione. Anche oggi, come fu per i capi di Israele, molti nella chiesa di Dio sono così occupati ad essere capi dei propri progetti/tradizioni da non accettare le sue sorprese, ovvero l’eterna novità che lo Sposo porta con sé. E la gioia della Sposa ne risente! Ma non in coloro che sono contenti di non sapere ancora molte cose dello Sposo e credono ancora nei suoi segni (Gv 2,11).

 

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MI LINDO Y BUEN MATRIMONIO DIVINO-HUMANO

 

El evangelio de hoy pertenece a la categoría de los relatos de alta densidad simbólica. Se sabe, aquello de Juan es el más “teológico-simbólico” de los evangelios, ninguna sorpresa. Juan coloca este episodio de la vida de Jesús al principio de aquella sección de su evangelio, normalmente denominada “el libro de los signos”: es el primero de una serie de signos que cumple (relatará 7 en todo), entonces es de capital importancia comprenderlo bien para la interpretación de los signos sucesivos, como también de la misma historia de Jesús.

Hay una fiesta de bodas en Caná de Galilea y Juan inmediatamente escribe que María también estaba presente, la madre del Señor, y habían sido invitados Jesús con sus discípulos (Jn 2,1-2). No dice a qué punto de la fiesta estamos, sino solo que falta el vino y que la misma María, dirigiéndose al hijo, subraya esta falta (Jn 2,3). Ahora, casi en cada cultura, si falta el vino en una fiesta de bodas, es como si en los finales del mundial de futbol faltara la pelota para continuar el partido. No casualmente veremos más adelante que hay una verdadera y justa gestión del vino en el arco de todo el evento. Pero procedamos con calma. Jesús parece responder de manera malhumorada y enigmática a la madre. Luego agrega: no ha llegado aún mi hora (Jn 2,4). Y su madre, como si nada fuera, dice a sus servidores que hagan lo que su hijo les ordene (Jn 2,5). Es evidente, desde estas primeras respuestas, que el intento del evangelista es de transferirnos de la memoria simplemente histórica de aquél evento a un plano superior de significado. Sino no se explicaría cómo así, de una simple constatación (ha faltado el vino), se venga a hablar de una hora que no ha llegado y de una invitación a hacer cualquier cosa Jesús diga: no hay lógica. Como siempre, partimos de las preguntas que el texto puede generar en la superficie para buscar de tomar el jugo del evangelio.

Por ejemplo: ¿cómo así el vino se ha acabado? ¿No se había previsto la justa cantidad? ¿Ha habido un imprevisto y no previsto “surplus” de personas? ¿Por qué María se dirige inicialmente a Jesús, si luego está en grado de dar órdenes a los servidores? ¿No podía hacer notar antes a ellos la falta, o sino al esposo? Si Juan hace esta operación, quiere decir que lo que sucede en aquella boda revela algo que tiene que ver con la vida del Señor y nuestra vida. No nos olvidemos que no pocas veces en la Biblia encontramos que Dios inspira a profetas y otros hombres a hablar de la relación con su pueblo como una relación esponsal. Entonces aquella fiesta de bodas es icono de otro matrimonio.

Parte una orden de Jesús: es necesario llenar de agua las 6 ánforas de piedra  para las abluciones rituales de los Judíos. Los servidores siguen la orden (Jn 2,6-7). Otra orden: Saquen ahora, les dijo, y llévenle al mayordomo (Jn 2,8). Los siervos obedecen nuevamente. Detengámonos un poco, antes de sacar las cuentas con los versículos conclusivos. Si este es un texto altamente simbólico, cada detalle, cada palabra hasta ahora leída, no se encuentra allí por casualidad. Los 6 contenedores de piedra para la purificación recuerdan el don de la Ley escrita sobre las tablas de piedra, pero también su pesantez (cada una con volumen entre los 80 y los 120 litros) e incompleto (6 como los 6 días de la creación sin el séptimo). Entonces el silencioso milagro que sucede, o sea aquél buen vino que no aparece de la nada, sino del agua del cual estaban vacías antes las odres (Jn 2,9), es signo del cumplimiento de una historia y al mismo tiempo de la novedad inaudita que contiene. De hecho Jesús no ha venido para abolir la Ley, sino para darle pleno cumplimiento (Mt 5,17). Pero el modo en el cual esto sucede, lleva a la humanidad el sigilo divino de una nueva alianza que supera el fracaso de la primera. Porque el observar la Ley (¿alguien lo ha logrado?) con sus 613 preceptos no está en grado de alegrar la vida del hombre: ¿recuerdan al hijo mayor de la parábola lucana? Faltaba todavía algo, es más Alguien, que es sólo aquél “más” que puede dar gozo al corazón humano.

Estamos entrando lentamente dentro del sentido profundo del evento nupcial puesto al inicio del evangelio como principio de los signos (Jn 2,11). En Jesús, Dios cumple definitivamente su boda con nuestra humanidad, viniendo al encuentro gratis a cada una de  nuestra espera, a cada uno de nuestros deseos de plenitud y felicidad. Sin el vino, símbolo bíblico del amor que da sentido a la existencia, o sea sin Él, cada amor humano desaparece y la misma Ley de Dios es letra que no da vida. Juan quiere inmediatamente poner en claro que en la historia de Jesús que nos relatará, veremos a un Dios escandalosamente diferente de aquél que nos imaginamos: el primer signo del Hijo de Dios está en el proveer ¡más de 600 litros de vino para embriagar una fiesta de bodas! Jesús es la buena y gozosa noticia de un Dios capaz de cambiar el curso de una fiesta en peligro de apagarse por falta de vino, icono de una vida humana dirigida a la tristeza y votada al fracaso.

Me viene en mente una de las comedias cinematográficas más simpáticas de los últimos decenios: mi grande gordo matrimonio griego. La historia de una joven mujer perteneciente a una numerosa familia griega inmigrada en los Estados Unidos que parece marcada por el destino impuesto de las rigurosas tradiciones de su pueblo. Todo se desarrolla inicialmente en la meticulosa descripción de cómo procede la vida al interior del restaurante de familia donde la joven se siente prisionera. Aquella vida no le da gozo, no tiene sabor. Busca salir de ella a través de un nuevo trabajo en la agencia de viaje de la tia. Un pequeño cambio, una esperanza. Pero el evento que da el cambio a su existencia sucede con la llegada de un hombre que la nota dentro del negocio. Se enciende la chispa de la atracción recíproca. Pero aquél hombre no es griego, y esto es un problema para su padre. Entonces este invita una serie de hombres griegos a cena, con la esperanza de hacer cambiar el corazón de su hija. Pero el rostro de ella se aburre y entristece. La fiesta de bodas llega al final del fatigoso cambio del padre que acepta la diversidad del futuro yerno. Solo la imprevisibilidad del amor puede alegrar el corazón. Los proyectos humanos a la larga no resisten.

La memoria de esta película me ayuda a cerrar comentando el final del evangelio. El mayordomo aparece en la escena invitado por Jesús a probar el contenido de las odres; inmediatamente después, llama al esposo para hacerle notar que por tradición en la mesa se bebe inmediatamente el vino más bueno para luego dejar espacio, cuando se ha bebido mucho, a aquello menos bueno.  Tú has dejado el mejor vino para el final (Jn 2,10). Aquél que dirige el banquete representa a los maestros de Israel. El vino nuevo es ofrecido también a ellos, sin embargo por cómo se expresa este mayordomo, no parece estar contento, sino con algo de descontento, o un cierto lamento. Las cosas en aquella boda no han ido por el camino justo, o sea según la tradición. También hoy, como fue para los jefes de Israel, muchos en la iglesia de Dios están así ocupados a ser jefes de los propios proyectos/tradiciones que no aceptan sus sorpresas, es decir la eterna novedad que el Esposo trae consigo. ¡Y el gozo de la Esposa lo siente! Pero no en aquellos que están contentos de no saber todavía muchas cosas del Esposo y creen todavía en sus signos (Jn 2,11).