QUEL LUMINOSO GIUDIZIO CHE CI SALVA

IV DOMENICA DI QUARESIMA

anno A (2023)

1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

 

Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

_________________________

Il racconto che la liturgia di questa domenica mette sotto i nostri occhi è il celebre episodio della guarigione del nato cieco. La densità simbolica del segno che Gesù compie è molto importante. La lunghezza narrativa e le varie le chiavi di lettura possibili ne sono la prova. Mi limito a commentarlo sulla falsariga delle antitesi verbali “sapere/non sapere” e “vedere/non vedere” che percorrono il cuore del racconto. Il cieco nato viene graziato dal Signore mentre i discepoli gli pongono una domanda che riflette il pensiero religioso più comune: se uno si trova addosso una menomazione avrà sicuramente peccato o ereditato il peccato da qualche familiare, allora dicci come stanno le cose per costui. Questo modo di parlare e vedere la condizione di un uomo menomato viene capovolta da Gesù (Gv 9,3). E qui c’è già tutta la sfida della fede. Vedere qualcosa che ci ha fatto male o comunque che ci ha segnato, non più come un errore da cancellare, ma come luogo in cui Dio ci vuole parlare, un luogo in cui si vuole rivelare. E dunque venire a contatto con una sapienza nuova.

La vicenda si complica a causa delle varie reazioni dei vicini e dei farisei che si imbattono nell’uomo guarito dalla sua cecità. C’è chi lo riconosce e chi non lo riconosce, c’è chi si interroga e c’è chi si incarta nelle proprie convinzioni, negando di trovarsi di fronte a un miracolo. Inizia un dissenso tra le persone che per prime si trovano a interrogare l’ex-cieco. Questo però gli permette di raccontare come sono andate le cose. Ma alla domanda che chiede dove si trovi Gesù, suo benefattore, egli non sa rispondere. È il primo di una serie di “non so” che compare sulle labbra dell’uomo guarito (Gv 9,12). Penso che persino Socrate si sarebbe decisamente interessato di costui e della sua testimonianza, se come uomo e filosofo diceva che l’unica cosa certa che sapeva, era “sapere di non sapere. E poi, davanti a un uomo che ha recuperato la vista, non si dovrebbe partire dal bene insperato che egli ha ricevuto? Noi esseri umani siamo spesso degli animali strani. Se qualcosa non rientra subito nella nostra logica siamo capaci di chiuderci nelle nostre 3-4 convinzioni, arrivando a sconfessare persino l’evidenza: ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista. E si va a caccia di un sostegno alle proprie orgogliose (e quindi stupide) tesi, tormentando anche l’anima di chi potrebbe godere con l’interessato di quanto accaduto. Come quella dei genitori di quell’ex-cieco che, sottoposti al pressante interrogatorio dei giudei, vengono sopraffatti più dalla paura che dalla sorpresa di ritrovare il proprio figlio guarito (Gv 9,19-23). Ma nemmeno la sincera confessione di costoro scalfisce la loro presunzione. Nel religioso è nascosto il volto più nauseante del potere. Che però non potrà restare a lungo nascosto.

4

Nell’ultimo interrogatorio infatti, esce allo scoperto: da gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore (Gv 9,24). Ecco la sicurezza (falsa) di chi vive la religione con il suo sapere per dominare sulle coscienze, pronto a giudicare sempre tutto e tutti, elevandosi sugli altri fino al disprezzo e all’arroganza di escluderli dalla comunità (Gv 9,25-34). Tuttavia, la finissima ironia dell’evangelista mette in risalto, per contrasto, cosa significhi la condizione di quell’uomo beneficato da Dio che non si capacita delle continue interrogazioni a cui è sottoposto: egli che ha accolto il suo dono, anche se dichiarandosi insipiente sull’identità del benefattore, già ne condivide il destino sofferente rimanendo lucido (= nella luce) nel suo ragionamento. Ogni uomo che incontra la bontà di Dio e si incammina nella sua conoscenza, sperimenta subito l’opposizione e l’esclusione del mondo. Chi infatti serve le logiche della mentalità di questo mondo, non sa rallegrarsi del bene altrui, né lo persegue. Anzi, lo sente come una minaccia e non può accettarne la testimonianza: sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? (Gv 9,34)

Il finale del vangelo ci aiuta a comprendere cosa c’è in ballo per uno che vuole occuparsi seriamente della fede in Cristo. In ballo c’è un’immagine di Dio e un’immagine dell’uomo, il servire/amare Dio o un sistema religioso satanico, la sapienza di questo mondo o la sapienza della croce, conoscere realmente chi è Dio o conoscere soltanto le nostre idee su di Lui, credere o non credere al Signore Gesù. Oppure, come direbbe lo stesso Giovanni evangelista, scegliere la luce o preferire le tenebre (cfr. Gv 3,19) Egli infatti, dopo aver completato la sua opera nel raggiungere il cuore dell’uomo guarito con ben altra domanda (Gv 9,35), non lascia adito a dubbi su ciò che le sue opere compiono tra gli uomini, al di là del bene immediato che procura: è per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano; e quelli che vedono, diventino ciechi (Gv 9,39). Un giudizio misericordioso quello di Dio, anche se a una prima lettura di questi versetti può sembrare il contrario. Perché solo chi ammette di non vedere può permettere alla luce di fargli vedere. Ma a chi si dichiara vedente mentre vive nelle tenebre, il miglior servizio che gli possa fare la luce è quello di accecarlo. Forse allora, con il tempo e in libertà, scoprirà di essere spiritualmente cieco dalla nascita e sceglierà la luce. Come avvenne un giorno a Saulo di Tarso sulla via di Damasco. Diversamente, come ci dice Gesù, il peccato rimane in chi preferisce restare nelle tenebre e non lasciarsi guarire (Gv 9,41).

********************

ESE BRILLANTE JUICIO QUE NOS SALVA

El relato que la liturgia de este domingo pone ante nuestros ojos es el célebre episodio de la curación del nacido ciego. La densidad simbólica del signo que Jesús realiza es muy importante. La longitud narrativa y las diversas claves de lecturas posibles son la prueba. Me limito a comentarlo en la línea de las antítesis verbales “saber/no saber” y “ver/no ver” que recorren el corazón del relato. El ciego nacido es indultado por el Señor mientras los discípulos le hacen una pregunta que refleja el pensamiento religioso más común: si uno se encuentra con una minusvalía seguramente habrá pecado o heredado el pecado de algún familiar, entonces dinos cómo están las cosas para él. Este modo de hablar y ver la condición de un hombre minusválido es invertido por Jesús (Jn 9,3). Y aquí está ya todo el desafío de la fe. Ver algo que nos ha hecho daño o que nos ha marcado, ya no como un error a borrar, sino como un lugar donde Dios nos quiere hablar, un lugar donde se quiere revelar. Y así entrar en contacto con una nueva sabiduría.

La historia se complica por las diversas reacciones de los vecinos y de los fariseos que se encuentran con el hombre curado de su ceguera. Hay quien lo reconoce y quien no lo reconoce, hay quien se interroga y hay quien se envuelve en las propias convicciones, negando encontrarse ante un milagro. Comienza un disenso entre las personas que son las primeras en interrogar al ex ciego. Pero esto les permite contar cómo han ido las cosas. Pero a la interrogación que pregunta dónde está Jesús, su bienhechor, no sabe responder. Es el primero de una serie de “no sé” que aparece en los labios del hombre curado (Jn 9,12). Creo que incluso Sócrates se habría interesado decididamente por él y por su testimonio, si como hombre y filósofo decía que lo único cierto que sabía era “saber que no sabía”. Y luego, ante un hombre que ha recuperado la vista, ¿no se debería partir del bien inesperado que ha recibido? Los humanos somos a menudo animales extraños. Si algo no entra inmediatamente en nuestra lógica somos capaces de encerrarnos en nuestras 3-4 convicciones, llegando incluso a desautorizar la evidencia: pero los judíos no creyeron de él que hubiera sido ciego y que hubiera adquirido la vista. Y se va a buscar un apoyo a sus orgullosas (y por lo tanto estúpidas) tesis, atormentando también el alma de quien podría disfrutar con el interesado de lo sucedido. Como la de los padres de aquel ex ciego que, sometidos al apremiante interrogatorio de los judíos, se ven más abrumados por el miedo que por la sorpresa de encontrar a su hijo curado (Jn 9,19-23). Pero ni siquiera la sincera confesión de estos hombres socava su presunción. En el religioso está escondido el rostro más nauseabundo del poder. Pero no podra esconderse por mucho tiempo.

En el último interrogatorio, de hecho, sale al descubierto: ¡de gloria a Dios! Nosotros sabemos que este hombre es un pecador (Jn 9,24). He aquí la seguridad (falsa) de quien vive la religión con su saber para dominar sobre las conciencias, dispuesto a juzgar siempre todo y a todos, elevándose sobre los demás hasta el desprecio y la arrogancia de excluirlos de la comunidad (Jn 9,25-34). Sin embargo, la finísima ironía del evangelista pone de relieve, por contraste, lo que significa la condición de aquel hombre beneficiado por Dios que no se capacita para las continuas preguntas a las que está sometido: él que ha acogido su don, aunque se declara insipiente sobre la identidad del benefactor, comparte ya su destino sufriente permaneciendo lúcido (= en la luz) en su razonamiento. Todo hombre que encuentra la bondad de Dios y se encamina en su conocimiento, experimenta inmediatamente la oposición y la exclusión del mundo. En efecto, quien sirve las lógicas de la mentalidad de este mundo, no sabe alegrarse del bien ajeno, ni lo persigue. Más aún, lo siente como una amenaza y no puede aceptar su testimonio: no eres más que pecado desde tu nacimiento y ¿pretendes darnos leciones a nosotros? (Jn 9,34)

El final del evangelio nos ayuda a entender lo que está en juego para alguien que quiere ocuparse seriamente de la fe en Cristo. Está en juego una imagen de Dios y una imagen del hombre, el servir/amar a Dios o un sistema religioso satánico, la sabiduría de este mundo o la sabiduría de la cruz, conocer realmente quién es Dios o conocer solamente nuestras ideas sobre Él, creer o no creer en el Señor Jesús. O, como diría el mismo Juan evangelista, elegir la luz o preferir las tinieblas (cfr. Jn 3,19) En efecto, después de haber completado su obra al llegar al corazón del hombre sanado con otra pregunta (Jn 9,35), no deja lugar a dudas sobre lo que sus obras realizan entre los hombres, más allá del bien inmediato que procura: es por un juicio que he venido a este mundo, para que los que no ven, vean; y los que ven, se vuelvan ciegos (Jn 9,39). Un juicio misericordioso el de Dios, aunque en una primera lectura de estos versículos pueda parecer lo contrario. Porque solo quien admite no ver puede permitir que la luz le muestre. Pero a quien se declara vidente mientras vive en las tinieblas, el mejor servicio que le puede hacer la luz es cegarlo. Quizás entonces, con el tiempo y en libertad, descubrirá que es espiritualmente ciego desde el nacimiento y elegirá la luz. Como sucedió un día a Saulo de Tarso en el camino de Damasco. De lo contrario, como nos dice Jesús, el pecado permanece en quien prefiere permanecer en las tinieblas y no dejarse curar (Jn 9,41)