VI DOMENICA DEL T.O.
anno C (2025)
Ger 17,5-8; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
____________________
Secondo Luca evangelista, per proclamare le beatitudini Gesù scende con gli apostoli in un luogo pianeggiante, non sale su una montagna (cfr. Matteo). Le due diverse indicazioni non sono contraddittorie, spiritualmente parlando. Per ascendere bisogna discendere, come Dio ha fatto in Gesù Cristo. E certamente le beatitudini sono come una mappa per potersi ritrovare in Dio, anche se Luca ne conta solo 4 (Matteo invece 9), aggiungendovi i severi ammonimenti come “guai” per alcune categorie di persone. Ogni volta che leggo le beatitudini, viene subito da pensare quanto sia paradossale la felicità per la nostra fede. Ciò che il mondo rifugge, ciò che il mondo vede come disgustoso e stolto, anzi, ciò che il mondo evita di guardare, Dio lo proclama beato. Povertà, fame, pianto, sofferenza procurata da odio, disprezzo, insulto ed esclusione: queste condizioni in cui si può trovare l’essere umano, chiunque egli sia, dovunque egli si trovi, sono l’anticamera della felicità, quella parola che ogni cuore umano rincorre per tutta la vita, perché se l’uomo la desidera vuol dire che esiste.
Di chi fidarsi nella vita per trovare la felicità? Questo è l’amletico dilemma dell’uomo postmoderno. Sono apparsi sulla faccia del pianeta nuovi profeti e guru (il vangelo lo ha ampiamente previsto) che si propongono sul web e su altri palcoscenici come guide e punti di riferimento che parlano di felicità e aiutano a trovare la felicità. Si tratta soprattutto di figure che spesso offrono una (presunta) nuova sapienza per raggiungerla. Ma il vero credente non dimentica quanto Paolo ha lasciato scritto: anche noi parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Cor 2,6-8). Noi cristiani sappiamo qual è la strada che conduce alla felicità: è la stessa che ha percorso nostro Signore Gesù Cristo.
Questa strada difficile tracciata da Gesù è l’unica che non delude, perché non illude. È sommamente interessante notare come Luca dichiara beati già nel loro presente doloroso poveri, affamati, afflitti e oppressi, perché hanno un futuro assicurato: si ritroveranno in Dio perché Dio è già dalla loro parte. Questa fede ha il potere di farli rallegrare, anzi, esultare nella sofferenza. Come sia possibile ciò, ovvero gioire nella sofferenza, Pietro ce lo spiega con queste parole: è una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente (1Pt 2,19). E Francesco di Assisi invece lo farà scrivere dettando a frate Leone queste parole: “…che nel subire ogni sorta di ingiurie, pene e altri disagi con pazienza e allegrezza, ivi è perfetta letizia”. Il grande, meraviglioso mistero della nostra fede sta che nella Croce del Signore c’è la sorgente della felicità. Ma questo è anche scandalo per il pensiero religioso comune e stoltezza per il sapiente di questo mondo (cfr. 1Cor 1,23). Patire a causa del Figlio dell’uomo certifica l’autenticità del discepolato e garantisce una ricompensa grande nel cielo, poiché allo stesso modo agivano i loro padri con i profeti: lungo tutta la storia della salvezza, gli amici di Dio sono sempre stati trattati così dai potenti.
Come accennato in apertura, Luca spende parole di grave ammonimento per i ricchi, per quelli che hanno la pancia piena, per quelli che bastano a sé stessi vivendo appagati di ciò che possiedono, per coloro che se la ridono e vivono del consenso altrui. Il regno di Dio non può essere per loro. Mi sembra importante qui richiamare quanto dice Geremia nella 1a lettura: maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. È una chiave di lettura molto luminosa per comprendere le beatitudini. L’uomo che costruisce la sua vita e pone la sua sicurezza su ciò che non regge all’urto del tempo e della morte, è un uomo che non ha futuro, perché si allontana da Dio. O meglio, non curandosi di Dio e delle sue parole, il suo futuro sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene e dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine dove nessuno può vivere. E Gesù riecheggia questa efficace immagine annunciando il capovolgimento della situazione di costoro: avete già ricevuto la vostra consolazione, avrete fame, sarete nel dolore e piangerete. Il bello è che di costoro si diceva solo un gran bene: i falsi amici di Dio nella storia sono sempre stati lieti di essere circondati da uomini potenti e di essere da loro accreditati. Preoccupati di una buona reputazione da difendere, non si sono lasciati convertire dalla sapienza della Croce. Detto questo, è allora urgente convertirsi uscendo dall’inganno di ciò che alla lunga non lascia felici. Basta ritornare al Signore con tutto il cuore, perché è benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia.
****************
LA FELICIDAD ES PARADÓJICA
Según Lucas evangelista, para proclamar las bienaventuranzas Jesús baja con los apóstoles a un lugar llano, no sube a una montaña (cf. Mateo). Las dos indicaciones no son contradictorias, espiritualmente hablando. Para ascender hay que descender, como Dios hizo en Jesucristo. Ciertamente las bienaventuranzas son como un mapa para poder encontrarse en Dios, aunque Lucas solo cuenta 4 (Mateo 9), añadiendo a ello las severas advertencias como “problemas” para algunas categorías de personas. Cada vez que leo las bienaventuranzas, inmediatamente se piensa lo paradójica que es la felicidad para nuestra fe. Lo que el mundo rechaza, lo que el mundo ve como repugnante y necio, más aún, lo que el mundo evita mirar, Dios lo proclama bienaventurado. Pobreza, hambre, llanto, sufrimiento provocado por el odio, desprecio, insulto y exclusión: estas condiciones en las que se puede encontrar al ser humano, quienquiera que sea, dondequiera que esté, son la antesala de la felicidad, Esa palabra que todo corazón humano persigue durante toda la vida porque, si el hombre la desea quiere decir que existe.
¿En quién confiar para encontrar la felicidad? Este es el dilema l’amletico del hombre posmoderno. Han aparecido en la faz del planeta nuevos profetas y gurús (el evangelio lo ha previsto ampliamente) que se proponen en la web y en otros escenarios como guías y puntos de referencia que hablan de felicidad y ayudan a encontrar la felicidad. Se trata sobre todo de figuras que ofrecen a menudo una (supuesta) nueva sabiduría para alcanzarla. Pero el verdadero creyente no olvida lo que Pablo dejó escrito: También nosotros hablamos de sabiduría, sí, pero de una sabiduría que no es de este mundo, ni de los gobernantes de este mundo que son reducidos a la nada; hablamos de una sabiduría divina, misteriosa, que ha permanecido oculta y que Dios ha preordenado antes de los siglos para nuestra gloria. Ninguno de los gobernantes de este mundo pudo conocerla; si lo hubieran hecho, no habrían crucificado al Señor de gloria. (1Cor 2,6-8). Nosotros los cristianos sabemos cuál es el camino que conduce a la felicidad: es el mismo que recorrió nuestro Señor Jesucristo.
Este camino difícil trazado por Jesús es el único que no decepciona, porque no engaña. Es sumamente interesante observar cómo Lucas declara bienaventurados ya en su presente doloroso a los pobres, hambrientos, afligidos y oprimidos, porque tienen un futuro asegurado: se encontrarán en Dios porque Dios ya está de su lado. Esta fe tiene el poder de hacerlos alegrar, más aún, exultar en el sufrimiento. Cómo es posible esto, o regocijarse en el sufrimiento, Pedro nos lo explica con estas palabras: es una gracia para quien conoce a Dios sufrir aflicciones, sufriendo injustamente (1Pt 2,19). Francisco de Asís, en cambio, lo hará escribir dictando al fraile León estas palabras: “… que en sufrir toda clase de injurias, penas y otros inconvenientes con paciencia y alegría, allí está la perfecta alegría”. El gran y maravilloso misterio de nuestra fe es que en la cruz del Señor está la fuente de la felicidad. Pero esto es también escándalo para el pensamiento religioso común y necedad para el sabio de este mundo (cf. 1Cor 1,23). Sufrir por el Hijo del hombre certifica la autenticidad del discipulado y garantiza una gran recompensa en el cielo, ya que sus padres actuaron de la misma manera con los profetas: a lo largo de toda la historia de la salvación, los amigos de Dios han sido tratados así por los potentes.
Como se mencionó en la apertura, Lucas gasta palabras de grave admonición para los ricos, para los que tienen el vientre lleno, para los que se bastan a sí mismos viviendo satisfechos de lo que poseen, para los que se ríen y viven del consentimiento ajeno. El reino de Dios no puede ser para ellos. Me parece importante recordar aquí lo que dice Jeremías en la 1era lectura: Maldito el hombre que confía en el hombre y pone su sustento en la carne, apartando su corazón del Señor. Es una clave de lectura muy luminosa para comprender las bienaventuranzas. El hombre que construye su vida y pone su seguridad sobre lo que no soporta la embestida del tiempo y de la muerte, es un hombre que no tiene futuro, porque se aleja de Dios. Más bien, no se preocupa de Dios ni de sus palabras, su futuro será como un tamerisco en la estepa; no verá venir el bien y morará en lugares áridos del desierto, en una tierra de sal donde nadie puede vivir. Y Jesús hace eco de esta imagen eficaz anunciando el vuelco de la situación de ellos: ya recibieron su consuelo, tendrán hambre, estarán en dolor y llorarán.. Lo bonito es que de ellos se decía solo un gran bien: los falsos amigos de Dios en la historia siempre han estado contentos de estar rodeados por hombres poderosos y de ser acreditados por ellos. Preocupados por una buena reputación que defender, no se han dejado convertir por la sabiduría de la Cruz. Dicho esto, es entonces urgente convertirse saliendo del engaño de lo que a la larga no deja felices. Basta volver al Señor con todo el corazón, porque bendito es el hombre que confía en el Señor y el Señor es su confianza.
