CHI VIVE BENEDETTO, BENEDICE DIO

ASCENSIONE DEL SIGNORE

anno C (2019)

At 1,1-11; Eb 9,24-28.10,19-23; Lc 24,46-53

Disse Gesù ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

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Ascensione
Ascensione, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, giugno 2015

Nella liturgia di questa domenica Luca ci offre il duplice racconto dell’ascensione al cielo del Signore come conclusione del suo Vangelo e come avvio degli Atti degli Apostoli. E’ il “trait d’union” tra il tempo di Gesù e il tempo della sua chiesa. E’ “il passaggio del testimone” della sua missione. Non a caso la consegna che ne fa il Signore pone l’accento sulla testimonianza degli apostoli (At 1,8 e Lc 24,48). In Gesù che ascende al cielo abbiamo la certezza del nostro destino: conoscendo pienamente da dove Egli è venuto, perché vediamo dove va, conosciamo anche dove noi andremo. La nostra patria infatti è nei cieli (Fil 3,20) e la nostra vita è ormai nascosta in Cristo (Col 3,3). Per il credente la vita non è sospesa nel nulla, perché ha trovato in Dio il suo principio e il suo destino. C’è però una via da percorrere.

Così sta scritto, dice il Signore Gesù offrendo l’unica chiave interpretativa delle scritture, capace di aprire menti e cuori alla sua intelligenza (Lc 24,45-46). Questa è la via da ri-percorrere: il mistero della sua sofferenza, della sua morte e della sua resurrezione. Io sono la via, la verità, la vita (Gv 14,6). Ora la mia storia deve ripetere la sua. La storia di Gesù è la lezione di amore da imparare/sperimentare su sé stessi. Umanamente, come i due discepoli verso Emmaus prima di incontrare il Pellegrino, noi non siamo ben disposti a ripercorrere la sua strada. Non abbiamo la forza né di percorrerla, né di capirla. Perciò abbiamo bisogno di toccare la nostra impotenza per sperimentare la sua potenza. Difatti, prima di staccarsi solo corporalmente dai suoi, il Signore raccomanda vivamente di rimanere in attesa dello Spirito (At 1,8a), perché vengano rivestiti di potenza dall’alto (Lc 24,49).

Dunque negli ultimi istanti che precedono la sua ascensione, Gesù si premura di riassumere, in pochissime parole e in un unico gesto, quello che è stato il compito della sua vita e che ora sarà il compito dei discepoli: annunciare la salvezza dell’umanità avvenuta nella sua passione-morte-resurrezione, insieme agli ineffabili doni della conversione e del perdono dei peccati (Lc 24,47b). Ogni uomo ha diritto di sapere che il suo destino è cambiato, perché Dio stesso l’ha cambiato facendo grazia a tutto il genere umano. Il tempo della chiesa è allora il tempo di questo annuncio che deve raggiungere ogni angolo della terra abitato da un uomo (At 1,8b e Lc 24,47a). Sarebbe sufficiente meditare l’ascensione per convincersi della natura missionaria della chiesa, cosa ancora troppo poco compresa dai suoi figli, malgrado gli sforzi educativi di papa Francesco; verrà il mistero di Pentecoste, domenica prossima, a spiegare e sigillare questa verità.

Infine, il gesto finale di Gesù: mentre si eleva verso il cielo, alza le mani e benedice i suoi discepoli (Lc 24,50-51). Sappiamo che è sempre difficile staccarsi dalle persone che si amano, eppure qui c’è un’aria di gioia che avvolge tutti (Lc 24,52-53). Come mai? Può la dipartita di qualcuno che amiamo essere una benedizione? E’ possibile staccarsene nella gioia? E’ possibile che in un momento del genere ci si senta addosso la benedizione di Dio e a propria volta si benedica Dio? Il cristianesimo ha sin dalla sua fondazione questa connotazione: sì, è possibile, così come è possibile, quale compimento di un cammino spirituale, veder convivere insieme, nel proprio cuore, sofferenza e gioia. Quando uno zio a me molto caro sin dall’infanzia è giunto al termine dei suoi giorni, io ero al suo capezzale. Era in ospedale e stava per entrare in coma farmacologico. Mi sono trovato da solo con lui ma già non riusciva più a parlare, e quel giorno sembrava dormisse. Nel silenzio di quella stanza mi sono raccolto in preghiera. Subito la mia mente si è affollata di ricordi stupendi: ero il suo nipotino preferito! Avevo il capo reclinato in avanti tra le mie mani, quando improvvisamente avvertii che la sua mano si poggiava sulla mia testa. Alzai gli occhi: aveva il volto sereno con gli occhi chiusi, eppure da quella mano sentii chiaramente che passava la sua benedizione. Anche se dopo pochi giorni se ne andò, una gioia particolare rimase dentro di me e non se ne è più andata. Benedico Dio ancora oggi per mio zio Severino. La vita è diventare una benedizione a-Dio e di-Dio per gli altri.

 

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QUIEN VIVE BENDECIDO, BENDICE A DIOS

 

En la liturgia de este domingo Lucas nos ofrece el doble relato de la ascensión al cielo del Señor como conclusión de su Evangelio y como inicio de los Hechos de los Apóstoles. Es la “línea de unión” entre el tiempo de Jesús y el tiempo de su iglesia. Es “el pasaje del testimonio” de su misión. No por casualidad la entrega que hace el Señor pone el acento sobre el testimonio de los apóstoles (He 1,8 e Lc 24,48). En Jesús que asciende al cielo tenemos la certeza de nuestro destino: conociendo plenamente de donde Él ha venido, porque vemos a dónde va, conocemos también a dónde nosotros iremos. Nuestra patria de hecho está en el cielo (Fil 3,20) y nuestra vida está ya escondida en Cristo (Col 3,3). Para los creyentes la vida no está suspendida en la nada, porque ha encontrado en Dios su principio y su destino. Pero hay una vida por recorrer.

Así está escrito, dice el Señor Jesús ofreciendo la única llave interpretativa de las escrituras, capaz de abrir mentes y corazones a su inteligencia (Lc 24,45-46). Esta es el camino por re-correr: el misterio de su sufrimiento, de su muerte y de su resurrección. Yo soy el camino, la verdad, la vida (Jn 14,6). Ahora mi historia debe repetir la suya. La historia de Jesús es la lección de amor por aprender/probar sobre sí mismos. Humanamente, como los dos discípulos hacia Emaús antes de encontrar al Peregrino, nosotros no estamos bien dispuestos a recorrer su camino. No tenemos la fuerza ni de recorrerla, ni de entenderla. Por lo cual necesitamos tocar nuestra impotencia para experimentar su potencia. De hecho, antes de separarse solo corporalmente de los suyos, el Señor aconseja vivamente quedarse en espera del Espíritu (He 1,8a), para que sean revestidos de potencia del alto (Lc 24,49).

Entonces en los últimos instantes que preceden su ascensión, Jesús se apura de sintetizar en pocas palabras y en un único gesto, lo que ha sido la tarea de su vida y que ahora será la tarea de los discípulos: anunciar la salvación de la humanidad que tuvo lugar en su pasión-muerte-resurrección, junto a los inefables dones de la conversión y del perdón de los pecados (Lc 24,47b). Cada hombre tiene el derecho de saber que su destino ha cambiado, porque Dios mismo lo ha cambiado haciendo gracia a todo el genere humano. El tiempo de la iglesia es entonces el tiempo de este anuncio que debe alcanzar cada ángulo de la tierra habitado por un hombre (He 1,8b y Lc 24,47a). Sería suficiente meditar la ascensión para convencernos de la naturaleza misionera de la iglesia, cosa todavía demasiado poco comprendida de sus hijos, a pesar de los esfuerzos educativos de Papa Francisco; vendrá el misterio de Pentecostés, el domingo próximo, a explicar y sellar esta verdad.

En fin, el gesto final de Jesús: mientras se eleva hacia el cielo, levanta las manos y bendice a sus discípulos (Lc 24,50-51). Sabemos que siempre es difícil separarse de las personas que se aman, y aun así aquí hay un aire de gozo que envuelve a todos (Lc 24,52-53). ¿Cómo así? ¿Puede la partida de alguien que amamos ser una bendición? ¿Es posible separarse en el gozo? ¿Es posible que en un momento de ese tipo se sienta encima la bendición de Dios y al mismo tiempo se bendiga a Dios? El cristianismo tiene desde su fundación esta connotación: sí, es posible, así como es posible, cual cumplimiento de un camino espiritual, ver convivir juntos, en el propio corazón, sufrimiento y gozo. Cuando un tío para mí muy querido desde la infancia llegó al término de sus días, yo estaba en su lecho de muerte. Estaba en el hospital y estaba por entrar en coma farmacológica. Me encontré solo con él pero ya no lograba más a hablar, y aquél día parecía dormirse. En el silencio de aquel cuarto me recogí en oración. Inmediatamente mi mente se llenó de recuerdos espléndidos: ¡era su sobrino preferido! Tenía la cabeza reclinada en adelante entre mis manos, cuando de improviso advertí que su mano se apoyaba sobre mi cabeza. Levanté los ojos: tenía el rostro sereno con los ojos cerrados, pero de aquella mano sentí claramente que pasaba su bendición. También se luego de pocos días se fue, un gozo particular se quedó dentro de mí y no se ha ido nunca. Bendigo a Dios todavía hoy por mi tío Zeverino. La vida es volverse una bendición a-Dios y de-Dios para los demás.

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