UN SAGGIO PROTOCOLLO PER I RAPPORTI COMUNITARI

XXIII DOMENICA DEL T.O.

Ez 33,1.7-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 

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Mi pare che da un bel po’ di tempo, sul primo canale televisivo di mamma Rai, una serie di telefilm riscontri presso il pubblico un buon successo: quella di don Matteo, con il tanto amato Terence Hill protagonista nel ruolo del popolare parroco. Io non l’avevo mai visto fino a un paio di mesi fa, quando ho cominciato ad assistere a qualche episodio. Quello che mi è sembrato un “leitmotiv” di questa serie televisiva è che don Matteo conduce delle indagini parallele godendo delle informazioni che il maresciallo dei carabinieri fiduciosamente gli passa, per poi giungere alla soluzione del caso, inducendo il colpevole a riconoscere il male commesso. Ma il tocco finale del padre Brown nazionale è dato dalla sua capacità di aiutarlo anche a vedere la via d’uscita dal male, di fargli cioè sperimentare il perdono divino al di la della giustizia umana che deve fare il suo corso. In altre parole, vediamo in don Matteo un esempio di quella che chiamiamo “correzione fraterna”, il tema della liturgia della parola di questa domenica.

Diciamo subito che la correzione fraterna è arte di amore non facile da esercitare. E tuttavia è una sua forma espressiva molto alta. Basti vedere qual è il testo successivo al vangelo di oggi (Mt 18,21-35). Si rende necessaria pertanto una serie di premesse, per non confonderci in questa materia. Innanzitutto la correzione fraterna è possibile solo laddove, in una comunità cristiana, ciascuno è in primo luogo accolto incondizionatamente con i suoi limiti e non giudicato per i suoi sbagli. Per questo S.Paolo, nella 2a lettura, ricorda a tutti dove deve incastonarsi questa prassi: non siate debitori di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole, perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge (Rm 13,8) Inoltre, la correzione fraterna di cui si parla è quella che riguarda peccati gravi (cfr. Mt 18,6-9). Oggetto della correzione fraterna non è l’offesa personale, come ad una prima lettura il testo sembra far intendere (Mt 18,15). Infatti l’offesa personale è sempre da perdonare e dimenticare (cfr. Mt 18,21ss.). L’oggetto è il peccato, in quanto fattore che nuoce in primo luogo a chi lo commette. Il fine della correzione è riguadagnarlo alla fraternità (Mt 18,15b), perché bisogna tentare di tutto per riportare a casa chi si è smarrito (cfr. Mt 18,12-14). Quindi, prima di lanciarsi ad esercitare la correzione fraterna è bene esaminarsi nel proprio cuore per verificare da dove parte la propria mozione: dall’amore verso il fratello che, operando il male, fa prima di tutto del male a sé stesso ferendo la fraternità? Oppure da un desiderio di umana “giustizia” che mal cela giudizi personali o critiche malevole?    

Gesù indica un protocollo fondamentale da seguire per l’esercizio della correzione fraterna:

a) prima si affronta la persona a tu per tu, in privato, per rispetto nei suoi confronti. Chi si sente accolto senza condizioni in genere è disposto a ricevere osservazioni, per cui la correzione, se esercitata nell’amore, funziona e ristabilisce la fraternità.

b) Siccome non sempre la cosa si semplifica secondo la prima modalità, allora il Signore suggerisce di ricorrere alla mediazione di 2 o 3 testimoni (Mt 18,16). E’ il tentativo di riportare la persona alla verità con l’aiuto di altri, non l’indizione di un regolare processo: laddove uno non riesce per dei limiti personali, forse può riuscirci sostenuto da altri; naturalmente, anche questi dovranno trovarsi nelle disposizioni di cui sopra per aiutarlo.

c) Se nemmeno la seconda modalità inducesse la persona a ravvedersi, Gesù dice di comunicare la situazione, se necessario, alla comunità. Su questo terzo passaggio si è discusso molto in passato e anche oggi. C’è stato un periodo, nei primissimi secoli cristiani, in cui il dettame veniva seguito alla lettera. Ma nel tempo lo Spirito ha spiegato alla chiesa che il senso delle parole di Gesù non è certo quello di esporre la persona che sbaglia al pubblico ludibrio, anche se il suo peccato fosse già grave e conosciuto presso il popolo. Si tratta invece di mettere il soggetto sotto lo sguardo della chiesa per indurlo a sentire la personale responsabilità verso i suoi fratelli. Se poi non ascoltasse nemmeno la comunità cristiana sia per te come il pagano e il pubblicano (Mt 18,17). Questa espressione non è sinonimo di condanna o esclusione. La comunità è chiamata a far capire che, rifiutando di ascoltare, la persona si pone da se stessa fuori dalla comunione ecclesiale. E’ questo anche il significato della “scomunica”, uno dei provvedimenti più gravi che la chiesa può prendere nei confronti di uno dei suoi figli. Essa ha sempre un valore illustrativo-pedagogico-deterrente: cioè serve a manifestare alla persona la gravità del male che commette, magari a cuor leggero, affinché si ravveda.

In verità vi dico: tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo (Mt 18,18). La Chiesa ha ricevuto lo stesso potere che Gesù ha dato a Pietro (cfr. anche Mt 16,19) e deve usarlo nella stessa maniera: è il potere dell’amore che non vuole che nessuno si perda (Mt 18,14). La preghiera ecclesiale garantisce la presenza di Gesù (Mt 18,19-20) affinché si cerchi e si trovi la luce per camminare insieme sempre meglio. La comunità cristiana allora diventa spiritualmente matura quando, fondata in questa preghiera, impara ad esercitare la correzione fraterna.   

 

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Me parece que desde hace un poco de tiempo, en el primer canal televisivo de mamá Rai, una serie de película tenga en el público un buen suceso: aquella de padre Mateo, con el tanto amado protagonista Terence Hill en el rol del popular párroco. Yo no lo había nunca visto hasta hace un par de meses, cuando he comenzado a asistir a algunos episodios. Lo que me ha parecido un “leitmotiv” de esta serie televisiva es que padre Mateo conduce algunas investigaciones paralelas disfrutando de las informaciones que el mariscal de la guardia civil confiadamente le pasa, para luego alcanzar a la solución del caso, induciendo al culpable a reconocer el mal cometido. Pero el toque final del padre Brown nacional está dado por su capacidad de ayudarlo también a ver el camino para la salida del mal, o sea, de hacerle experimentar el perdón divino más allá de la justicia humana que debe continuar su recorrido. En otras palabras, vemos en padre Mateo un ejemplo de lo que llamamos “corrección fraterna”, el tema de la liturgia de la palabra de este domingo.

Decimos inmediatamente que la corrección fraterna es arte del amor no fácil de ejercercitar. Y ante todo es su forma expresiva muy alta. Basta ver cuál es el texto sucesivo al evangelio de hoy (Mt 18,21-35). Se hace necesario por lo tanto una serie de premisas, para no confundirnos en esta materia. Ante todo la corrección fraterna es posible solo allí donde, en una comunidad cristiana, cada uno es acogido incondicionalmente en primer lugar con sus límites y no juzgado por sus equivocaciones. Por esto S. Pablo, en la 2da lectura, recuerda a todos dónde debe ubicarse esta práctica: no tengan deuda alguna con nadie, fuera del amor mutuo que se deben, pues el que ama a su prójimo ya ha cumplido con la Ley (Rm 13,8) Además, la corrección fraterna de la cual se habla es aquella que concierne pecados graves (cfr. Mt 18,6-9). Objeto de la corrección fraterna no es la ofensa personal, como en una primera lectura el texto pareciera hacer entender (Mt 18,15). De hecho la ofensa personal es siempre para perdonar y olvidar (cfr. Mt 18,21ss.). El objeto es el pecado, en cuanto factor que daña en primer lugar a quien lo comete. El final de la corrección es reconquistarlo a la fraternidad (Mt 18,15b), porque es necesario intentar de todo para conducirlo a casa a quien se ha descarrilado (cfr. Mt 18,12-14). Entonces, antes de lanzarse a ejercitar la corrección fraterna es bien examinarse en el propio corazón para verificar de dónde parte la propia moción: ¿del amor hacia el hermano que, haciendo el mal, hace antes que nada el mal a sí mismo hiriendo la fraternidad? O también ¿de un deseo de humana “justicia” que no logra a custodiar bien juicios personales o críticas malévolas?

Jesús indica un protocolo fundamental para seguir por el ejercicio de la corrección fraterna:

a) Antes se enfrenta a la persona tú a tú, en privado, por respeto a él mismo. Quien se siente acogido sin condiciones en general está dispuesto a recibir observaciones, por lo cual la corrección, si es ejercitada en el amor, funciona y restablece la fraternidad.

b) Como no siempre la cosa se simplifica según la primera modalidad, entonces el Señor sugiere pedir ayuda a la mediación de 2 o 3 testimonios (Mt 18,16). Es el intento de llevar a la persona a la verdad con la ayuda de otros, no la convocación de un regular proceso: allí donde uno no logra por los límites personales, quizás puede lograrlo sostenido por otros; naturalmente, también estos deberán encontrarse en la predisposición de arriba para ayudarlo.

c) Si ni siquiera la segunda modalidad conduce a la persona a rectificarse, Jesús dice que se debe comunicar la situación, si es necesario, a la comunidad. Sobre este tercer pasaje se ha discutido mucho en el pasado y también hoy. Ha habido un período, en los primeros siglos cristianos, en la cual el dictamen venía seguido a la letra. Pero en el tiempo el Espíritu ha explicado a la iglesia que el sentido de las palabras de Jesús no es seguramente de exponer a la persona que se equivoca a la humillación pública, también si su pecado fuera ya grave y conocido por el pueblo. Se trata en cambio de poner al sujeto bajo la mirada de la iglesia para conducirlo a sentir la personal responsabilidad hacia sus hermanos. Si luego no escuchara ni siquiera a la comunidad cristiana sea para ti como el pagano y el publicano (Mt 18,17). Esta expresión no es sinónimo de condena o exclusión. La comunidad está llamada a hacer entender que, rechazando la escucha, la persona se pone por sí misma fuera de la comunión eclesial. Es esto también el significado de la “excomunión”, uno de las disposiciones más graves que la iglesia puede tomar con respecto a uno de sus hijos. Esta tiene siempre un valor ilustrativo-pedagógico-disuasivo: o sea sirve para manifestar a la persona la gravedad del mal que comete, quizás con el corazón ligero, para que se arrepienta.

En  verdad yo les digo: todo lo que aten en la tierra, lo mantendrá atado el cielo, y todo lo que desaten en la tierra, lo mantendrá desatado el cielo (Mt 18,18). La Iglesia ha recibido el mismo poder que Jesús ha dado a Pedro (cfr. también Mt 16,19) y debe usarlo de la misma manera: es el poder del amor que no quiere que nadie se pierda (Mt 18,14). La oración eclesial garantiza la presencia de Jesús (Mt 18,19-20) para que se busque y se encuentre la luz para caminar juntos siempre mejor. La comunidad cristiana entonces se vuelve espiritualmente madura cuando, fundada en esta oración, aprende a ejercer la corrección fraterna.

2 Comments

  1. Come siamo lontani nel rispetto di questo protocollo, anche nelle nostre comunità che sono uno spicchio specchio della società più allargata.
    Già il “punto 1” di questa sequenza è difficile da realizzare. Ci vuole coraggio ad affrontare l’altro per spiegargli amorevolmente che ha sbagliato. Oggi si preferisce tacere, magari sparlare alle spalle per non doversi trovare ad un faccia a faccia. E forse è proprio questo il punto: si rifiuta il contatto e il confronto perché sono scomodi, fanno perdere tempo ed energie, implicano un coinvolgimento personale che significa mettersi in gioco anche facendo qualche passo indietro per permettere all’ altro di spiegarsi e di scusarsi. Fare qualche passo indietro significa dare spazio all’ altro, cioè volere il bene dell’ altro mentre oggi si tende a sopraffare l’ altro e a schiacciarlo quando non la pensa come noi o ha commesso un errore.
    Prendendo sempre come esempio il rapporto di coppia, ci sono a volte situazioni che possono dare fastidio all’ uno o all’ altra e che se non vengono messe a nudo subito si trascinano fino a provocare profonde ferite nel rapporto stesso, a volte insanabili. È quindi necessario dirsi anche le cose “scomode”, con coraggio accettare il confronto e anche le critiche, anche se ciò implica tempo, energie e coinvolgimento personale. Lo stesso capita in un rapporto di amicizia vero.
    Se non si riesce a realizzare questo primo step del “protocollo” di cui sopra si rischia di “tagliare fuori” le persone diverse da noi e di rimanere ad esse indifferenti. Indifferenza significa far sentire l’altro “trasparente” ed è la più brutta sensazione che si possa percepire. Ritengo che a volte anche nelle nostre comunità si dovrebbe fare più attenzione a quelle persone che sono ai margini di un tal gruppo soltanto perché fanno scelte diverse. La correzione fraterna implica l’ accoglienza, non l’ esclusione.

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