FESTA DI TUTTI I SANTI

VEDETE QUALE GRANDE AMORE

Ap 7,2-4.9-14;  1Gv 3.1-3;  Mt 5, 1-12

 

Il primo giorno di novembre la Chiesa celebra, ogni anno, la presenza nel suo seno del dono inestimabile della santità. Ci sono tanti modi per riconoscerla e celebrarla. Le letture della odierna liturgia della parola aprono varie finestre su di essa perché possiamo ringraziare e meditare insieme su questo dono. Partiamo dallo sguardo proiettato sul futuro del libro dell’Apocalisse. In esso ci viene comunicato che questo futuro, davanti a Dio, vedrà la presenza di “una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua…avvolti in veste candide con palme nelle mani” (Ap 7,9). Questo immenso popolo grida la propria vittoria che altro non è che la stessa vittoria di Dio: “la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7,10). Se sostituiamo il termine “salvezza” con “santità”, al di là della differenza terminologica, di certo non manipoliamo la Parola di Dio ma evidenziamo, anche teologicamente, in cosa consiste il mistero della santità. Essa è realtà che appartiene a Dio e come tale è per noi, in primo luogo, un dono. La moltitudine dei salvati che sta davanti a quel trono ha piena coscienza di ciò, quindi da tutta la gloria a Dio: Lui solo è Santo! La domanda del personaggio anziano assiso nella corte celeste che attornia quel trono aiuta a focalizzare ancor di più l’identità di quella moltitudine in relazione al mistero della sua santità (Ap 7,13-14): quella moltitudine immensa si trova in piena comunione con Dio perché si tratta di tutti coloro che hanno vissuto la precarietà della vita umana come attraversando una grande tribolazione, permettendo così al sangue dell’Agnello di rivestirli della sua santità. S.Paolo avrebbe detto: si tratta di coloro che hanno partecipato alle sofferenze di Cristo e che ora si ritrovano a partecipare della sua gloria. Ancora una volta, l’accento ricade giustamente sulla persona del Signore: il candore di quell’innumerevole gruppo di persone è il frutto di quel sangue donato all’umanità!

Il discorso della montagna, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, ottobre 2015
                Il discorso della montagna, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, ottobre 2015

Nel vangelo di Matteo il discorso di Gesù che sulla montagna proclama le Beatitudini ci ricorda invece che la santità, oltre che un dono, è anche cammino e compito del credente. In esse il Maestro indica il tracciato esistenziale che il discepolo deve necessariamente percorrere se vuol diventare santo. Il Signore ci chiama alla santità, cioè a imparare a vivere, come Lui, in una novità di vita che è riassunta esattamente dalle Beatitudini. Il discepolo incamminato verso la santità è una persona che sta diventando povera in spirito, che sa accogliere le afflizioni della vita, che esprime mitezza, è affamata e assetata di giustizia, misericordiosa, pura di cuore, impegnata a crear pace, nonché perseguitata, insultata e calunniata. Tutto questo per causa mia (Mt 5,11). E’ sempre Lui l’unica causa, il motivo, il significato per abbracciare questa vita. E se da un punto di vista prettamente umano questo modo di vivere si scontra con le tante logiche che portano avanti la vita in questo mondo, facendolo sembrare pura follia (o, come si dice oggi, una vita da “sfigati”…), la fede nelle parole del Signore che troviamo alla fine del vangelo manifesta che non solo il discepolo, alla lunga, diviene uomo saggio nell’abbracciare questo modo di vivere, ma trova in esso, paradossalmente, la vera gioia che lo porta ad esultare già su questa terra (Mt 5,12). Come non ricordare, in proposito, la celebre pagina dei Fioretti in cui Francesco d’Assisi comunica, con parole sue, il luogo e la causa di questa indicibile gioia?

“Venendo una volta san Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angei con frate Leone a tempo di inverno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone, il quale andava innanzi, e disse così: frate Leone, avvegnadiochè li frati minori in ogni terra dieno grande esemplo di santitade e di buona edificazione, nientedimeno iscrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia. E andando san Francesco più oltre, il chiamò la seconda volta: frate Leone, benchè ’l frate minore allumini i ciechi, e distenda gli attratti, iscacci le demonia, renda l’udire alli sordi e l’andare alli zoppi, il parlare alli mutoli, e ch’è, maggiore cosa, risusciti li morti di quattro dì, scrivi che in ciò non è perfetta letizia. E andando ancora un poco avanti, gridò forte: o frate Leone, se ’l frate minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le Scritture, sicché sapesse profetare e rivelare non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e degli animi; scrivi, che non è in ciò perfetta letizia. Andando un poco più oltre, san Francesco chiamò ancora forte: o frate Leone, pecorella di Dio, benchè il frate minore parli con lingua d’angelo, e sappia i corsi delle stelle e le virtù delle erbe; e fossonli rivelati tutti li tesori della terra, e cognoscesse le virtù degli uccelli, e de’ pesci, e di tutti gli animali, e degli uomini, e degli alberi, e delle pietre, e delle radici, e dell’acque, iscrivi, che non è in ciò perfetta letizia. E andando ancora un pezzo, san Francesco chiamò forte: frate Leone, benchè il frate minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl’infedeli alla fede di Cristo; scrivi che non è ivi perfetta letizia. E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Leone, con grande ammirazione il domandò e disse: padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica, dove è perfetta letizia. E san Francesco sì gli rispuose: quando noi saremo a Santa Maria degli angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo, e infangati di loto, e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo; e ’l portinaio verrà adirato, e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de’ vostri frati, e colui dirà: Voi non dite vero; anzi siete due ribaldi, che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri; andate via: e non ci aprirà, e faracci istare di fuori alla neve e all’acqua col freddo e colla fame, insino alla notte, allora se noi tanta ingiuria, e tanta crudeltate, e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbarcene e senza mormorare di lui; e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci cognosca, e che Iddio il fa parlare contra a noi; frate Leone, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E se noi perseveriamo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, che qui non mangerete voi, nè albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con amore; frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame, e dal freddo, e dalla notte, più picchieremo, e pregheremo per l’amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro; e quelli più scandolezzato dirà: costoro sono gaglioffi importuni; io gli pagherò bene come sono degni: e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio, e gitteracci in terra, e involgeracci nella neve, e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia; e però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le grazie e i doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere sè medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie ed obbrobrii e disagi; imperocchè in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perocchè non sono nostri, ma di Dio; onde dice l’Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l’hai avuto da lui, perchè te ne glorii come se tu l’avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, perocchè questo è nostro; e perciò dice l’Apostolo: io non mi voglio gloriare, se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo”.

Nella seconda lettura S.Giovanni ci assicura che il dono di questa santità di vita, cioè la possibilità di vivere le Beatitudini evangeliche, ci è stato già fatto. Nel battesimo siamo già stati fatti figli di Dio, e lo siamo realmente! (1Gv 3,1). Abbiamo ricevuto il seme della vita divina che è la sua santità. Il motivo di questa realtà è semplice ed unico: il suo grande amore. Quel grande amore che il Signore ci ha rivelato sulla Croce. Tutto quello che Lui fa per noi è sempre amore. Dio non sa fare altro. La vita del credente allora non è null’altro che la continua scoperta di cosa Lui ha fatto, fa e farà ancora per noi: fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato (1Gv 3,2). Tutto sarà sempre più chiaro, anche cosa sia la santità donataci, soprattutto dopo la grande tribolazione, la nostra morte, se cercheremo di vivere secondo quella fede che abbiamo ricevuto e se cercheremo di imbroccare e percorrere il tracciato delle Beatitudini segnato dal Signore.

TANTI AUGURI A TUTTI! BUONA FESTA DI OGNISSANTI!

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MIREN QUÉ GRANDE AMOR

Ap 7,2-4.9-14;  1Jn 3.1-3;  Mt 5, 1-12
 

En el primer día de noviembre la Iglesia celebra cada año la presencia, en su seno, del regalo inestimable de la santidad. Hay muchos modos para reconocerla y celebrarla. Las lecturas de la actual liturgia de la palabra nos abren varias ventanas sobre ella para agradecer y meditar sobre este don. Partimos de la mirada proyectada sobre el futuro del libro del Apocalipsis. Allí se nos comunica que este futuro, en Dios, verá la presencia de “una multitud inmensa que nadie podía contar, de cada nación, tribu, pueblo y lengua… envueltos en cándidos vestidos con las palmas en las manos” (Ap 7,9). Este inmenso pueblo grita la propia victoria que no es otra que la misma victoria de Dios: “la salvación le pertenece a nuestro Dios se sentado sobre el trono y al Cordero” (Ap 7,10). Si reemplazamos el término “salvación” con “santidad”, más allá de la diferencia terminológica, de seguro no manipulamos la Palabra de Dios sino que evidenciamos, también teológicamente, en qué consiste el misterio de la santidad. Ella es realidad que le pertenece a Dios y como tal es para nosotros en primer lugar un regalo. La multitud de los salvados que está delante de aquel trono tiene plena conciencia de eso y de toda la gloria a Dios: ¡Sólo Él es Santo! Y la pregunta del personaje anciano sentado en la corte celeste que rodea aquel trono ayuda a focalizar todavía más la identidad de aquella multitud en relación al misterio de la santidad (Ap 7,13 -14).  La santidad de Dios reviste aquella multitud inmensa porque se trata de todos los que han vivido la precariedad de la vida humana como atravesando una gran tribulación, permitiendo así a la sangre del Cordero de revestir a ésos de su santidad. S. Pablo diría que se trata de los que han participado en los sufrimientos de Cristo y que ahora se encuentran a participar de su gloria. Una vez más, el acento recae justamente sobre la persona del Señor: ¡el candor de aquel innumerable grupo de personas es el fruto de aquella sangre donada a la humanidad!

En el evangelio de Mateo el discurso de Jesús que sobre la montaña proclama las Beatitudes nos recuerda en cambio que la santidad, más allá de ser un don, es también camino y tarea del creyente. En ellas el Maestro indica el recorrido existencial que el discípulo necesariamente tiene que recorrer si quiere volverse santo. El Señor nos llama a la santidad, es decir a aprender a vivir, como Él, en una novedad de vida que es resumida exactamente por las Beatitudes. El discípulo encaminado hacia la santidad es una persona que se está volviendo pobre en espíritu, que sabe acoger las aflicciones de la vida, que expresa mansedumbre, hambrienta y sedienta de justicia, misericordiosa, pura de corazón, ocupada a crear paz, además de perseguida, insultada y calumniada. Todo esto por mi causa (Mt 5,11). Es siempre Él la única causa, el motivo, el sentido para abrazar esta vida. Y si de un punto de vista puramente humano este modo de vivir se choca con las muchas lógicas que llevan adelante la vida en este mundo, haciéndolo parecer pura locura (o, como se dice hoy, una vida de “desafortunados”…) la fe en las palabras del Señor que encontramos al final del evangelio manifiesta que no solo el discípulo, a la larga, se vuelve hombre sabio en abrazar este modo de vivir, sino que encuentra en ella, paradójicamente, la verdadera alegría que lo lleva a exultar ya en esta tierra (Mt 5,12) ¿Cómo no recordar, a propósito de esto, la célebre página de las Florecillas en la cual Francisco de Asís comunica, con palabras suyas, el “lugar” de esta indecible alegría?

“Iba una vez San Francisco con el hermano León de Perusa a Santa María de los Ángeles en tiempo de invierno. Sintiéndose atormentado por la intensidad del frío, llamó al hermano León, que caminaba un poco delante, y le habló así: ¡Oh hermano León!: aun cuando los hermanos menores dieran en todo el mundo grande ejemplo de santidad y de buena edificación, escribe y toma nota diligentemente que no está en eso la alegría perfecta. Siguiendo más adelante, le llamó San Francisco segunda vez: ¡Oh hermano León!: aunque el hermano menor devuelva la vista a los ciegos, enderece a los tullidos, expulse a los demonios, haga oír a los sordos, andar a los cojos, hablar a los mudos y, lo que aún es más, resucite a un muerto de cuatro días, escribe que no está en eso la alegría perfecta. Caminando luego un poco más, San Francisco gritó con fuerza: ¡Oh hermano León!: aunque el hermano menor llegara a saber todas las lenguas, y todas las ciencias, y todas las Escrituras, hasta poder profetizar y revelar no sólo las cosas futuras, sino aun los secretos de las conciencias y de las almas, escribe que no es ésa la alegría perfecta. Yendo un poco más adelante, San Francisco volvió a llamarle fuerte: ¡Oh hermano León, ovejuela de Dios!: aunque el hermano menor hablara la lengua de los ángeles, y conociera el curso de las estrellas y las virtudes de las hierbas, y le fueran descubiertos todos los tesoros de la tierra, y conociera todas las propiedades de las aves y de los peces y de todos los animales, y de los hombres, y de los árboles, y de las piedras, y de las raíces, y de las aguas, escribe que no está en eso la alegría perfecta. Y, caminando todavía otro poco, San Francisco gritó fuerte: ¡Oh hermano León!: aunque el hermano menor supiera predicar tan bien que llegase a convertir a todos los infieles a la fe de Jesucristo, escribe que ésa no es la alegría perfecta. Así fue continuando por espacio de dos millas. Por fin, el hermano León, lleno de asombro, le preguntó: Padre, te pido, de parte de Dios, que me digas en que está la alegría perfecta. Y San Francisco le respondió: Si, cuando lleguemos a Santa María de los Ángeles, mojados como estamos por la lluvia y pasmados de frío, cubiertos de lodo y desfallecidos de hambre, llamamos a la puerta del lugar y llega malhumorado el portero y grita: “¿Quiénes sois vosotros?” Y nosotros le decimos: “Somos dos de vuestros hermanos”. Y él dice: “¡Mentira! Sois dos bribones que vais engañando al mundo y robando las limosnas de los pobres. ¡Fuera de aquí!” Y no nos abre y nos tiene allí fuera aguantando la nieve y la lluvia, el frío y el hambre hasta la noche. Si sabemos soportar con paciencia, sin alterarnos y sin murmurar contra él, todas esas injurias, esa crueldad y ese rechazo, y si, más bien, pensamos, con humildad y caridad, que el portero nos conoce bien y que es Dios quien le hace hablar así contra nosotros, escribe ¡oh hermano León! que aquí hay alegría perfecta. Y si nosotros seguimos llamando, y él sale fuera furioso y nos echa entre insultos y golpes, como a indeseables importunos, diciendo: “¡Fuera de aquí, ladronzuelos miserables; id al hospital, porque aquí no hay comida ni hospedaje para vosotros!” Si lo sobrellevamos con paciencia y alegría y en buena caridad, ¡oh hermano León!, escribe que aquí hay alegría perfecta. Y si nosotros, obligados por el hambre y el frío de la noche, volvemos todavía a llamar, gritando y suplicando entre llantos por el amor de Dios, que nos abra y nos permita entrar, y él más enfurecido dice: “¡Vaya con estos pesados indeseables! Yo les voy a dar su merecido”. Y sale fuera con un palo nudoso y nos coge por el capucho, y nos tira a tierra, y nos arrastra por la nieve, y nos apalea con todos los nudos de aquel palo; si todo esto lo soportamos con paciencia y con gozo, acordándonos de los padecimientos de Cristo bendito, que nosotros hemos de sobrellevar por su amor, ¡oh hermano León!, escribe que aquí  y en esto está la alegría perfecta; pero ahora escucha la conclusión, hermano León. Por encima de todas las gracias y de todos los dones del Espíritu Santo que Cristo concede a sus amigos, está el de vencerse a sí mismo y de sobrellevar gustosamente, por amor de Cristo Jesús, penas, injurias, oprobios e incomodidades; porque en todos los demás dones de Dios no podemos gloriarnos, ya que no son nuestros, sino de Dios; por eso dice el Apóstol: ¿Qué tienes que no hayas recibido de Dios? Y si lo has recibido de Él, ¿por qué te glorías como si lo tuvieras de ti mismo? Pero en la cruz de la tribulación y de la aflicción podemos gloriarnos, ya que esto es nuestro; por lo cual dice el Apóstol: No me quiero gloriar sino en la cruz de Cristo. En alabanza de Cristo.”

Juan en la segunda lectura nos asegura que el don de esta santidad de vida, es decir la posibilidad de vivir las Beatitudes evangélicas, nos ha sido ya hecha. ¡En el bautismo ya hemos sido hechos hijos de Dios, y realmente lo somos! (1Jn 3,1). Hemos recibido la semilla de la vida divina que es su santidad. El motivo de esta realidad es simple y único: su gran amor. Aquel gran amor que el Dios nos ha revelado sobre la Cruz. Todo lo que Él hace por nosotros siempre es amor. Dios no sabe hacer otra cosa. Entonces la vida del creyente no es otra cosa que el continuo descubrimiento de lo que Él ha hecho, hace y todavía hará por nosotros: ahora somos hijos de Dios y aún no se ha manifestado lo que seremos. (1Jn 3,2). Todo estará cada vez más claro, también lo que será la santidad donada a nosotros, después de la gran tribulación, nuestra muerte, si tratáremos de vivir según aquella fe que hemos recibido y si tratáremos de acertar el recorrido de las Beatitudes señalado por el Señor.

¡FELICIDADES A TODOS! ¡BUENA FIESTA DE TODOS LOS SANTOS!

 

  

 

7 Comments

  1. Tutto questo” per causa mia”(Mt 5,11).
    “Venite a me,
    voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).
    E’ la rivoluzione del vangelo ritrovata nelle beatitudini, in coloro che nonostante tutto portano e diffondono intorno a loro gioia, mitezza, giustizia.
    Vivere le beatitudini è dono, ma anche cammino; tu dici, p. Giacomo, è sempre Lui l’unica causa, facendo sembrare follia, ciò che di “sfigato” realmente, si scontra con le tante logiche prettamente umane.
    I santi allora chi sono?
    E’ bello pensare i santi come amici di Dio che adesso vivono, finalmente, una vita rinnovata nella gloria del Cristo.
    Hanno appreso dal Cristo, e per lui e con lui, godono i frutti di quella fede, contemplata e vissuta..
    La modalità di una vita nella fede , è l’Amore.
    La Chiesa parla allora sempre attuale, della chiamata alla santità per tutti i battezzati.
    San Francescoci insegna oggi, a vivere da saggi, abbracciando la vera gioia…”perfetta letizia”.
    “Tutto è vanità”(Qo 1,2).
    Di tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perchè non sono nostri, ma san Paolo dice ancora “se non nella croce di nostro Signore
    Gesù Cristo”.
    Grazie p.Giacomo e preghiamo anche noi con quei santi che sono già in cielo.
    Buona festa di ognissanti!

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  2. Pura follia, è proprio così. È folle chi accoglie le afflizioni senza maledire a destra e a manca oppure senza ripiegarsi sotto il peso della sofferenza; oggi c’è aggressività, non mitezza; la gente non è affamata di giustizia ma fa di tutto per intrallazzare per un risultato facile e non lascia scampo alcuno all’altro, non certo con atteggiamento misericordioso.
    Le persone miti vengono sfruttate perché non reagiscono, le persone trasparenti vengono punite perché la verità dà fastidio, le persone affamate di giustizia vengono frustrate dalla mentalità clientelista e corruttiva, le persone leali soffrono di continue delusioni. Se oggi non si scende a compromesso non si va avanti.
    Mi sono chiesta se valga la pena di essere reietti, rifiutati soltanto perché la si pensa diversamente da come ragiona il mondo…come si può incidere nel mondo stesso se si viene messi da parte?

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  3. El proyecto de felicidad que Jesús nos ofrece va en contracorriente con lo que nos presenta el mundo y por eso cuesta tanto seguirlo pero es la única manera de ser felices en esta vida y vivir plenamente felices en la otra. Felices los pobres, los que tienen alma de pobre traduce el texto de la liturgia diaria que utilizamos aquí en Perú, porque de ellos es el reino de los cielos. Y pienso que sí, solo es posible ser feliz cuando tenemos alma de pobre para acercarnos al alma de los pobres, para compartir su vida y juntos buscar una vida más digna. Felices sí, los que sufren, los que lloran porque comparten sus sufrimientos y sus lágrimas con otros para consolarlos, para levantarlos, para sacarlos de sus sufrimientos, de su postración, de su desesperanza y hacer que puedan ser felices ya ahora. El reino de los cielos, aquí sobre la tierra, permanece bajo el signo de la Cruz, lugar de encuentro entre la injusticia del hombre y la justicia de Dios. “¡Oh hermano León! Escribe que aquí y en esto está la alegría perfecta”

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  4. Le beatitudine sono come uno squillo di tromba che risuona otto volte più una. Gesù ci vuole felici. Egli si rivolge a quanti in questo mondo sembrano fatalmente condannati all infelicità, stritolati in una morsa infernale: più piangono e più dovranno piangere. Gesù è proprio a essi che la felicità viene generosamente offerta e gratuitamente donata. Astratta utopia? Frustrante miraggio? Assolutamente no! La morsa fatale è stata spezzata perché vi è entrato il Figlio di Dio con tutta la misura smisurata e traboccante della sua divina felicità! !!Auguro anche a te una splendida giornata dì Ognissanti ….Gioite perché i vostri cari defunti oggi fanno festa in Paradiso con tutti i Santi!!!

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  5. Le beatitudine sono come uno squillo di tromba che risuona otto volte più di una. Gesù ci vuole felici. Egli si rivolge a quanti in questo modo sembrano condannati all infelicità, stritolati in una morsa infernale : più piangono e più dovranno piangere. Gesù invece è proprio a essi che la felicità viene generosamente offerta e gratuitamente donata. Astratta utopia? Frustrante miraggio? Assolutamente no! La morsa fatale è stata spezzata perché vi è entrato il Figlio di Dio con tutta la misura smisurata e traboccante della sua divina felicità! !!!Auguro anche a te una splendida giornata di ognisanti. Gioite perché i nostri cari defunti oggi fanno festa in Paradiso con tutti i Santi. ..

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  6. Le beatitudine sono come uno squillo di tromba che risuona otto volte più di una! Gesù ci vuole felici. Egli si rivolge a quanti in questo modo sembrano condannati all’infelicita’, stritolati in una morsa infernale : più piangono e più dovranno piangereGesù, invece è proprio a essi che la felicità viene generosamente offerta e gratuitamente donata. Astratta utopia? Frustrante miraggio? Assolutamente no Gesù. Vuole con tutta la misura smisurata e traboccante della sua divina felicità bontà e grazia!!!!Buona festa di ognisanti anche a te .Grazie perché mi fa riflettere su le meravigliose opere di Dio.

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