NON SIAMO STATI NOI AD AMARE

VI DOMENICA DI PASQUA

At 10,25-26.34-35.44-48; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Ci ritroviamo dopo un paio di settimane di mia assenza dal blog. Non importa. Quel che importa è che la Parola di Dio non sia mai assente dalla vostra vita, sia che lavoriate, sia che riposiate, dormiate, mangiate o viaggiate…E’ la Parola di Dio che non deve mai mancare! Nelle scorse due domeniche il Vangelo di Giovanni ci ha ricordato il rapporto di intima conoscenza che il Signore Gesù ha con i suoi (“conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come io conosco il Padre e il Padre conosce me…”) nonché la intima appartenenza che si genera tra essi: il Signore è “la vera vite” e noi “i tralci”, dunque non ci possiamo più pensare separatamente da Lui, se non nell’unico, tragico caso, di pretendere di essere tralci che non rimangono attaccati alla vite, tremenda possibilità lasciata alla nostra libertà.

                 “Io sono la vera vite”, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, settembre 2011

Alcuni anni fa (2003) lessi in una rivista un’intervista ad Amos Oz nella quale lo scrittore e saggista ebreo affrontava la domanda sul mistero dell’amore nella vita umana. Mi colpì molto questa sua affermazione: “L’amore ha un diametro, e questo suo diametro è piuttosto stretto, direi angusto. Lo spazio dell’amore è capace di contenere al massimo 10-20 persone amiche…uno, due, chissà forse tre posti nel mondo, una buona pietanza, qualche buon libro e pochi brani musicali scelti, tutto qui e nulla di più. Al di fuori di questo circolo magico non c’è amore…perché l’amore è essenzialmente un sentimento intimo e personale”. Non conosco a fondo la personalità di questo scrittore né ho mai letto alcuni suoi romanzi di successo, tuttavia, ho letto in queste sue righe qualcosa che penso stia contraddistinguendo il tempo che viviamo ed il pensiero in larga parte accolto nella società (anche tra cristiani) così come in tanti ambienti culturali. Cioè che l’orizzonte e il respiro dell’amore stia tutto “al di qua” della vita e che alla fine esso, in qualche modo, coincida soltanto con quanto ciascuno si ritrova dentro la propria sfera esperienziale-emotivo-sentimentale. Pur rispettando tale pensiero e ammettendo che l’amore sia realmente qualcosa che coinvolga questa dimensione, non possiamo però non ribadire quanto la sua Parola ci dice oggi con s.Giovanni apostolo: “In questo consiste l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi” (1Gv 4,10). Ovvero, per il credente c’è una prima cosa da accettare se vuol costruire la sua fede in modo solido e ordinato: l’amore è una realtà che parte da Dio, quindi è Lui che ci spiega cos’è e come si impara quest’arte. La vita di Gesù è, in tal senso, la lezione più importante da apprendere e da ripassare costantemente per non rimanere alla fine delusi e con la bocca asciutta.

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Nel cuore del Vangelo di questa domenica è implicita la verità che l’amore è un graduale cammino che dura tutta la vita; a un certo punto, perché si sta rispondendo all’invito di Gesù a “rimanere nel suo amore”, si può giungere ad amare fino al punto da creare nel proprio cuore uno spazio non solo per molti più di 10-20 amici, ma persino per i nemici. Ecco qui allora per te, caro lettore, l’ormai celebre testamento spirituale scritto da P.Cristian De Chergè, uno dei 7 monaci di Thibirine (Algeria) assassinati dai terroristi islamici del GIA nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996. Il diametro dell’amore, a detta sua e anche del sangue dei suoi compagni, sembra essere infinitamente più grande di quanto ci dica Oz:

I MONACI DI THIBIRINE
I MONACI MARTIRI DI THIBIRINE

“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese…Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha valore più di un’altra. Ma non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla da un algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam. So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. È troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremismi. L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani. La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze. Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto. In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso! E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “ad-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due. Amen! Inch’Allah.”

BUONA DOMENICA A TUTTI!

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Nos encontramos después de un par de semanas de mi ausencia en el blog. No importa. Lo que importa es que la Palabra de Dios nunca esté ausente de sus vidas, ya sea que trabajen, ya sea que descancen, duerman, coman o viajen … ¡Es la Palabra de Dios que nunca debe faltar! En los últimos dos domingos, el Evangelio de Juan nos ha recordado la relación del conocimiento íntimo que el Señor Jesús tiene con los suyos (“Conozco las mias y las mías me conocen a mí, como el Padre me conoce y yo conozco al Padre … “), así como la íntima pertenencia que se genera entre ellos: el Señor es “la vid verdadera “, y nosotros “las ramas”, entonces ya no nos podemos pensar más separados de Él, si no en el trágico caso, de pretender ser ramas que no permanecen unidos a la vid, tremenda posibilidad dejada a nuestra libertad.

Hace algunos años (2003) leí en una revista una entrevista a Amos Oz en la que el escritor y ensayista hebreo afrontaba la pregunta sobre el misterio del amor en la vida humana. Me sorprendió mucho su afirmación: “El amor tiene un diámetro, y que su diámetro es bastante estrecho, yo diría angosto. El espacio del amor es capaz de contener un máximo de 10 a 20 personas como amigos … uno, dos, quizás puede ser tres lugares en el mundo, un buen plato, algún buen libro y pocas piezas de música elegida, eso es todo y nada más. Fuera de este círculo mágico no hay amor … porque el amor es esencialmente un sentimiento íntimo y personal”. Yo no conozco a fondo la personalidad de este escritor, ni he leído nunca una de sus novelas de éxito, pero he leído en sus líneas algo que creo está contradiciendo el momento que vivimos y la idea ampliamente aceptada en la sociedad (incluso entre los cristianos) y en muchos entornos culturales. Es decir, que el horizonte y el respiro del amor esté todo de “este lado” de la vida y que al final esto, de algún modo, coincide solamente con lo que cada uno se encuentra dentro del propio ámbito experiencial-emocional-sentimental. Sin dejar de respetar ese pensamiento y admitiendo que el amor es realmente algo que implica esta dimensión, sin embargo no podemos dejar de reiterar aquí lo que Su Palabra nos dice con el apóstol San Juan: “En esto consiste el amor: no somos nosotros los que hemos amado a Dios, sino que él nos amó primero” (1Jn 4,10). Es decir, para el creyente hay una primera cosa que hay que aceptar si quiere construir su fe de manera sólida y ordenada: el amor es una realidad que parte de Dios, entonces es Él que nos explica qué es y cómo se aprende este arte. La vida de Jesús es, en este sentido, la lección más importante para aprender y repasar constantemente para no quedarnos al final decepcionados.

Mi mandamiento es este: Ámense unos con otros, como yo los he amado. No hay amor más grande que este: dar la vida por sus amigos” (Jn 15,13). En el corazón del Evangelio de este domingo está implícita la verdad de que el amor es un viaje gradual que dura toda la vida; a un cierto punto, ya que se está respondiendo a la invitación de Jesús a “permanecer en su amor”, se puede llegar a amar hasta el punto de crear un espacio en el propio corazón, no sólo para muchos más de 10 – 20 amigos, sino hasta para los enemigos. He aquí pues, para ti, querido lector, el entonces célebre testamento espiritual escrito por P.Cristian De Chergé, uno de los siete monjes de Thibirine (Argelia) asesinados por los terroristas islámicos del GIA en la noche entre el 26 y el 27 de marzo del 1996. el diámetro del amor, a su decir y también de la sangre de sus compañeros, parece ser infinitamente más grande de lo que nos diga Oz:

“Si me llegara a suceder un día (y puede ser también hoy) ser una víctima del terrorismo que ahora parece querer involucrar a todos los extranjeros que viven en Argelia, me gustaría que mi comunidad, mi Iglesia, mi familia se recordaran que mi vida fue donada a Dios y a este país. Que sepan asociar esta muerte a tantas otras igualmente violentas, dejadas en la indiferencia del anonimato. Mi vida no tiene más valor que otro. Pero no tiene ni siquiera aún menos. En cualquier caso no tiene la inocencia de la infancia. He vivido lo suficiente para saber que soy complice del mal que parece, desgraciadamente, prevalecer en el mundo, e incluso de aquellos que podrían golpearme a ciegas. Llegado el momento, me gustaría poder tener ese minuto libre que me permitiera pedir el perdón de Dios y de mis semejantes, y al mismo tiempo de perdonar de todo corazón a quien me hubiera herido. No podría desearme una muerte semejante. Me parece importante señalar esto. No veo, de hecho, cómo podría alegrarme de que esta gente que yo amo fuera acusado indiscriminadamente de mi asesinato. Sería un precio demasiado alto para pagar lo que se llamaría, tal vez, la “gracia del martirio” endeudarnos de un argelino, quienquiera que sea, sobre todo si él dice que está actuando en la fidelidad a lo que él cree que es el Islam. Sé de qué desprecio han podido estar rodeados los argelinos,globalmente tomados, y conozco también qué caricaturas del Islam alienta un cierto islamismo. Es demasiado fácil ponerse la conciencia tranquila identificando este camino religioso con los integralistas de sus extremismos. La Argelia y el Islam, para mí, son otra cosa, son un cuerpo y un alma. Lo he proclamado bastante, me parece, en base a lo que he visto y aprendido por experiencia, encontrando tan a menudo aquel hilo conductor del Evangelio aprendido sobre las rodillas de mi madre, mi primera Iglesia, precisamente en Argelia, y, ya entonces, en rel espeto por los creyentes musulmanes. Mi muerte, evidentemente, parecerá dar razón a aquellos que me han tratado rapidamente como ingenuo, o como idealista: “¡Diga, ahora, aquello que le parece!”. 

Pero estas personas deben saber que será finalmente liberada mi curiosidad más ávida. Podré, si a Dios le gusta, sumergir mi mirada en la del Padre para contemplar con él a Sus hijos del Islam tal como Él los ve, todos iluminados de la gloria del Cristo, fruto de su Pasión, revestidos del don del Espíritu, cuyo gozo secreto será siempre establecer la comunión, jugando con las diferencias. De esta vida perdida, totalmente mía y totalmente de ellos, doy gracias a Dios que parece haberla querido enteramente para este gozo,  a través y a pesar de todo. En este “gracias” en el cual todo está dicho, ya de mi vida, incluyo seguramente a ustedes, amigos de ayer y de hoy, y ustedes, amigos de aquí, junto a mi padre y mi madre, mis hermanas y mis hermanos, y a ellos, el ciento regalado como lo prometido! Y también a ti, amigo del último minuto que no has sabido lo que hacías. Sí, también para tí quiero este “gracias”, y este “a-Dios” en cuyo rostro te contemplo. Y que nos sea dado el encontrarnos de nuevo, ladrones felices en el paraíso, si le gusta a Dios, Padre nuestro, Padre de los dos. ¡Amén! Inch’Allah “.

¡BUEN DOMINGO A TODOS!

5 Comments

  1. Non è facile lasciarsi amare.Quante volte il Padre chiama ognuno di noi, credo che faccia all’infinito…….come una mamma o un papà che non si stancano mai di chiamare un figlio nonostante questo non ascolti… e continuano, continuano perché amano quel figlio e desiderano il suo bene. Non sempre il figlio si gira, a volte mamma o il papà devono ripetere questo richiamo molte volte per essere ascoltati, a volte devono “alzare la voce” per scuotere quel figlio dal “torpore”….. la decisione finale è comunque sempre di quel figlio che può anche scegliere di ” mandare a quel paese” mamma e papà e di non volerne sapere!A volte il Signore irrompe nella nostra vita con violenza, scusatemi il termine, ma è anche questo un modo appunto, per farci girare verso di Lui….può essere attraverso un forte dolore o una grande soddisfazione, quasi inspiegabile, di qualcosa che ci sembra di non meritare!A volte entra in punta di piedi, magari con una semplice parola ascoltata col cuore.Difficile è capire che ci chiama perché ci ama…anche per i nostri figli, quando sono piccoli, è difficile capire che una determinata cosa la chiediamo loro perché li amiamo; magari sbuffano perché pesa fare quello che chiede la mamma, poi crescendo forse comprendono che la mamma ha chiesto loro qualcosa perché li ama.Maria di Magdala riconosce Gesù Risorto perché la chiama per nome….quante volte nella vita di tutti i giorni ci si sente trascurati perché sembra di essere nel “mucchio” di gente che corre avanti e indietro con il ritmo forsennato della vita, finche’ non si sente qualcuno che ti chiama per nome cioè che ti dimostra riguardo, attenzione, benevolenza, feeling, come si dice modernamente. In effetti solo in quel caso ci si ferma e si accetta di uscire da quel vortice infernale in cui si sta correndo, perché si prova piacere a sapere che si fa parte dei pensieri di Qualcuno.Mi rimane sempre il dispiacere per tutti coloro che non girano il volto verso il Padre e mi sento responsabile di questo perché significa che non do’ abbastanza amore

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  2. Eccoci ancora,
    che bello riprendere il cammino, la Parola di Dio ci apre all’ascolto e alla preghiera, “Ma soprattutto non deve mai essere assente
    dalla nostra vita”. Anche questa domenica, nel Vangelo si evidenziano dei verbi: osservare, chiedere, conoscere, rimanere,amare,
    ma è il verbo amare che caraterizza ancora quello che Gesù ci vuole dire:” Rimanete nel mio amore”.
    Che cosa è per noi l’amore e come facciamo a rimanere nell’amore?
    Tu p.Giocomo hai detto bene riferendoti allo scrittore Amos Oz che ” Il tempo che viviamo e il pensiero accolto nella società dicono dell’
    amore che stia tutto al di quà della vita” cioè ciò che si riscontra nel ” provo -sento-mi butto”.
    Ma possiamo essere contenti di ciò?
    s.Giovanni, ci dice ” E’ lui che ha amato noi”.
    Come facciamo a rimanere nell’amore? Il nostro vescovo padre Mauro Morfino in una lettera messaggio della Quaresima-Pasqua 2015,
    dice che bisogna scavare come la samaritana al pozzo, per bere finalmente l’acqua che risveglia.
    Rimanere nell’amore è allora bere acqua viva attraverso la persona, le parole, la vita e la morte risurrezione di Gesù.
    Se scopriamo di essere amati, Papa Francesco ci indica ancora la formazione del cuore, un cuore vigile e generoso che non si lascia
    chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione e dell’indifferenza. Dio non è indifferente a noi.

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